1. Mentre si attaccavano le sentenze dei giudici che avrebbero gettato “un salvagente” alle Organizzazioni non governative che continuano a salvare vite umane nel Mediterraneo centrale, quando non vengono bloccate da provvedimenti di fermo amministrativo, venerdì 7 giugno scorso, 11 cadaveri in avanzato stato di decomposizione (ma si teme che possano essere ancora di più le vittime degli ultimi naufragi a cui nessuno aveva gettato un salvagente) documentavano gli effetti mortali della istituzione della zona SAR “libica”. Una zona di “ricerca e salvatagio” nella quale, secondo il Decreto Piantedosi contenente “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori” (legge n.15 del 2023), le navi umanitarie presenti in quelle acque internazionali dovrebbero limitare i loro interventi ed obbedire agli ordini delle “competenti autorità”, dunque della sedicente Guardia costiera “libica” rifornita ed assistita dall’Italia, con il tracciamento operato dagli assetti aerei di Frontex.
La scadenza elettorale ha reso poco visibile una serie di naufragi che avrebbero coperto i fasti per la celebrazione del futuribile avvio del Protocollo d’intesa con l’Albania e le roboanti dichiarazioni del governo sui successi conseguiti con la forte riduzione degli sbarchi in Italia, seguita al Memorandum UE-Tunisia, mentre stanno cominciando a fluire verso i paesi di transito, come la Tunisia e persino l’Egitto, i finanziamenti promessi per la chiusura delle ultime vie di fuga, ancora accessibili ai migranti intrappolati in territori nei quali sono deprivati di qualsiasi diritto, e soggetti a detenzioni arbitrarie ed a violente espulsioni collettive.
2. Oltre poche fonti giornalistiche come il Fatto Quotidiano e Rai News, solo Sergio Scandura. corrispondente per il Mediterraneo di Radio Radicale, ha fornito una meticolosa ricostruzione sul recupero di corpi che nessuno doveva vedere, dimostrando con i suoi grafici come i naufragi potrebbero essere avvenuti a distanza di giorni, proprio al centro di quella zona di ricerca e salvataggio che dal 2018, dopo il Codice di condotta Minniti, era stata fortemente sostenuta dall’Italia e riconosciuta dall’IMO (Organizzazione internazionale marittima collegata con le Nazioni Unite). Un frutto avvelenato delle politiche di contrasto delle operazioni di ricerca e salvataggio operate dalle ONG nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.
Come riferisce Sergio Scandura, dal tracciato del velivolo #Seabird2 analizzato da OSINT–Radio Radicale, emerge con la precisione della mappa nautica, la differenza tra le singole coordinate di posizione dei corpi avvistati dal velivolo ONG e il tracciato AIS della navigazione della GeoBarents, e questo lascia desumere che i cadaveri abbandonati in mare da giorni potrebbero essere ancora tanti. Sarebbero intanto almeno 14 i corpi in totale, tra quelli recuperati in mare e quelli avvistati per via aerea.
I corpi avvistati da #SeaBird2 hanno distanze tra loro che arrivano anche fino a 25/30 miglia: questo infatti potrebbe suggerire che i corpi, tra quelli recuperati in mare e quelli avvistati per via aerea, potrebbero essere vittime da uno o più eventi consumati in tragedia – nei giorni scorsi o nelle settimane passate – e della cui sorte non risulterebbero al momento superstiti, a meno che non siano detenuti
in #Libia dopo essere stati illegalmente respinti dalla c.d. guardia costiera libica. Mentre #GeoBarents procedeva al recupero dei cadaveri rinvenuti, la nave di #MSF ha soccorso una terza imbarcazione: 19 Naufraghi a bordo di un barchino in fibra di vetro, e qundi nella sera di venerdì 7 giugno faceva rotta verso il porto di Genova assegnato dal Viminale (Fonte: OSINT Radio Radicale).
