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“Diritto, non crimine per la Madre Terra e la giustizia sociale, ecologica e climatica”, nuovo report sulla criminalizzazione degli eco-attivisti: li chiamano “ecoterroristi” ma promuovono i diritti umani

Il punto sui procedimenti, i processi e le condizioni legali che di fatto vanno a criminalizzare sempre di più gli eco-attivisti. Il report, risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete InDifesadi e da Osservatorio Repressione, è stato prodotto all’indomani della visita di Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente, nell’ambito della Convenzione di Aarhus svoltasi in Italia ad aprile 2023. Di seguito proponiamo un abstract della prefazione di Michel Forst_

Sono profondamente preoccupato e rattristato nell’osservare una tale erosione dello spazio di iniziativa civica e tali minacce ai difensori e difensore dell’ambiente in ogni parte del mondo, E l’Italia non è un’eccezione. I movimenti e gli attivisti ed attiviste per il clima chiedono ai governi di rispettare gli impegni vincolanti da loro sottoscritti con l’Accordo di Parigi. E credo che ciò che preoccupa i governi, ciò che li porta a cercare di qualificare i movimenti per il clima come organizzazioni criminali ad esempio in Austria, Francia, Germania o Spagna, non è tanto la presunta illegalità delle loro attività, pretesto usato per giustificare la repressione, quanto il volume della loro voce. È il fatto che si fanno sentire, si sentono e sono ascoltati. È il fatto che raggruppano persone intorno ad una visione della società e della relazione con l’ambiente che richiede un cambiamento radicale, ripensando i nostri modelli economici. Questa visione che i difensori e difensore dell’ambiente cercano di rappresentare è in linea con gli avvertimenti degli scienziati sulla catastrofe incombente e sull’urgenza di agire. I tentativi di mettere il bavaglio alla voce di chi difende l’ambiente attraverso misure restrittive dello spazio civico e delle libertà fondamentali, non sminuiranno tale urgenza. A questo punto l’unica risposta ragionevole alla disobbedienza civile pacifica ed ambientalista è che le autorità, i mezzi di comunicazione ed il pubblico prendano atto di quando sia importante per tutti noi ascoltare quello che i difensori dell’ambiente hanno da dire.

leggi la versione integrale del rapporto a questi link: da osservatoriorepressione.info \ www.indifesadi.org

 

Studentati extra lusso, la presa in giro dell’Assessorato-Casa di Milano: la gentrification servita agli universitari, uno schiaffo in faccia al diritto allo studio degli studenti fuori sede

Gli studenti hanno protestato per mesi alloggiati nelle tende davanti al Politecnico contro il caro affitti a Milano e la risposta del Comune non si è fatta attendere. I Comitati Civici Milanesi  esprimono solidarietà agli studenti fuori sede per questa ennesima presa in giro da parte dell’Assessorato alla Casa già a guida Maran e si augurano che tale convenzione venga immediatamente rivista a favore del diritto allo studio con affitti sostenibili per gli universitari_

L’Amministrazione comunale ha concesso a Coima volumetrie in centro città per costruire un villaggio olimpico che dovrebbe ospitare 1.400 atleti olimpici e paraolimpici con un consumo di suolo di 40.000 mq. Con la promessa di essere riconvertito in studentato, per “un aiuto al diritto allo studio” e per avere “nuovi spazi a prezzi bassi per gli studenti” è stata firmata una convenzione che parrebbe degna delle politiche abitative perpetuate in questi anni. Stiamo parlando di gentrificazione applicata agli universitari: mini alloggi che vanno da 740 euro per un posto in una stanza doppia a 1.000 euro per una singola con una gestione diretta da parte di Coima assicurata per 30 anni. Se la notizia fosse confermata, ci chiediamo con che coraggio Coima ha presentato un piano per compensare i circa 40 milioni di extra costi alle autorità competenti (i Ministeri, il Comune e la Regione) dopo che a marzo Cassa Depositi e Prestiti ha investito altri 50 milioni di euro nell’operazione immobiliare. Oltre al danno pure la beffa. Altro che “uno spazio primario per che diventerà poi un bene restituito alla comunità cittadina”!

leggi comunicato dei Comitati Civici Milanesi su salviamoilpaesaggio

 

Musei e patrimonio culturale, no al museo luna-park: a cosa serve oggi l’istituzione museale?

