Negli ultimi anni è diventato sempre più frequente vedere militari in uniforme entrare nelle scuole italiane. L’obiettivo dichiarato? Educare i giovani alla cittadinanza, al senso del dovere e alla difesa della patria. Ma c’è chi vede in questa crescente presenza un’operazione di proselitismo mascherata, volta a normalizzare la presenza militare e a costruire nell’opinione pubblica il mito della necessità di una società militarizzata.

I progetti, sponsorizzati e sottoscritti nel corso degli anni dai ministeri della Scuola e della Difesa e sostenuti a livello locale dalle scuole che aprono le loro porte alle divise, prevedono incontri, conferenze e dimostrazioni pratiche rese possibili anche grazie alle attività collegate ai PCTO, i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento.

Gli studenti ascoltano testimonianze di missioni all’estero, apprendono le tecniche di primo soccorso, di difesa personale e assistono a simulazioni di operazioni militari. Tutto questo, a detta dei promotori, con l’intento di trasmettere valori di disciplina, coraggio e spirito di squadra.

Ma la questione è ben più complessa. Perché questi interventi rappresentano un tentativo subdolo di reclutare giovani menti impressionabili, di inculcare l’idea che la militarizzazione della società sia non solo inevitabile, ma anche desiderabile. E in un’epoca in cui il dibattito pubblico è sempre più polarizzato e la sfiducia nelle istituzioni è ai massimi storici, c’è chi teme che questa “educazione alla cittadinanza” sia in realtà una forma di indottrinamento.

Normalizzare la guerra

Ma non c’è solo questo. La presenza dei militari nelle scuole potrebbe contribuire a diffondere un’immagine storpiata della realtà, in cui la forza e l’uso della violenza vengono banalizzati, legittimati e infine glorificati. Questo rischia di far passare in secondo piano altre forme di risoluzione dei conflitti, basate sul dialogo e la diplomazia. La costruzione del mito militare, infatti, prevede che la guerra e la violenza diventino parte dell’immaginario come qualcosa di ammissibile o, peggio ancora, divertente. E non è difficile far passare questa narrazione soprattutto nei confronti di chi è cresciuto con i videogiochi, poiché questi giovani, abituati a glorificare il conflitto virtuale, potrebbero sviluppare una percezione distorta della realtà bellica, dove la violenza viene spesso romanticizzata e l’eroismo militare idealizzato. Tale distorsione potrebbe avere conseguenze sul loro sviluppo psicologico, creando una generazione meno sensibile alla sofferenza umana e più incline a considerare la violenza come una risposta accettabile ai conflitti.

L’evento di Monsummano Terme

Tutto questo non succede solamente all’interno delle scuole o negli eventi legati all’orientamento degli studenti in uscita dalle superiori. La settimana scorsa, a Monsummano Terme, in provincia di Pistoia, il 183º reggimento paracadutisti Nembo ha partecipato alla manifestazione “Sportiva 24”, coinvolgendo bambini e ragazzi in una serie di attività. È stato allestito un mini campo addestrativo con percorso a ostacoli, accompagnato da uno stand espositivo con mezzi militari e con la ricostruzione di una carlinga che ha permesso ai partecipanti di giocare al paracadutista.

Ma cosa si cela dietro queste attività apparentemente innocue? I bambini sono spugne: assorbono tutto ciò che vedono e sentono. Gli esperti in sviluppo infantile ci dicono che le esperienze formative influenzano profondamente il loro sviluppo psicologico. E cosa succede quando la guerra viene presentata come un gioco? Si rischia di creare una visione distorta della realtà. Il pericolo è che i bambini possano crescere con l’idea che la violenza sia normale, se non addirittura allegra.

Il rischio di indottrinamento

La partecipazione a tali eventi potrebbe anche essere vista anche come un primo passo verso l’indottrinamento militare. In alcuni casi estremi, potrebbe addirittura preparare il terreno per un futuro reclutamento. È fondamentale mantenere una chiara separazione tra l’educazione dei bambini e le istituzioni militari, garantendo che le loro scelte future siano libere.

Le responsabilità degli adulti verso i bambini sono enormi. Farli partecipare a giochi di guerra può inviare messaggi moralmente ambigui. Le istituzioni e le famiglie dovrebbero riflettere su quale tipo di valori vogliono trasmettere. È fondamentale che i bambini capiscano le conseguenze reali della violenza e l’importanza di cercare sempre soluzioni pacifiche.

In chiusura, ci chiediamo: è giusto sfruttare l’innocenza dei bambini per promuovere ideologie specifiche? I diritti dei bambini includono la protezione da ogni forma di sfruttamento e manipolazione. Gli eventi che utilizzano la guerra come gioco possono essere visti come una violazione di questi diritti?

Presentare la vita militare come un gioco è un errore che non possiamo permetterci. Le implicazioni etiche, psicologiche e educative sono troppo gravi per essere ignorate. Dobbiamo proteggere i nostri bambini, insegnare loro i valori della pace e garantire che crescano con una comprensione chiara e sana del mondo.

 

Simona Tarzia