La formula da undici anni è la stessa: un documento introduttivo che ispira gli incontri, indicando il tema della serata e poi, tutti i giovedì di maggio, una o più proiezioni suggerite dal Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli e a seguire dibattiti con testimoni e autori, a volte accompagnati da giornalisti ed esperti.

E’ stato così anche per l’XI edizione de “I Giovedì del Cinema dei Diritti Umani” di Salerno, anno 2024, la rassegna in cui il tema da approfondire non consentiva di tergiversare: “L’Europa tra migrazioni e guerre”. La concomitanza con le consultazioni elettorali europee ha sicuramente aumentato la tensione del dibattito e acuito la critica sui temi scelti, ma non poteva essere diversamente, considerata la gravità del momento che stiamo attraversando. Anche i titoli delle tre serate (“Il grido dei bambini di Cutro”, “I campi di confinamento nell’Europa del XXI secolo”, “Da Kiev a Gaza – Una giornalista tra due guerre”) non hanno consentito pause, ma hanno riproposto ricordi e immagini di dolorosa attualità, incalzando il pubblico con scelte imbarazzanti, proponendo dilemmi non facili da risolvere.

L’Europa, come progetto politico ancora molto giovane, ne è uscita molto male, appiattita su posizioni quasi sempre discutibili, prive di autonomia ed identità, sempre lontana dal profilo di civiltà e pacifica convivenza con cui il Vecchio Continente si è accreditato presso il resto del mondo, insomma deludente e disumana. A raccontare le storie esemplari, scelte come battistrada dei dibattiti delle serate del 6 e 23 maggio e 20 giugno, sono intervenuti tre testimoni di prim’ordine: Domenico Oliverio, avvocato di Crotone, partecipe dei fatti di Cutro, Gianfranco Schiavone, giurista esperto di migrazioni e Raffaella Cosentino, giornalista di RaiNews, inviata in zone di guerra in Ucraina e Israele-Palestina. A ognuno dei tre ospiti sono state poste domande dal sottoscritto, coordinatore del Festival del Cinema dei Diritti Umani di Napoli, ma soprattutto dal pubblico presente, spinto dall’occasione di avere a portata di mano protagonisti di fatti di attualità che da mesi sono sulle prime pagine dei notiziari.

La prima serata, dedicata ai minori annegati nel mare di Cutro per mancanza di soccorso delle istituzioni italiane, alla durezza del “decreto Cutro” e alle condizioni critiche in cui versa la “legge Zampa” che tutela i minori stranieri non accompagnati, ha visto l’intervento (da remoto) della senatrice Sandra Zampa, che è stata la prima firmataria della legge 47/2017. La senatrice ha sottolineato come l’attacco del governo abbia gravemente depotenziato uno dei provvedimenti più delicati in tema di welfare che sia stato approvato in Italia negli ultimi anni, teso a difendere la serenità e lo sviluppo etico dei bambini migranti, venuti in Italia dal mare o comunque approdati nel nostro Paese senza tutele familiari. La disumanità, la violenza e il cinismo delle nostre istituzioni emersi con l’analisi dei fatti che hanno preceduto e seguito la strage di Cutro, così come ce le ha raccontate Domenico Oliverio nel ricordo di quei giorni privi di pietà, ha trovato ampio riscontro nell’analisi condotta dal giurista Gianfranco Schiavone a proposito del progetto di rigetto e criminalizzazione dei migranti, attuato dai Paesi dell’Unione con la costruzione dei “campi di confinamento” ai limiti geografici dell’Europa. L’esame del giurista, contenuta nel libro “Chiusi dentro” recentemente pubblicato da Altreconomia, delinea senza dubbi il tentativo di scoraggiare e punire i migranti che arrivano dal mare e dalla rotta balcanica, imprigionandoli nelle spirali di un sistema di difesa militare, guidato da Frontex e implementato dalle guardie costiere dei Paesi rivieraschi e dalle polizie frontaliere della ex Jugoslavia.

In questa rete a maglie strette, supportata da accordi con Paesi non democratici come Tunisia, Turchia, Libia e Albania, cadono decine di migliaia di profughi che arrivano quotidianamente con le carrette del mare, spinti dalla fame di vita e di libertà, dalla durezza della guerra e delle dittature, dalla fame e dalle epidemie; vengono arrestati e restano intrappolati in centri di prima accoglienza con la scusa dell’irregolarità dei documenti. Qui sono trattenuti per settimane o mesi in attesa di autorizzazioni ipotetiche, nutriti a malapena e tenuti in promiscuità (adulti-minori), sottoposti a un regime di limitazione di libertà che provoca spesso sommosse e proteste, represse con violenza e psicofarmaci che possono portare a scelte estreme come l’autolesionismo e il suicidio. L’imperativo che muove le regole di questo squallido gioco è unico ed uguale per tutti: tenerli fuori dall’Europa. Se qualcuno riesce a passare, il suo futuro è la schiavitù, cioè il coinvolgimento nei sistemi produttivi e di lavoro senza regole, con pagamenti in nero e nessuna garanzia di diritti umani.

In questo quadro desolante e degno delle peggiori dittature del Terzo Mondo, dimentico delle Costituzioni e delle Dichiarazioni Universali, l’Europa non è neanche capace di immaginare un sistema di regole che possa assicurare il rispetto della dignità umana e consentire l’ingresso legale dei migranti, mentre l’ondata travolgente degli ucraini è stata accolta senza nessuna obiezione. Il doppio criterio di accoglienza e l’approvazione di regole durissime per coloro che arrivano dai Paesi asiatici ed africani ha mostrato il vero volto dell’Unione e la sua incapacità di reagire alle conseguenze di un sistema di sviluppo ormai fuori dal tempo  e alle crisi politiche che la attanagliano, come quelle russo-ucraine e israelo-palestinese.

