A Dakar è nata “Africtivistes”, la Lega dei blogger e dei cyber-attivisti africani per la democrazia. Al lavoro in 35 paesi, uniti dall’impegno in favore della democrazia partecipativa, da promuovere con le tecnologie 2.0 nel nome della trasparenza, della lotta ai corrotti e del diritto all’informazione.
Parole d’ordine che animano campagne per il monitoraggio delle elezioni e per i diritti umani e richiamano inevitabilmente l’attenzione dei regimi sub-sahariani, decisi a stroncare ogni solidarietà transnazionale. Come hanno di recente mostrato in Angola gli arresti del rapper Luaty Beirão e di altri 17 attivisti incriminati per aver letto in pubblico “From Dictatorship to Democracy”, il saggio di Gene Sharp sulle rivoluzioni non violente, intollerabile per l’inossidabile José Eduardo dos Santos. O la vicenda dei militanti congolesi di Lucha e Filimbi, accusati di tramare contro un terzo mandato del presidente Joseph Kabila d’intesa con i compagni senegalesi (Y’en a marre) e burkinabé (Balai Citoyen). Una internazionale del Continente nero, non socialista ma democratica, incubo dei presidenti-dittatori.
A Dakar, la settimana scorsa, erano presenti delegazioni giunte dal Sudafrica o dall’Algeria, dai due Congo o dal Kenya, dalla Costa d’Avorio o dal Burkina Faso. In rete tra loro ma anche con gli attivisti della diaspora arrivati nella capitale senegalese dagli Stati Uniti o dall’Europa. “Si tratta – ha detto Cheikh Sall, uno degli animatori degli incontri di Dakar – di tentare di stabilire un legame tra noi e le istituzioni pubbliche, facendo capire che non siamo avversari ma piuttosto partner”. Un obiettivo, è stato detto a Dakar, da raggiungere anche attraverso la richiesta di uno status di osservatore per Africtivistes all’Unione Africana.