Questa domanda compare prima di un recente articolo di Sergio Cararo su Contropiano; l’articolo parla della escalation in corso in Ucraina evidenziando i rischi anche di deriva nucleare. La domanda non è posta da Cararo ma da colui o colei che ha inoltrato l’articolo in una chat dal titolo piuttosto ambizioso: “Sciogliamo la Nato, mai più guerre”. Evidentemente questa persona ripone o riponeva fiducia e speranze nel ruolo della magistratura anche su tematiche di rilevanza politica come guerra, armamento nucleare, esportazione di armi e così via. 

Ho constatato che sono molte le persone che ripongono fiducia nella magistratura. Ho deciso pertanto di scrivere un veloce resoconto su varie vicende che sono state portate al vaglio di magistrati. Alla luce dell’esito di queste vicende anticipo subito la mia risposta alla domanda se la magistratura non conti più nulla in Italia: conta ancora qualcosa nella ordinaria amministrazione della giustizia ma ha rinunciato a svolgere la sua funzione- che pure le competerebbe- sulle questioni di rilevanza nazionale e internazionale con ricadute politiche.

La magistratura ha avuto varie occasioni di occuparsi del delicato e attualissimo tema dell’export di armi verso paesi in guerra (Ucraina) o responsabili di crimini contro l’umanità (Israele) in violazione della legge 185/ 90 e dell’altro delicatissimo e attualissimo tema della presenza di armamenti nucleari in Italia in violazione della stessa legge oltre che di altre normative nazionali e di trattati internazionali sottoscritti.

Ha sempre deciso di non decidere o, in un recente caso in cui ha deciso, ha respinto la domanda con la condanna del ricorrente alle spese del procedimento.

Prima della veloce disamina dei casi è opportuna una precisazione: il sottoscritto ha recentemente firmato insieme ad altri avvocati e alcuni palestinesi la denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma per complicità del governo italiano nel genocidio in corso a Gaza. In precedenza il sottoscritto aveva redatto e firmato altre due denunce, una per la fornitura di armi ad Israele e l’altra per la presenza di armi nucleari in Italia. Qualcuno potrebbe ravvisare una contraddizione tra il drastico giudizio negativo appena espresso sul ruolo della magistratura e l’ostinato rivolgersi alla stessa. Così non è perché la magistratura ha accettato, in passato, di svolgere un ruolo importante con ricadute politiche e non è da escludere che qualche componente del non omogeneo panorama giudiziario prima o poi  decida di cambiare rotta. E’ quanto accaduto recentemente con la Corte penale internazionale che ha finalmente sottoposto a giudizio due esponenti importanti di uno Stato forte come Israele e non più solo politici, spesso africani, di basso profilo. È pertanto giusto insistere anche sulla base di esperienze passate.

I tre poteri dello Stato negli anni ‘70/ ’80 si sono coalizzati ad esempio contro il fenomeno della lotta armata: il potere legislativo con la promulgazione di leggi sulla collaborazione e sulla dissociazione al limite della incostituzionalità; quello esecutivo con operazioni a dir poco spregiudicate sul territorio o nelle carceri (irruzione in via Fracchia, torture nel caso Dozier); quello giudiziario con processi sommari (maxiprocessi in aule bunker) che vedevano una abnorme dilatazione dell’istituto del concorso nel reato nonché l’applicazione di pene sproporzionate.

Negli anni ‘90 si è visto un fenomeno opposto con la magistratura contrapposta al potere politico messo sotto accusa (Mani pulite).

Staremo pertanto a vedere che cosa ci riserva il futuro sugli attuali temi: armi, guerre, nucleare, genocidio.

Tutto ciò premesso veniamo alla casistica.

Nel 2014 abbiamo presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Varese competente territorialmente sulla azienda Aermacchi (ora Leonardo) una denuncia per la fornitura ad Israele di 30 aerei M346. Era in corso l’eccidio a Gaza denominato “Margine protettivo” e la consegna dei primi aerei coincideva con i bombardamenti; vi era  pertanto il fondato sospetto che venissero usati anche gli aerei di produzione italiana per massacrare i palestinesi. Su richiesta del PM, nonostante la nostra opposizione, il GIP di Varese archiviò il procedimento, limitandosi a constatare la presenza delle autorizzazioni ministeriali per le forniture, rinunciando a svolgere le indagini sollecitate e il ruolo di controllo sulla legittimità dell’esportazione che pure gli competeva.

