Mercoledì 10 luglio, presso il circolo ARCI Rami Secchi di lungo Dora Colletta 39, alcuni studenti dell’intifada studentesca torinese hanno raccontato le esperienze di occupazione universitaria che si sono svolte a Torino a partire dal 13 maggio per cinquantaquattro giorni.
Per introdurre la tematica, risulta utile leggere l’incipit del documento presentato dagli studenti occupanti ai vari senati Accademici ed ai singoli dipartimenti
Lunedì 13 maggio, le studentesse e gli studenti degli atenei di Torino si sono uniti ai movimenti di intifada studentesca che stanno attraversando le università di tutto il mondo in solidarietà al popolo palestinese, occupando i poli di Fisica, Palazzo Nuovo e il Politecnico, e imponendo un blocco parziale o totale della didattica. Dopo più di 7 mesi dall’inizio del genocidio il numero di palestinesi uccisi rasenta i 40 mila. Gli attacchi aerei condotti sul territorio di Gaza hanno raso al suolo in egual modo abitazioni ed infrastrutture, con l’obiettivo mirato di negare alla popolazione palestinese ogni possibilità di condurre una vita dignitosa. Le atrocità commesse a Gaza non possono che essere lette nel quadro più ampio del sistema coloniale, di apartheid, di occupazione militare e pulizia etnica che il regime sionista perpetra sulla popolazione palestinese ormai da 76 anni.
La comunità accademica guarda con preoccupazione all’accelerazione di questi processi, concretizzata nell’invasione via terra di Rafah, l’ultima zona designata come sicura nella Striscia di Gaza e in cui attualmente trovano rifugio 1.500.000 persone, tra cui 600.000 bambini. Questi allarmanti scenari si delineano con la complicità delle nostre istituzioni accademiche che, attraverso le loro collaborazioni, contribuiscono non solo alla normalizzazione del sistema coloniale, ma anche all’oppressione materiale del popolo palestinese, imponendo pertanto la connivenza coatta della comunità accademica che le attraversa.
Tali accordi e collaborazioni sono espressione della tutela di precisi interessi economici delle istituzioni e del governo italiano nell’industria bellica e nella preoccupante fase di riarmo globale e tendenza alla guerra: essa si concretizza tramite lo sviluppo di ricerca in ambito bellico, committenze e fino all’invio di armamenti, sia a favore dello Stato di Israele e delle sue politiche genocide nei confronti del popolo palestinese, che in svariati altri scenari di guerra a livello globale. Nonostante la retorica dominante tacci il boicottaggio accademico di violazione di libertà della ricerca scientifica, l’essenza stessa di questi accordi di collaborazione manifesta il processo di industrializzazione e privatizzazione delle università: la ricerca stessa si deve pertanto adattare ad interessi economici e privati, limitando significativamente e fisiologicamente gli ambiti di ricerca.
Le occupazioni hanno avuto dinamiche diverse nei vari dipartimenti universitari.
Il primo tema preso in considerazione nel dibattito sono stati i famosi murales fatti nei luoghi occupati e considerati dai media torinesi poco più che atti di vandalismo, tanto da essere immediatamente cancellati come il più vergognoso degli insulti al pubblico decoro. In realtà murales e grafiti, esposti in una mostra fotografica all’interno dello spazio del circolo, si possono definire il ritratto di un’urgenza, un urlo al mondo ed una presa di posizione politica.
Stupisce che la condanna per queste forme di comunicazione abbia preso il sopravvento nel dibattito pubblico cancellando completamente le rivendicazioni degli studenti contro il genocidio di Gaza, l’occupazione coloniale della Palestina resa possibile anche dalle armi prodotte in Italia, le varie connivenze e mistificazioni che consentono di giustificare come autodifesa il massacro di civili inermi.
In uno dei grafiti più belli qualcuno ha aggiunto un CI alla scritta Palestina Libera, trasformandola in un Palestina LiberaCI, vera essenza di questa stagione di occupazioni universitarie.
Giorgia, studentessa di Palazzo Nuovo, ricorda che l’occupazione di Palazzo Nuovo è cominciata il 13 maggio a seguito di un’assemblea studentesca tenutasi il 10; l’occupazione è iniziata come un’esigenza impellente, coordinata all’interno di assemblee giornaliere ed orizzontali, senza sapere esattamente come fare e per quanto tempo mantenerla. La maggior parte dei presenti non era politicizzata all’inizio anche se si è riconosciuta la maggior esperienza politica di alcuni e si sono stabilite relazioni con gli altri dipartimenti universitari e le altre università, in Italia ed all’estero.