Lo spazio museale è ancora sentito come “impareggiabile risorsa collettiva contro l’azione distruttiva del tempo”? Cosa rimane oggi – si chiede Francesca Valbruzzi – della politica culturale delle riforme degli anni settanta, sviluppate per collegare i musei al territorio e alle comunità? Rimane ben poco – scrive l’archeologa – e prevale la prospettiva dell’intrattenimento, con il «rischio costante dell’effetto ‘luna park’, favorito dall’utilizzo sempre più invadente della multimedialità»_

Perché abbia luogo questo rinvio all’eternità, è necessario evitare che “il Museo, e la Storia che questo mette in scena, vengano strumentalizzati, per fini di utilità personale o politica, come purtroppo accade spesso con gli Stati odierni che, con le loro sponsorizzazioni ai musei, vogliono più che altro ottenere la rappresentazione di se stessi. “Un obiettivo non buono né innocente”. Ce lo ricorda l’acronimo HMHNS (Hoc Monumentum Haeredes Non Sequitur, ‘questo monumento non passa in proprietà agli eredi’), preso probabilmente in prestito, negli anni Settanta del 1700, da una lastra tombale latina e utilizzato nell’apertura del Museo Clementino, che avrebbe raccolto la massima collezione di antichità d’Europa. Così si è espressa Francesca Valbruzzi, archeloga e amica di Argo, nell’intervento pronunziato in occasione della presentazione (Palazzo Branciforte, 13 giugno 2024) dei tre volumi che raccolgono le lezioni tenute dai docenti del Corso triennale di Alta formazione di Museologia e Museografia che ha avuto luogo a Palermo, Palazzo Butera, negli anni 2020- 2021- 2022. Voluto da Valter Curzi (direttore della Scuola di specializzazione in Beni storico Artistici della Università La Sapienza) per colmare una grave lacuna del sistema universitario di formazione dei professionisti dei beni culturali e per offrire l’opportunità di una riflessione critica sulla moderna museologia, è stato arricchito da diversi contributi tra cui quello della nostra relatrice. Valbruzzi ha colto l’occasione per ricordare l’importanza del ruolo degli storici dell’arte e degli archeologi nel Museo contemporaneo. Un ruolo necessario alla sua stessa sopravvivenza, ma “disconosciuto in primis dal Ministero della Cultura che nei recentissimi bandi per le Elevate Professionalità esclude proprio le figure professionali degli storici dell’arte e degli archeologi, rimarcando la loro funzione accessoria, quindi subalterna, ad informatici, statistici, biologi, chimici, fisici, geologi, architetti, restauratori, ingegneri, e ingegneri gestionali richiesti dal concorso per vicedirigenti”. Gli utenti perdono così la percezione della complessità e del ruolo quasi sacrale del museo come luogo di accesso ad un “insieme di valori che richiede una sorta di iniziazione”. Vero è che questo ruolo deve essere aggiornato ai bisogni attuali, il più importante dei quali è quello della narrazione, che va fatta a partire dalle aspettative del pubblico. Ma questo “non per abbassare ma per potenziare ed approfondire il livello della comunicazione” e la divulgazione del patrimonio culturale. Occorrono, a questo scopo, risorse professionali qualificate, storici dell’arte, archeologi, e non “servizi aggiuntivi” che riducano quella del musei ad un’offerta commerciale, al pari di un gadget o di un cappuccino e brioche. Sotto la pressione del mercato, c’è infatti il rischio di ridurre i musei a biglietterie e di affidare la loro gestione a direttori-manager.

da argocatania [il link del testo integrale dell’intervento di Francesca Valbruzzi]

 

Un Paese fatto a pezzi in nome dell’autonomia differenziata. L’addendum ecologico

Le “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario” trasferiscono anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi. La legge prevede che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Livelli essenziali delle prestazioni: “è una bomba per la tutela della natura e del territorio”, aveva prima scritto il prof. Paolo Pileri ed oggi ribadisce che si tratta di “un meccanismo fatale”. Il non senso della norma la si ritrova nella figura fondamentale istituita che dovrà monitorare i Lep (articolo 3, comma 4): la Commissione paritetica, ovvero la compagine esecutiva con al traino le “regioni virtuose” del cosiddetto ‘partito trasversale del nord’ _