Nel 2016 l’associazione “Rete italiana pace e disarmo” ha presentato una denuncia contro l’azienda RWM con sede in Sardegna per la fornitura di bombe alla coalizione Saudita, bombe utilizzate nello Yemen. In questo caso vi era la prova certa dell’utilizzo delle bombe fabbricate in Italia per l’uccisione della popolazione civile essendo state rinvenute schegge di una bomba della RWM con numero di matricola in una casa distrutta con dentro i resti di una famiglia di sei yemeniti sterminata. Una prima richiesta di archiviazione è stata respinta, non così la seconda. La motivazione dell’archiviazione contiene inquietanti riferimenti al “pubblico interesse a proteggere l’economia nazionale” e alla “garanzia dei livelli occupazionali”. Il diritto alla vita delle persone bombardate gode, evidentemente, di minore tutela rispetto alle esigenze economiche ed occupazionali.

Altro caso: pende attualmente una opposizione avanti al GIP di Pordenone contro la richiesta di archiviazione della denuncia per omissione di atti d’ufficio contro il Prefetto per non avere questi reso pubblici i piani di emergenza -se esistenti- relativi alle armi nucleari detenute ad Aviano. La diffida dei denuncianti, infatti, non aveva avuto alcuna risposta.

Altro caso: pende attualmente una richiesta di archiviazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma contro la denuncia per la presenza delle armi nucleari in Italia a Ghedi e Aviano. La richiesta è intervenuta nove giorni dopo il deposito della denuncia senza che il magistrato abbia avuto il tempo di leggere l’ampia documentazione a sostegno. Non appena note le motivazioni della richiesta sarà proposta opposizione.

Pende, come detto, la denuncia contro il governo per complicità in genocidio per la fornitura di armi ad Israele. La denuncia è particolarmente fondata sia perché il governo, dopo una iniziale smentita, ha ammesso la fornitura di armi anche dopo il 7 ottobre 2023, fornendo così un contributo al genocidio in corso a Gaza, sia perché la Corte Internazionale di Giustizia, nella propria ordinanza del 26 gennaio 2024 nel procedimento instaurato su iniziativa del Sudafrica, ha esplicitamente ammonito tutti gli Stati dall’astenersi da qualsiasi aiuto ad Israele, pena il concorso nel crimine in atto. Ad oggi non sono noti provvedimenti sulla nostra denuncia.

Visto l’accenno appena fatto all’ordinanza della Corte internazionale di giustizia e nel caso in cui qualcuno riponga speranze almeno nella magistratura internazionale è opportuno spendere qualche parola anche sulle due Corti con sede all’Aja.

La Corte Internazionale di Giustizia nel caso promosso dal Sudafrica contro Israele ha emesso un’ordinanza di grande pregio, ritenendo altamente probabile che sia in corso un genocidio ed ordinando ad Israele una serie di misure provvisorie per ridurre i danni alla popolazione civile. I sei ordini impartiti dall’ordinanza del 26 gennaio e quelli successivi sono stati, però, tutti disattesi da Israele. La Corte sconta l’assenza di poteri coercitivi. Significativo, in tal senso, anche il precedente del parere consultivo della stessa Corte nel 2004 sul muro di separazione nei territori palestinesi occupati. La Corte si pronunciò per l’illegalità del muro e dell’occupazione ma la costruzione del muro proseguì come pure la colonizzazione.

La Corte Penale Internazionale nel 2021 ha dato impulso a una procedura pendente dal 2009 e recentemente la Procura presso la Corte ha chiesto l’emissione di cinque ordini di arresto, tre contro dirigenti di Hamas e due contro Netanyahu e il ministro della difesa Gallant. Ad oggi, nonostante l’eccidio in corso ed in particolare la recente strage di Nuseirat, gli ordini non sono stati ancora emessi. Difficile sarebbe comunque la loro esecuzione.

