Si è tenuta ieri, sabato 6 luglio 2024, la manifestazione nazionale indetta dalla CGIL contro il caporalato, lo sfruttamento del lavoro e la legge Bossi-Fini, considerata come il principale ostacolo alla fuoriuscita dalla clandestinità di centinaia di migliaia di lavoratori immigrati. In diversi settori della nostra economia questi sono costretti a lavorare in nero, senza tutele e diritti, sottopagati, sottoposti ai ricatti di padroni e padroncini privi di scrupoli, a condizioni di lavoro disumane che non è esagerato in taluni casi, purtroppo non isolati, chiamare di semischiavitù.

La sfida della terza mobilitazione, che ha riempito con migliaia di persone la piazza principale di Latina, può dirsi vinta grazie al grande sforzo organizzativo della CGIL, delle sue Camere del Lavoro territoriali, dal Veneto e la Lombardia fino alla Sardegna, alla Sicilia e alla Puglia, oltre che ovviamente alla CdL di Roma e del Lazio.

Parallelamente alla mobilitazione territoriale è stato evidente lo sforzo organizzativo delle categorie che compongono la Confederazione e in particolare la Flai, la Fillea, la Fiom, la FLC e la Fp. A completare il quadro le ragazze e i ragazzi della Rete degli Studenti Medi, organizzazione studentesca considerata vicina alla CGIL.

Erano migliaia dunque i militanti della CGIL che hanno attraversato in corteo la città pontina, decretando la riuscita della mobilitazione con un corteo importante e dignitoso.

A questi militanti sindacali si devono aggiungere le delegazioni dell’Anpi, di Libera, di Legambiente e dei partiti di opposizione che condividono con la CGIL la prossima stagione referendaria contro l’autonomia differenziata e per estendere i diritti dei lavoratori (PD, Movimento 5 Stelle, Avs, Prc, PCI).

Ha sfilato in corteo infine una delle pochissime Amministrazioni Comunali rette dal centro-sinistra, ossia quella di Cisterna di Latina, con l’assessore delegato dal sindaco con la fascia tricolore.

Poiché la matematica non è una opinione, risulta tuttavia evidente che la mobilitazione ha coinvolto soprattutto il quadro militante di tutta Italia dell’organizzazione, che è certamente composto anche da lavoratori immigrati, ma ha lasciato assai tiepida la maggioranza dei braccianti scesi in piazza martedì scorso nella grande manifestazione organizzata dalla comunità Sikh con la UIL, la CISL e in misura assai minore con i Cobas e l’Usb. Non ho elementi per esprimermi su questa dispersione di forze e mi limito a rammaricarmene.

Dal palco un lavoratore indiano immigrato, Kumar Ramesli, ha raccontato che anche aziende del Nord sfruttano senza scrupoli, parlando per esperienza diretta in quanto bracciante addetto con i suoi compagni alla raccolta del radicchio rosso a Treviso: lavoratori super sfruttati per oltre dieci ore al giorno e poi neppure pagati.

Fa scandalo la storia di Ramesh K., che grazie alla sua denuncia ha reso possibile l’arresto per omicidio doloso di Alessandro Lovato, titolare dell’azienda ortofrutticola di Latina in cui lavorava Satnam Singh, che a seguito del grave incidente sul lavoro e soprattutto dell’abbandono per strada, è stato lasciato morire privo di soccorso.

Ramesh, che non ha il permesso di soggiorno poiché lavorava in nero, non lo ha ancora ottenuto per motivi giudiziari e ora teme di non poter più lavorare, anche perché stiamo parlando di un territorio controllato dalla camorra.

Dal palco un Landini “acciaccato da una fastidiosa bronchitella” ha tuonato contro la legge Bossi-Fini, che va cancellata perché ostacola la regolarizzazione dei lavoratori migranti presenti in Italia, che devono invece avere un permesso di soggiorno anche se in cerca di lavoro.

Sul contrasto al caporalato e al lavoro nero, le leggi ci sono, ma mancano gli ispettori che devono farle rispettare e quindi vanno quindi assunti immediatamente.

Landini ha ricordato i milioni di euro che il Pnnr ha già destinato per l’emergenza abitativa dei lavoratori migranti, ma questi soldi non vengono spesi e ha proposto che i finanziamenti alle aziende agricole vengano concessi solo dopo aver controllato la congruità tra estensione dei terreni lavorati e la manodopera regolarmente impiegata.

Ho appena letto che un accordo raggiunto dal sindacato dei braccianti del Polesine, politicamente guidati e organizzati da Giacomo Matteotti, impose nell’estate del 1920 agli agrari l’assunzione di un congruo numero di braccianti a seconda dell’estensione delle diverse aziende e che le assunzioni dovessero avvenire, secondo criteri oggettivi, attraverso uffici di collocamento gestiti attraverso le Camere del Lavoro e le Leghe Contadine.

Il “Concordato Parini-Matteotti” stabiliva il cosiddetto “imponibile di manodopera” in base al quale tutte le aziende dovevano assumere in regola e tramite collocamento, almeno un contadino ogni 6 ettari di terra per estirpare il lavoro nero, l’eccessivo sfruttamento e l’arbitrio discriminatorio nelle assunzioni. Un precedente di cui dovremmo tenere conto.

La manifestazione della CGIL si è chiusa con l’appello di Landini a sostenere la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia Differenziata, per contrapporre al gretto egoismo le idee di uguaglianza, solidarietà e cooperazione.