L’anno che sta per chiudersi ha visto – e continua a vedere – un alternarsi di grandi speranze e cocenti delusioni rispetto alla possibilità di una reale alternativa alla brutale politica di austerity imposta dalle istituzioni europee e a una politica estera che si sganci dall’aggressività della Nato e di tanti governi.
Ha cominciato la Grecia con la vittoria di Syriza in gennaio, i mesi di duelli tra Tsipras e Varoufakis da una parte e la Troika e i falchi capeggiati dal Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäublen dall’altra. Un’alternativa ai tagli e all’impoverimento che avevano messo in ginocchio la Grecia sembrava possibile, soprattutto dopo la prova di coraggio e dignità data dalla schiacciante vittoria del No al referendum del 5 luglio. Subito dopo il cedimento di Tispras e l’accettazione di un terzo Memorandum, ancora più duro dei precedenti, hanno aperto una nuova fase, confermata dalla vittoria di Syriza alle elezioni di settembre: via gli elementi più coerenti e radicali (che non sono riusciti a entrare in Parlamento per un soffio) e applicazione di programmi di austerity dai devastanti esiti sociali. Un esempio per tutti: stanno cominciando le sfratti dalla prima casa per intere famiglie che non riescono a pagare il mutuo o l’affitto.
L’ultimo colpo è arrivato con la decisione, comunicata il 12 novembre dal nuovo Presidente del Parlamento Nikos Voutsis, di sciogliere la Commissione per la Verità sul debito greco, che in questi mesi aveva lavorato assiduamente per dimostrarne l’illegittimità. In un’appassionata – e accorata – lettera aperta pubblicata da CATDM, l’eurodeputata Sofia Sakorafa attribuisce la responsabilità della decisione a Tsipras, che pure il 4 aprile aveva assistito all’inaugurazione della Commissione insieme al Presidente della Repubblica e in seguito aveva assicurato di persona e con fermezza che i lavori sarebbero proseguiti fino alla loro conclusione. La semplice parola “verità” può far paura, denuncia l’europarlamentare, quando si tenta di far passare il Terzo Memorandum come l’unica soluzione ai problemi del paese. La lettera aperta si conclude tuttavia con una nota di speranza, affermando l’intenzione di continuare a lottare perché la verità sia il catalizzatore di profondi cambiamenti politici.
Dopo l’avventura a non lieto fine di Syriza in Grecia, Podemos in Spagna ha acceso speranze che a loro volta rischiano di restare deluse: il generale Julio Rodriguez, ex capo di stato maggiore della difesa di Zapatero, si presenta al secondo posto nella lista di Podemos a Saragozza per le elezioni politiche del 20 dicembre. Il leader Pablo Iglesias aveva detto: “La Nato fa parte del passato”, ma ora Rodriguez ha assicurato: “Rispetteremo gli accordi delle organizzazioni internazionali alle quali apparteniamo, come la Nato e l’Unione Europea.” Un segnale preoccupante, visti i venti di guerra che sempre più soffiano sull’Europa e sul Medio Oriente.
Analoga situazione in Portogallo: dopo che i conservatori di Passos Coelho, che pure avevano vinto le elezioni di ottobre, non erano riusciti a ottenere la maggioranza in Parlamento, si è formato un governo guidato dal socialista António Costa, sostenuto dai comunisti e dal Blocco di Sinistra (simile a Syriza), con la promessa di abbandonare la politica di austerity senza mettere in discussione gli obblighi internazionali del paese. Prima di affidargli l’incarico, però, il Presidente della Repubblica Aníbal Cavaco Silva ha fatto firmare a Costa una lettera in cui dichiara che rispetterà gli impegni internazionali con l’Europa e con la Nato. Insomma, un governo che nasce con le mani legate e che rischia di seguire le infauste orme di quello di Tsipras.
Al momento l’unico politico che non ha paura di schierarsi contro la Nato e contro le armi nucleari e di rifiutare la logica guerrafondaia di tanti governi europei è l’inglese Jeremy Corbyn, leader del Partito Laburista; peccato che non sia al governo, però e che nonostante la schiacciante vittoria riportata in settembre nelle elezioni interne del partito, si trovi a fare i conti con una maggioranza di parlamentari laburisti molto lontana dalle sue posizioni. La coerenza di Corbyn è dimostrata da decenni di impegno pacifista; il rischio non è tanto un suo voltafaccia, ma una logorante guerra interna da parte dei suoi oppositori, che finisca per togliere credibilità e forza alle sue coraggiose posizioni.
Insomma, un panorama piuttosto sconsolante. Qualche luce nell’oscurità però c’è e va cercata nella società civile e nella gente comune che in questi mesi ha dato una risposta solidale all’ondata di profughi arrivata in Europa in fuga dagli orrori della guerra. Migliaia di volontari hanno reagito all’atteggiamento di chiusura dei loro governi, soprattutto – ma non solo – nell’ex Europa dell’est: si sono organizzati per raccogliere indumenti, cibo, coperte ecc, utilizzando al meglio le possibilità offerte oggi dai social media, spesso hanno fatto ore e ore di macchina per raggiungere i luoghi in cui persone stremate da viaggi lunghi e drammatici si ritrovavano abbandonate a se stesse, dove possibile le hanno accompagnate attraverso i confini. hanno allestito mense e ricoveri, si sono occupati dei bambini. Lo stesso spirito di solidarietà e compassione che si ritrova in chi si oppone alla risposta violenta all’orrore scatenato dall’Isis e si rifiuta di considerare terroristi tutti i musulmani.