Nella sala principale della Vijećnica, uno degli edifici simbolo di Sarajevo e della sua ricostruzione che ospita anche le sedi di rappresentanza del Municipio di Sarajevo, si scioglie l’emozione alle ore 17:24 quando il maxischermo proietta i voti dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite riunitasi per la risoluzione sul genocidio di Srebrenica. Centinaia di persone sono accorse nella sala istituzionale al primo piano per seguire insieme la sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ascoltare gli interventi e le posizioni dei Paesi che si sono espressi per larga parte del pomeriggio prima del fatidico voto attraverso il quale la comunità internazionale designa, già a partire dall’anno in corso, l’11 luglio quale “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del massacro di Srebrenica del 1995” con 84 voti a favore, 19 contrari e 68 astenuti, oltre a 22 rappresentanti che non scelto di non votare.
La giornata viene già celebrata tutti gli anni in Bosnia-Erzegovina e, in particolare, nel cimitero e sito memoriale di Srebrenica-Potočari dove si svolge anche la cerimonia di sepoltura delle parti restanti dei corpi delle vittime dopo un complesso processo di ritrovamento e riconoscimento che ha luogo nei mesi precedenti.
Il voto odierno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, posticipato dalla data originaria per la quale era stato fissato all’inizio del mese di maggio, è particolarmente significativo non soltanto per la popolazione locale a fronte dei processi di negazione tutt’oggi in corso, in particolare da coloro che fanno riferimento all’entità della Republika Srpska, ma per l’intera comunità internazionale. In numerose occasioni, infatti, diverse istituzioni sovranazionali e singoli governi hanno riconosciuto ufficialmente il massacro di oltre 8.372 civili nell’enclave bosgnacca della Bosnia orientale da parte delle truppe serbo-bosniache come il primo genocidio che ha insanguinato il continente europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale lasciando aperta la ricerca di giustizia da parte di migliaia di famiglie disperse in tutto il mondo da quasi trent’anni, molte delle quali sono tornate a risiedere nell’area. Il bisogno di verità e riconoscimento pubblico si estende, dunque, oltre una singola data carica di un significato profondo tanto da essere stata osteggiata dalla Serbia, dalla Russia e da numerosi altri paesi, in occasione del voto cosi come nella crescente ostilità espressa dichiarazioni diramate nelle settimane che lo hanno preceduto. L’approvazione della risoluzione era stata osteggiata tenacemente anche in anni precedenti, in particolare nel 2015 in occasione del ventennale durante un altro tentativo sempre in sede ONU. Per queste ragioni la Sindaca di Sarajevo, Benjamina Karić, cresciuta durante l’assedio della città all’inizio degli anni Novanta, ha tenuto a organizzazione la proiezione pubblica aprendo le porte della sede istituzionale a tutta la cittadinanza e ha dichiarato quella odierna una “giornata storica per la giustizia, la pace e la verità”, ringraziando simbolicamente i rappresentanti degli Stati membri dell’ONU che hanno votato a favore della risoluzione e che si sono espressi ufficialmente contro il genocidio, evocando a più riprese la situazione attualmente in corso a Gaza e l’impotenza della comunità internazionale.
Fino a oggi, oltre 50 persone sono state condannate dai tribunali internazionali, in particolare dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia, per il massacro di Srebrenica. Tra queste, i criminali di guerra Radovan Karadžić e Ratko Mladić già condannati all’ergastolo per genocidio, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità durante l’assedio di Sarajevo, e le altre campagne di pulizia etnica. Le vie del diritto internazionale non hanno, però, frenato l’opera di negazione né limitato la portata dell’ampia copertura mediatica in numerose lingue attraverso la quale vengono esaltate in termini eroici le figure che si sono rese protagoniste dei crimini.
Continua, in parallelo, l’opera di numerose organizzazioni internazionali e locali, soprattutto sul piano dell’educazione, dell’informazione e della difesa dei diritti umani. In particolare, in questi due giorni si tiene la conferenza internazionale “Social Work and Political Conflict: The Case of Bosnia and Herzegovina” organizzata Facoltà di Scienze Politiche dell’Universita di Sarajevo con il supporto della European Association of Schools of Social Work (EASSW) che vede la presenza di ospiti internazionali del calibro Jim Campbell, Buse Erzeybek, Carolyn Ewart, Danielle McIlroy e Ayse Ozada. Le due giornate nelle quali si articola la conferenza sono dedicate all’approfondimento in ottica comparativa dei casi studio relativi alla Bosnia-Erzegovina, a Cipro e all’Irlanda del Nord, con una sessione specifica dedicata al genocidio e alle persone scomparse nel corso del quale sono intervenuti Samira Krehić per la International Commission on Missing Persons e Hasan Nuhanović del Srebrenica Memorial Center.