Il principale documento politico nato durante l’occupazione è la proposta di mozione studentesca, bocciata dal senato accademico, ma appoggiata dal dipartimento cultura, politiche e società e dal dipartimento di psicologia
Lune ha descritto le dinamiche specifiche dell’intifada studentesca nella Facoltà di Fisica; benché risultasse necessario, portare una questione politica così complessa in un dipartimento non politicizzato ed isolato non è stato semplice tanto che l’occupazione non ha interrotto lo svolgersi delle lezioni con l’eccezione di quattro giorni di occupazione totale a seguito del completo rigetto delle richieste degli studenti da parte del dipartimento; questo ha consentito di ottenere alcune piccole concessioni, come lo stanziamento di 24.000€ per sei borse di studio da destinare a studenti palestinesi e la creazione di una commissione di valutazione dei progetti di collaborazione con gli atenei israeliani.
Grace, dottoranda del Politecnico, accenna anche lei all’ostilità dell’ambiente che si è sciolta un po’ alla volta consentendo a diversi studenti di appoggiare l’occupazione acquisendo una nuova umanità ed una nuova coscienza politica. L’istituzione non ha risposto alle richieste degli occupanti, minimizzando la protesta; il Politecnico ha diversi accordi di collaborazione con le università israeliane ed aziende belliche ed ha risposto negativamente alle richieste di boicottaggio delle università israeliane nel nome della libertà accademica e del “costruire ponti non muri”. Argomentazioni che non hanno comunque impedito il boicottaggio accademico della Russia e la completa indifferenza rispetto agli ambiti accademici palestinesi praticamente azzerati a Gaza è molto ridimensionati nei territori occupati.
L’occupazione del politecnico è durata 55 giorni; la mozione degli studenti è stata bocciata in toto dal senato accademico, è passata una mozione dei professori più edulcorata.
Il professor Massimo Zucchetti, che non è potuto intervenire al dibattito, ha inviato un messaggio di saluto e solidarietà verso l’intifada studentesca, fondamentale per accendere un faro sulla deriva delle università italiane, costrette a causa del taglio dei fondi pubblici ad affidarsi ai finanziamenti dei privati che in molti casi spingono la ricerca verso la tecnologia militare e dual use.
Olli, studentessa di UniTo, cerca di sintetizzare i contenuti e le motivazioni della mozione degli studenti, bocciata dai senati accademici ed approvata da alcuni dipartimenti; la richiesta del boicottaggio accademico delle università israeliane nasce dal loro ruolo centrare nel sistema di occupazione coloniale: la ricerca accademica israeliana si occupa, fra le altre cose, della giustificazione del sionismo, di ricerca ad uso militare e dual use a tutti i livelli.
Con il boicottaggio accademico si vuole impedire il passaggio di conoscenza derivate dalla ricerca italiana, finanziata pubblicamente, verso applicazioni dual use se non espressamente militari.
La sinergia tra il mondo accademico israeliano ed il sistema militare industriale rappresenta un modello a cui tendono altri sistemi accademici e il processo di riduzione dei finanziamenti pubblici al mondo accademico mette le università italiane nelle mani del complesso militare industriale (o dell’industria estrattiva e dei combustibili fossili).
Il boicottaggio accademico risulta inoltre un dovere ed un obbligo morale in presenza di un genocidio per evitare le accuse di complicità.
Tutte queste richieste, motivare e documentate, sono state respinte a colpi di slogan come libertà accademica e ponti non muri, senza una reale argomentazione.
Una mozione presentata dai professori ha consentito di far passare l’idea della costituzione di un osservatorio sugli accordi accademici.
Emiliano, del dipartimento di matematica, ha fatto una breve sintesi della situazione nel suo dipartimento che non è stato occupato.
Pietro, studente di lingue all’UniTo, ha brevemente descritto le due ricerche sull’occupazione nate dal lavoro di Marianna Bucchioni, dottoranda di Archeologia, che ha fotografato e catalogato tutti i murales dentro UniTo (ora cancellati).
La seconda ricerca riguarda l’homefication durante l’occupazione, ovvero il processo di trasformazione di spazi pubblici in luoghi di residenza, definita attraverso interviste agli occupanti dell’università.