Il Tribunale civile di Reggio Calabria ha annullato nei confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Capitaneria di Porto e Guardia Costiera di Reggio Calabria, del Ministero dell’economia e delle finanze, Guardia di finanza e del Ministero dell’interno, il provvedimento di fermo amministrativo adottato contro la nave umanitaria Sea Eye 4, basato esclusivamente su un rapporto farlocco inviato dalla sedicente Guardia costiera “libica” alle autorità italiane.

Un rapporto che risultava in contrasto con i fatti e con le comunicazioni oggetto di accertamento nel corso del giudizio, dai quali emergeva invece il riconoscimento anche da parte libica del corretto intervento di salvataggio operato dal comandante della Sea Eye 4 e dal suo equipaggio per salvare 84 naufraghi in acque internazionali rientranti nella cosiddetta zona SAR “libica”.

Il Tribunale ha respinto tutte le posizioni rappresentate per conto delle autorità di governo italiane dalla Avvocatura dello Stato, rigettando preliminarmente una eccezione di inammissibilità che, se accolta, avrebbe cancellato in materia di fermi amministrativi i diritti di difesa. Come osserva il Tribunale, “la tesi dell’inammissibilità dell’autonoma impugnabilità del provvedimento di fermo per sessanta giorni dovrebbe indurre a ritenere che l’ordinamento legislativo preveda un atto della Pubblica amministrazione, immediatamente lesivo della sfera giuridica del destinatario, non immediatamente giustiziabile in palese contrasto con l’art. 113 Costituzione”.

Secondo l’Avvocatura dello Stato, il comandante della nave avrebbe agito in violazione della Convenzione di Amburgo e della Convenzione SOLAS (Parte V – Reg. 33), per aver operato “disattendendo” le disposizioni vigenti in materia di coordinamento e gestione delle operazioni di soccorso di competenza dell’Autorità dello Stato responsabile sull’area SAR. Proprio qui si registra un totale rovesciamento delle fonti normative, percepito dal Tribunale di Reggio Calabria.

Sono proprio le Convenzioni internazionali richiamate dall’Avvocatura dello Stato che impongono un intervento immediato ai comandanti delle navi che abbiano a vista imbarcazioni in evidente stato di pericolo (distress), dandone comunicazione alle autorità competenti, ma senza dovere attendere alcuna sorta di autorizzazione preventiva. Che potrebbe richiedere quel lasso di tempo che in tante occasioni ha fatto la differenza tra la vita e la morte.

Il provvedimento adottato dalla Capitaneria di Porto e dal ministero dell’interno nei confronti della Sea Eye 4 risulta privo di basi legali e di una congrua motivazione, persino tenendo conto del Decreto Piantedosi n.1 del 2023 (legge n.15/2023). Nel verbale di contestazione e nel conseguente fermo amministrativo si contestava infatti di non aver rispettato le indicazioni fornite dall’Autorità libica creando una” situazione di pericolo” e non già di non aver comunicato, come previsto dall’art. 1 comma 2 bis del d.l. n. 130/2020 così come successivamente modificato ed integrato, al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità (la Libia) si svolge l’evento e allo Stato di bandiera (la Germania) di aver avviato le operazioni di soccorso.

In base al materiale probatorio prodotto in giudizio dalla ONG, il Tribunale rileva invece come i soccorritori avessero costantemente informato le autorità italiane e libiche, mentre alla Sea Eye 4 ed alle imbarcazioni minori ausiliarie che stavano provvedendo al trasbordo dei naufraghi si avvicinavano mezzi di diversa dimensione appartenenti alla sedicente Guardia costiera “libica” con modalità “che hanno contribuito a creare una situazione di agitazione”. Una modalità aggressiva, che mette a rischio la vita umana in mare, che ormai si ripete da tempo, soprattutto da quando si sono perfezionate nuove intese operative con i libici, ai quali sono stati forniti dall’Italia sistemi di comunicazione, motovedette veloci ed assistenza tecnica.

In sequenza con le decisioni dei tribunali civili di Brindisi, a Crotone, e Ragusa, malgrado la pronuncia interlocutoria del Tribunale di Massa Carrara, rimasta isolata, è la quarta decisione di un Tribunale civile italiano che boccia la politica dei fermi amministrativi, rilanciata dal Decreto Piantedosi n,1 del 2023 (legge 15/2023), dopo la prima fase dei fermi amministrativi legati ad accertamenti tecnici sulle navi umanitarie, dopo l’ingresso nei porti italiani. Una prassi in auge ai tempi del Covid, a partire dal 2020, poi ridimensionata da una importante sentenza della Corte di giustizia nell’agosto del 2022.

Certo si può condividere soddisfazione per questa sentenza di annullamento, molto ben motivata, da parte del Tribunale di Reggio Calabria, una sentenza che costituisce applicazione del principio gerarchico delle fonti stabilito dalla Costituzione italiana (artt.10,11 e 117) attribuendo alle Convenzioni internazionali, peraltro recepite nel Piano SAR nazionale 2020, un ruolo sovraordinato rispetto alla normativa nazionale o alle determinazioni delle autorità amministrative, o politiche, che se ne discostano. Ma non basta.

Né si può attendere un intervento del governo tedesco nei confronti delle autorità italiane, sollecitato da anni inutilmente, per porre fine alla prassi dei fermi amministrativi “vessatori”, in una fase politica nella quale, tanto in Germania che in Italia, anche i partiti socialdemocratici sono condizionati dai sondaggi elettorali e non riescono a contrastare davvero prassi di frontiera che negano i soccorsi in mare e cancellano i diritti umani. Del resto, queste prassi illegittime sono frutto di accordi bilaterali approvati per anni da una maggioranza parlamentare bipartisan.

[…] Per chi continua ad adottare provvedimenti di fermo amministrativo contro le navi umanitarie, “colpevoli” di avere disobbedito ai libici, non sembra assumere rilievo l’esistenza di una pluralità di autorità marittime che in Libia si contendono la sorveglianza delle frontiere marittime, con un cospicuo supporto economico da parte dell’Unione europea, come la GACS (General Administration of Coastal Security), assistita anche dai maltesi, e la LCG (Libyan Coast Guard), mentre sono ancora aperte indagini su alcuni comandanti collusi da anni con le milizie che trafficano esseri umani.

[…] Gli Stati costieri non possono delegare ad autorità di paesi terzi, che non garantiscono l’effettivo rispetto dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali, attività di contrasto dell’immigrazione irregolare in acque internazionali che si rivolgono a persone che si trovano a bordo di imbarcazioni in condizioni di distress, e che dunque vanno immediatamente soccorse e sbarcate in un porto sicuro (pace of safety-POS), che oggi né la Libia, nella sua attuale frammentazione politica e militare, né la Tunisia, per i respingimenti collettivi che sta eseguendo, possono garantire.

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Il Tribunale di Reggio Calabria annulla l’ennesimo fermo amministrativo contro una nave umanitaria.