Come avevamo già denunciato allibiti, alle Regioni sarà trasferita anche la competenza sulla tutela degli ecosistemi, il noto punto s) dell’articolo 117 della Costituzione. La legge ha deciso che anche per la tutela degli ecosistemi dovranno essere fissati dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni (art. 3, c. 3). Ecco la fessura diabolica. Innanzitutto, la parola “prestazione” è di per sé odiosa oggi ma accostata agli ecosistemi diviene un obbrobrio inguardabile che svela l’idea mercenaria della natura nella testa del governo. Chi ha deciso di applicare i Lep agli ecosistemi non deve aver chiaro che cosa siano e come funzionino. Il più scarso tra gli ecosistemi è titolare di decine di migliaia di “prestazioni”. Di conseguenza, quale tra le tante sarà scelta? Ad esempio, tra le “prestazioni” del suolo, quale sarà considerata essenziale? La capacità d’uso? Il tenore di biodiversità? La permeabilità? Il grado di saturazione? Il livello di salinizzazione? Che cosa? E quale sarà la soglia limite di riferimento? E poi il Lep sarà il medesimo per tutte le Regioni o no? In Lombardia sarà la capacità d’uso dei suoli e in Umbria la biodiversità? Ma poi, la prestazione diabolica di cui si parla sarà prestazione dell’ecosistema verso se stesso o verso noi umani, cronici predoni di natura? Insomma, un bosco avrà buone prestazioni se produrrà buon legno da ardere o da costruzione o se garantirà biodiversità ospitando sempre più specie di uccelli? Ma le diavolerie non finiscono qui. C’è la patata bollente di chi deciderà i Lep. E come li monitorerà. La legge ne parla all’articolo 3 dove vengono concessi 24 mesi al governo in carica per definire i citati “livelli essenziali”. Le Regioni vengono sentite tramite l’acquisizione di un parere della Conferenza delle Regioni (non si capisce se vincolante o meno. Bizzarro, perché con una mano si vuole l’autonomia delle Regioni, con l’altra non sono le Regioni a decidere: vai a capire). Insomma, a stabilire i Lep saranno i politici della maggioranza di governo. Sempre loro. Non si fa ovviamente alcun cenno al ricorso a esperti, men che meno indipendenti (non sia mai che le cose vadano in direzioni impreviste), che nel caso della tutela degli ecosistemi sarebbero ecologi, naturalisti, forestali, pedologi, entomologi, climatologi, etc. Nessun esperto all’orizzonte, per ora dobbiamo digerire il fatto che i Lep sulla tutela degli ecosistemi saranno decisi da chi non è detto sappia qualcosa di ecosistemi, di suolo, di alberi, di come funziona una frana o un fiume. Se è questa l’autonomia che volevano c’è solo da disperare, perché con queste premesse poggia i suoi piedi nell’ignoranza ecologica.

articolo integrale su altreconomia

 

Cancelliamo l’AD, al via la raccolta firme per il referendum contro secessione dei ricchi

Da metà luglio fino al 30 settembre ci sarà tempo per raccoglierne almeno 500 mila a meno che 5 Regioni non appoggino il quesito che deve comunque passare il vaglio dell’Alta Corte. La strada è in salita, ma la posta in gioco è altissima_

Lo scorso 5 luglio 34 esponenti di associazioni, partiti, sindacati e molte personalità hanno depositato in Corte di Cassazione il quesito per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata, approvata in via definitiva dal Parlamento. Inizia ora un percorso che si prospetta arduo e impegnativo: bisogna consegnare le firme (almeno 500mila) entro il prossimo 30 settembre. Gran parte del lavoro di raccolta si concentrerà tra la seconda metà di luglio e la prima parte del mese di settembre. Sarà un lavoro capillare e diffuso che dovrà convincere i cittadini e le cittadine della gravità di una legge che spaccherà l’Italia in due, ridurrà i diritti dei cittadini, favorirà istanze secessioniste e separatiste. Non è detto che – una volta raccolte le firme – il quesito referendario passi il vaglio della Corte Costituzionale. Il governo, con una discreta furbizia, ha infatti reso il provvedimento un “collegato” alla legge di bilancio e le materie di spesa pubblica non possono essere oggetto di referendum. Una strategia alquanto stupida, poiché nella legge si dice che le norme si attuano ad “invarianza finanziaria”. Un’altra possibilità che il quesito venga respinto dalla Corte deriverebbe dal fatto che si tratta di una legge di attuazione costituzionale. Ma non è così, tanto è vero che intese tra il governo le Regioni si possono fare sui medesimi temi, senza bisogno di una legge. Sta di fatto che prima di dicembre saranno sostituiti 4 giudici della Corte, eletti dal Parlamento, da una maggioranza di centrodestra. La strada è dunque in salita e l’esito è quantomeno incerto. Nonostante ciò si tratta di una scommessa che è giusto accettare, perché la posta in gioco è troppo alta. E comunque ne vale la pena, non fosse altro perché questo permetterà di promuovere una campagna diffusa di sensibilizzazione e di informazione dell’opinione pubblica. Dietro l’astrusa formula dell’autonomia differenziata dobbiamo essere capaci di tradurre in molto più semplice le conseguenze: in molte Regioni i bambini non avranno il tempo pieno, in altre sì; da alcune Regioni i malati dovranno trasferirsi (come già succede) per le cure nelle Regioni più ricche; ci saranno meno asili nido in gran parte d’Italia; in alcune Regioni maestri e maestre saranno pagati di più, in altre di meno. Dietro la formula asettica dell’autonomia differenziata si nasconde un peggioramento delle condizioni materiali e sociali del Paese. Ecco perché è necessario mobilitarsi e raccogliere le firme per il referendum abrogativo.

da Sbilanciamoci.info

 

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