3. Lo sconcerto non si è esaurito tuttavia con la scoperta di tanti cadaveri abbandonati in acque internazionali, di persone alle quali nessuno ha gettato un salvagente, e che anzi nessuno avrebbe visto, malgrado il pattugliamento aereo assicurato da Frontex sull’intero Mediterraneo centrale, tanto che i primi corpi venivano avvistati da un aereo della società civile, uno di quelli che per l’ENAC, l’ente per l’aviazione civile italiana, non dovrebbero volare in quella zona riservata alle “competenti autorità” libiche. Anche dopo la scoperta dei primi corpi le stesse autorità libiche non hanno operato alcuna attività di coordinamento delle attività SAR, almeno per quanto risulta, come sarebbe spettato alle autorità del paese responsabile per la titolarità di una zona di ricerca e salvataggio, zona SAR che evidentemente esiste per intercettare e riportare a terra, nelle mani di miliziani collusi spesso con i trafficanti, persone che cercano di fuggire da condizioni infernali di sottomissione, ma non per salvare vite e garantire un porto di sbarco sicuro, che evidentemente la Libia, nella sua attuale frammentazione politica e militare, non è in grado di garantire. Come riconosce del resto la Corte di Cassazione, nel caso ASSO 28 e nelle altre sentenze con le quali si è respinto il tentativo delle autorità di polizia volto a criminalizzare i soccorsi umanitari operati nell’area che si assume di competenza della sedicente Guardia costiera libica, Un’area che svolge una funzione di evidente deterrenza, per diminuire il numero delle persone disposte ad affrontare il mare per fuggire dagli orrori inimmaginabili,periodicamente denunciati anche dall’ONU, che subiscono in Libia. Il riconoscimento di una zona SAR “libica” per queste ragioni andrebbe immediatamente sospeso. Ma nessuna delle forze politiche più grandi ha il coraggio di affermarlo con forza, per la paura di ricadute elettorali.
4. Dopo il recupero dei corpi, con la solita assegnazione vessatoria del porto di sbarco alla nave soccorritrice, la Geo Barents di Medici senza frontiere, prima indirizzata verso Civitavecchia, poi addirittura a Genova, e si è cercato di nascondere il trasbordo delle salme, trasferite a Lampedusa con mezzi della Guardia costiera, evitando che la nave potesse entrare in un porto più vicino, come sarebbe stato Porto Empedocle. Perchè a tutti i costi gli elettori italiani dovevano essere tenuti all’oscuro di questi ennesimi naufragi, e la Geo Barents doveva essere allontanata dal Mediterraneo centrale, da quella zona nella quale sono riprese le traversate, dopo una pausa imposta dal maltempo, ed altre persone rischiano ogni giorno di annegare per le condizioni di estrema fatiscenza dei mezzi sui quali sono costretti ad affrontare il mare aperto, tutti in condizione di distress (pericolo grave ed attuale) già al momento della partenza, se non dell’uscita dalle acque libiche.
Per la Procura di Agrigento la scelta di Lampedusa come luogo di sbarco delle salme e poi l’ordine impartito alla nave umanitaria di fare rotta verso Genova, oltre alle criticità logistiche in una isola tanto piccola, avrebbe avuto conseguenze negative sul riparto di giurisdizione tra diverse procure, e dunque sul corso delle indagini da aprire sul caso. Per il Procuratore Giovanni Di Leo, “l’isola di Lampedusa non è attrezzata per la conservazione di un così alto numero di cadaveri. Anche in questo caso, pertanto, non si comprende la scelta operata di farli sbarcare a Lampedusa anziché, ad esempio a Porto Empedocle, dove l’attracco della nave eviterebbe un trasbordo in mare“. Inoltre, “L’applicazione della legge penale, gli accertamenti previsti dal codice di procedura come obbligatori, la determinazione stessa della giurisdizione e della stessa competenza penale non può, secondo Costituzione, essere rimessa a decisioni discrezionali dell’Autorità politico-amministrativa, ma soltanto alla legge stessa”. (ANSA). 2024-06-08T09:50:00+02:00.