E’ toccato quindi alla giornalista Rai Raffaella Cosentino di chiudere, con alcuni servizi girati nel Donbass, nella West Bank e a Tel Aviv, l’analisi sull’atteggiamento dell’Europa nelle guerre in corso, in cui la strage di civili ha raggiunto numeri impressionanti. Lo stile giornalistico della Cosentino, aperto a una particolare sensibilità verso i fermenti che attraversano le società civili in guerra, ha portato l’obiettivo sui rapimenti di minori realizzati dall’esercito russo ai danni delle famiglie ucraine che vivevano nelle zone di frontiera e sull’azione delle minoranze politiche avverse al governo di Nethanyau all’interno della società israeliana.

Nel primo caso, grazie alle denunce della ong Save Ukraine, centinaia (600 al momento in cui scriviamo) di bambini ucraini prelevati dai militari russi nelle zone di frontiera e trasferiti in Russia (nominalmente per motivi di sicurezza legati ai bombardamenti) sono stati riportati a casa e il Tribunale Penale Internazionale ha condannato Putin e la commissaria all’infanzia del suo governo per avere ordinato questi trasferimenti forzati. Il fenomeno pare abbia un’estensione rilevante e interessi quasi 20.000 minori ucraini. Soltanto una piccola parte di essi è rimasta volontariamente in Russia accompagnata dalle famiglie. Ma se i bambini ucraini non fanno notizia, il disagio di un popolo inerme sottoposto a bombardamenti diventa insostenibile quando l’analisi passa a Gaza e alla West Bank, dove i bambini sono stati sterminati in un gioco chiamato Genocidio.

La proiezione del servizio “Siamo qui per restare” della Cosentino racconta di un legame di solidarietà stretto tra la madre di un giovane israeliano ucciso nell’attacco di Hamas del 7 ottobre e un palestinese che ha visto suo figlio ucciso senza motivo da un militare mentre aiutava una persona coinvolta in un incidente d’auto. Nelle immagini si vedono gli sforzi dei militanti pacifisti delle due parti che tentano di recuperare la memoria della resistenza e le iniziative pubbliche in cui i pacifisti attaccano le scelte politiche di Nethanyau. L’analisi della Cosentino si spinge a scoprire numerosi casi di solidarietà tra le due parti, ma il parere della giornalista è che troppo grande è la cultura militare degli israeliani, troppo radicata la paura dell’altro per poter immaginare una convivenza pacifica nei tempi brevi. Le ferite aperte dall’attacco di Hamas e dalla risposta abnorme di Tel Aviv impediranno per lungo tempo la creazione di rapporti pacifici tra i due popoli, favorendo i disegni delle destre israeliane e l’odio immortale di Hamas. C’è poco da illudersi anche osservando le immagini di protesta in piazza della gente israeliana: i rimproveri al governo sono, per la maggior parte, motivati dal non aver saputo prevedere l’attacco e dalla cattiva gestione degli ostaggi. Le critiche alle politiche securitarie sono ancora prevalenti rispetto ad una richiesta di eguaglianza legale e umana tra occupati e occupanti. La sinistra democratica israeliana è ancora troppo piccola e politicamente inconsistente per offrire garanzie di soluzioni a breve termine.

I tre giorni di riflessione offerti da “I Giovedì” di Salerno hanno quindi lasciato molti dubbi e poche certezze alle nostre speranze di Pace e al desiderio, diffuso, di un’Europa più disponibile ad ospitare e gestire i crescenti flussi migratori che, soprattutto nella stagione estiva, avranno come obiettivi le nostre coste meridionali.

Le navi umanitarie sono praticamente bloccate dai decreti del Governo Meloni e dai regolamenti europei, una nuova strage si è verificata poche ore fa all’altezza della Locride calabrese per gli stessi motivi che hanno provocato i morti di Cutro. Quella strage vergognosa non ha insegnato nulla.

L’indifferenza dei governi europei e delle Guardie costiere ormai è diventata cinismo, crudeltà, crimine di Stato e il destino dei profughi è inesorabilmente quello delle navi di schiavi dell’Ottocento.

Questa che abbiamo davanti non è più la nostra Europa e la composizione del neoeletto Parlamento Europeo, spostata a destra dall’astensionismo dei Paesi ricchi del vecchio Continente, ci preoccupa oltremodo, perché è garanzia di continuità con le forniture di armi, con la cultura della guerra e del rifiuto dell’altro, con il sistema di sviluppo insostenibile e competitivo che provoca squilibri ambientali e, soprattutto, smisurati appetiti di materie prime e di risorse energetiche, fino a giustificare l’uso delle armi per soddisfare questi bisogni, senza farsi carico di dove tutto ciò ci stia portando.

La conclusione delle nostre giornate di riflessione è racchiusa nel filmato con cui abbiamo salutato il nostro pubblico: il film “Interrupted futures” prodotto dalle donne di Shashat Cinema, una Ong nel cuore di Ramallah, le cui strutture sono state distrutte dai bombardamenti israeliani, ci ha messo davanti agli occhi i volti di decine di adolescenti palestinesi che raccontavano, con i segni delle ferite e i loro sogni interrotti, il dramma dell’odio e della guerra infinita che, per tanti anni, non abbiamo voluto vedere in quel lembo di mondo. Non esistono promesse per far rivivere i sogni di quelle ragazze e il Cinema può darci piena consapevolezza di questa amara verità.