Venerdi 31 maggio verrà presentato all’Eirenefest, festival del libro per la pace e la nonviolenza, il libro “Combattenti per la pace. Palestinesi e israeliani insieme per la liberazione collettiva” , edito da Multimage. a cura di Daniela Bezzi con i contributi di Luisa Morgantini, Ilaria Olimpico, Sergio Sinigaglia, Chen Alon, Sulaiman Khatib, Eszter Koranyi, Rana Salman (Combatants for Peace).

Un libro estremamente necessario che ridà la voce a chi, in Israele e Palestina non ha perso la speranza di poter costruire un orizzonte diverso, neppure in questo tempo che non ci è mai parso così funesto e privo di prospettive di pace e di convivenza, e in cui le voci che sovrastano sono solo quelle belliciste.

Leggerlo mi ha ridato la speranza in un futuro possibile che dal 7 ottobre non mi sembrava più realizzabile.

La portata dell’orrore della strage del 7 ottobre da parte dei combattenti di Hamas mi aveva congelata per molte settimane.

In un solo giorno, davanti alle immagini ed ai racconti di quel massacro, io, che da anni simpatizzo per la liberazione della Palestina dall’occupazione e dall’apartheid;

io, che in Palestina ci sono andata con un viaggio organizzato da Assopace Palestina, che ho condiviso l’indignazione a Gerusalemme, a Betlemme, a Jenin e Ramallah, sotto al muro, attraversando i check point e persino la paura dei militari israeliani ad Hebron;

io, mi sono ritrovata priva di parole, ma soprattutto priva di un orizzonte in cui posizionarmi con la consueta certezza di “essere dalla parte giusta della storia” e di “parteggiare per chi è oppresso”.

Quel giorno si è rotto un orizzonte di senso, ed ho capito di non essere l’unica ad avere bisogno di ricostruire con nuove parole l’adesione al processo di liberazione della Palestina.

Ho diffidato, nelle prime settimane, delle dimostrazioni di sostegno alla Palestina e a Gaza, subito oggetto della pesantissima ritorsione israeliana. Avevo davvero paura di trovarmi a fianco di chi avrebbe potuto inneggiare ad Hamas o al 7 ottobre. 

In realtà mi facevano orrore sia coloro che iniziavano i discorsi pubblici con “Ma lei si dissocia da Hamas?”, dando per scontato la posizione “pro-Palestina-antisemita-amico dei terroristi”, sia chi non ne faceva per nulla cenno, lasciando un’ombra di ambiguità tra il concetto di “comprensibile” e “giustificabile”. 

Mi faceva orrore il solito pensiero binario che è utile solamente a dividere buoni e cattivi, amici e nemici, senza sfumature, senza la possibilità di umanizzazione dell’altro. 

Una modalità di pensiero buona solo ad alimentare le guerre.

Nelle prime settimane, man mano che il conflitto si andava sbilanciando a danno delle popolazione palestinese (in quanto tempo le vittime sono diventate di 1 a 10? Di 1 a 20? Ma poi non è un conteggio osceno questo?) il mio coinvolgimento mi spingeva a scandagliare il web alla ricerca di contributi che andassero al di là di partigianerie superficiali e soprattutto dannose per le parti in causa. 

Perché la lezione più importante che ho imparato in Palestina è proprio questa: che noi “internazionali” siamo essenziali alla realizzazione di un percorso di pace in quella terra. E non siamo essenziali solo come presenze e osservatori esterni che proteggono dalle sopraffazioni e dagli attacchi violenti nelle zone occupate, ma come mediatori e comunicatori tra i due popoli, come sostenitori dei numerosi focolai delle esperienze di resistenza non violenta che si è sviluppata negli ultimi anni.

Ero sicura che per gente come Souliman, Rima, Ali, Mustapha, Mourad, Afez, Rachid, i giovani del Freedom Theater e di Hebron, insomma tutt* gli attivisti e le attiviste incontrati nelle varie realtà che hanno fatto della Nonviolenza una scelta di vita e di impegno assoluto, l’attacco del 7 ottobre era stato un atto scellerato e per nulla condiviso nelle finalità e nei metodi. 

Ero sicura che soprattutto per loro, avremmo dovuto tenere ben saldi e ridare nuova linfa ai metodi del pacifismo attivo. 

Ed è in questa ricerca che mi sono imbattuta in questo importantissimo contributo di Pressenza che è riuscita a dare spazio alle voci non conformi di Israele e di Palestina, testimonianze toccanti ed essenziali di cosa significa vivere in quella terra attraversata da un conflitto che oggi ci pare dannatamente insanabile, ma in cui incredibilmente loro riescono a scorgere un orizzonte di senso. E di speranza.

Nicoletta Salvi Ouazzene