Il comunicato della Procura di Agrigento che tentava di mettere in evidenza le criticità dello sbarco delle salme a Lampedusa è stato contestato da una dura replica del Viminale. Che ribadiva la scelta discrezionale adottata, che avrebbe costituito “prerogativa del Ministero dell’interno, sindacabile in quanto tale, solo dalla giurisdizione amministrativa”. Al riguardo il Viminale richiamava una risalente giurisprudenza del TAR Lazio che respingeva due ricorsi presentati da Medici senza frontiere dopo l’assegnazione di un porto vessatorio alla Geo Barents, secondo cui le operazioni di soccorso andrebbero inquadrate ” nel più ampio e complesso contesto del fenomeno migratorio via mare”, che oltre al soccorso prevede l’accoglienza, l’ordine publico e la gestione generale del fenomeno migratorio, come riferiva Adnkronos alle ore 13,29 di sabato 8 giugno. Ma il Viminale ignora, o intende nascondere, come sulla questione dell’assegnazione del POS, soprattutto se oggetto di un rifiuto, ci siano stati diversi interventi di giudici penali che hanno archiviato le denunce presentate dalla polizia contro le Organizzazioni non governative, e come sullo stesso tema sia aperto un procedimento penale a Palermo nei confronti del senatore Salvini, già ministro dell’interno, ed adesso ministro delle infrastrutture. Procedimento penale, interamente registrato da Radio Radicale, che verte proprio su un caso di rifiuto di assegnazione di un porto di sbarco (POS), dopo una ordinanza del TAR Lazio che sospendeva il divieto di ingresso in acque territoriali imposto da Salvini. Evidentemente, per il Viminale, le decisioni dei Tribunali amministrativi italiani contano a seconda della loro vicinanza alle tesi governative.
5. Appare evidente come anche davanti a undici cadaveri in decomposizione, raccolti nelle acque internazionali di quella zona SAR “libica”, nella quale nessuna autorità statale avrebbe visto nulla e nessuna autorità libica ha coordinato soccorsi, rimanga ferma la subordinazione delle attività di ricerca e salvataggio alle esigenze di “ordine pubblico e di gestione generale del fenomeno migratorio”. Esigenze che impongono evidentemente prima la collaborazione con i libici, malgrado le accertate violazioni dei diritti umani che infliggono ai migranti anche dopo i soccorsi in mare, e quindi l’assegnazione di un porto di sbarco sicuro in Italia, ma più lontano possibile dall’area nella quale si verificano più frequentemente eventi di soccorso, che si vorrebbero derubricare a meri eventi migratori, o di immigrazione illegale.
Come hanno stabilito diverse sentenze, della Corte di cassazione, e dei Tribunali, fino al riconoscimento della legittima difesa dei naufraghi, sulla scorta del diritto internazionale e del diritto cogente dell’Unione europea (Regolamento Frontex n.656/2014), le Convenzioni internazionali ed i Regolamenti europei in materia di soccorsi e sbarco in un porto sicuro prevalgono su atti di natura amministrativa, o su leggi nazionali, se in contrasto. I libici non sono in grado di garantire porti sicuri di sbarco, e anche per i Tribunali civili che hanno annullato provvedimenti di fermo amministrativo, non si devono interrompere operazioni di ricerca e salvataggio già in corso in alto mare, per obbedire agli ordini provenienti dai guardiacoste libici, che neppure sono coordinati da una unica Centrale nazionale di coordinamento (MRCC), come imporrebbero le Convenzioni internazionali.
Oltre alla cancellazione della cd. zona SAR “libica” ed alla sospensione degli accordi con il governo di Tripoli che la richiamano,dovranno trovarsi canali di evacuazione legali e vie di fuga garantite per le persone intrappolate in Libia, in parte già respinte dalla Tunisia verso questo paese, per effetto del Memorandum UE-Tunisia. Mentre la giurisdizione italiana dovrà verificare la legittimità e la compatibilità costituzionale del Decreto Piantedosi (legge n.15/2023) nella parte in cui si impone, a pena di multe e fermo amministrativo, il coordinamento da parte delle autorità “competenti” in base alla zona SAR nella quale si verifica l’evento di soccorso, dunque anche in acque internazionali da parte della sedicente Guardia costiera “libica”.
Per quanto il clima di intimidazione verso chi tenta ancora di produrre una informazione, indipendente, corretta e completa possa ancora aumentare, chi vuole coprire i risultati tragici delle politiche migratorie di difesa delle frontiere, che non tengono conto della salvaguardia della vita umana in mare, e del rispetto dei diritti fondamentali nei paesi di transito, non riuscirà ad imporre il silenzio. Nei tribunali, anche a livello internazionale, si moltiplicheranno ricorsi e denunce che non potranno essere influenzati da politiche che si orientano verso la scelta di giudici che possano dare ragione alle indifendibili posizioni imposte dal governo. Che adesso, probabilmente, attende alla fine dell’anno la nomina politica di nuovi giudici costituzionali. Ancora una volta sarà battaglia, insieme, per salvaguardare la vita delle persone migranti, e per la democrazia, che si basa sulla indipendenza della magistratura e sul rispetto del principio di separazione dei poteri, base dello Stato di diritto.