Sinora abbiamo parlato delle numerose richieste di archiviazione e dei procedimenti in corso senza utili ricadute sulle situazioni sul terreno. All’inizio ho ricordato un caso in cui il giudice ha deciso. La decisione è, però, a dir poco sconcertante. Un avvocato palestinese, Abdel Ati, si è rivolto alla magistratura civile italiana con un ricorso in cui chiede di sospendere la fornitura di armi ad Israele e di riavviare i finanziamenti all’UNRWA, l’organizzazione dell’ONU che si occupa dei profughi palestinesi. Abdel Ati ha perso sei familiari a Gaza e la sua casa è stata distrutta dalle bombe. Il giudice ha rigettato il ricorso ritenendo gli atti politici non sindacabili dal giudice. I difensori hanno vanamente ricordato al giudice che di fronte alla violazione di diritti fondamentali l’atto politico è suscettibile di valutazione giuridica. Alcuni passaggi della decisione appaiono strabilianti: “non ricorrono l’urgenza e il pericolo perché il ricorrente è in Egitto e i suoi più stretti familiari sono già stati uccisi” ed ancora “non c’è nesso tra il genocidio e la fornitura di armi e neppure tra il taglio dei fondi all’UNRWA e la carestia in atto”. Affermazioni che si commentano da sole. Il giudice raggiunge un alto livello di sadismo condannando infine il ricorrente alle spese del giudizio, peraltro liquidate in misura elevata: € 7000. Così l’avvocato Abdel Ati impara a rivolgersi alla magistratura italiana; sia la decisione di monito per altri fiduciosi.

Questa rapida rassegna spero che possa contribuire a spiegare come sia l’arma del diritto in sé ad essere screditata quando non addirittura criminalizzata. Mi riferisco al concetto di “Lawfare” sempre più evocato soprattutto da esperti di diritto internazionale. In parole povere l’azione legale non è più vista come un legittimo esercizio di diritto ma come strumento per realizzare obiettivi militari o economici. Una decina di anni fa, nel loro libro “ Il diritto umano di dominare” Nicola Perugini e Neve Gordon scrivevano: “Nel novembre del 2010 il Ministero degli Affari Esteri  (israeliano, ndr) pubblicò un lungo rapporto dal titolo “La campagna per diffamare Israele” nel quale sosteneva che la strategia per delegittimare Israele tramite cornici legali e sfruttando forum giuridici sia internazionali che nazionali è stata adottata dopo il fallimento di numerosi tentativi militari di distruggere lo Stato ebraico… Se il teorico militare tedesco Carl von Clausewitz ha affermato che la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi, bisogna riconoscere che anche la guerra giuridica è la continuazione dell’attività terroristica con altri mezzi”. Portare Israele a giudizio avanti alla Corte internazionale di giustizia o suoi esponenti politici avanti alla Corte penale internazionale sarebbe, quindi, non esercizio di un diritto ma continuazione di attività terroristica! Così si spiega perché coloro che documentano i crimini di Israele sono sempre accusati di faziosità e antisemitismo quando non anche di collusione con organizzazioni ritenute da Israele terroristiche, si veda il recente caso dell’UNRWA o, in passato, di 6 associazioni palestinesi per i diritti umani.

Tempi cupi insomma per il diritto: o non viene correttamente applicato e le archiviazioni a fronte di fondatissime denunce si susseguono o viene il suo esercizio addirittura interpretato come strumento per finalità diverse da quelle sue proprie.

I tenaci difensori del diritto e della magistratura mettono in evidenza comunque alcuni aspetti positivi. Nel caso della Corte Internazionale di Giustizia è stato giustamente messo in evidenza che già solo la pendenza del giudizio per un crimine gravissimo come il genocidio sia un grande risultato; positivo anche il fatto che altri Stati si siano associati all’iniziativa del Sudafrica. Non solo ma, a livello politico, la pendenza del giudizio avanti alla Corte Internazionale di Giustizia e la richiesta degli ordini di arresto della Procura alla Corte penale internazionale hanno contribuito all’isolamento di Israele nel contesto internazionale come mai è avvenuto prima. Significativa anche la mobilitazione popolare mondiale, incluse molte realtà ebraiche.

Sono valutazioni del tutto condivisibili ma, osservo, esterne all’azione giudiziaria; sono effetti politici indotti, per quanto certamente positivi. Sarebbe preferibile che gli ordini della Corte Internazionale di Giustizia fossero dotati di esecutività e che fosse data effettiva esecuzione agli ordini di arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, auspicabilmente emanandi.

A livello interno sarebbe auspicabile una maggiore attenzione verso le denunce su tematiche con ricadute politiche senza timori sulle conseguenze ma, anzi, con orgoglio per la possibilità offerta di svolgere un ruolo di altissimo rilievo istituzionale.

Con questa speranza, nonostante tutto, insistiamo nel considerare la magistratura un interlocutore cui rivolgersi.

 

 Ugo Giannangeli