E’ pronto il documentario che racconta la storia di Maxima Acuña de Chaupe, la contadina peruviana che ha combattuto contro la multinazionale mineraria che voleva portarle via la terra. Il Cambiamento ha sostenuto gli autori, Simona Carnino e Luciano Gorriti Robles, che con il loro progetto si sono aggiudicati il primo premio del Dev Reporter Network promosso dal Consorzio delle Ong Piemontesi.
Maxima Acuña de Chaupe ha rughe profonde, una piccola statura e una volontà granitica. Per quattro anni ha rifiutato di sottostare alle pressioni e alle azioni della multinazionale americana Yanacocha, che vuole acquistare e trasformare la sua terra in una miniera per l’estrazione dell’oro, attraverso il Progetto Conga. Di lei, e della sua battaglia umana e legale, finora vincente con la sentenza del 2014, ne abbiamo parlato già in due precedenti articoli, Maxima ha combattuto le multinazionali minerarie e…ha vinto!, e Perù: il reportage su chi si oppone alle multinazionali. Oggi riprendiamo la storia della 44enne contadina peruviana, intervistando Simona Carnino, autrice del documentario Aguas de Oro, realizzato con la collaborazione, per la parte tecnica, del videomaker Luciano Gorriti Robles, e vincitore del primo premio del progetto europeo Dev Reporter Grant.
Simona, prima di parlare di questo reportage, come sta Maxima?
Sono stata ospite a casa di Maxima, il 18 e il 19 luglio scorso. Ho visto una donna forte, dalle mani dure e dagli occhi dolci. E’ stata molto felice di ricevere ospiti che dormissero da lei. Maxima vive in uno stato di quasi isolamento. Non ci sono altre case nel circondario e ultimamente l’azienda mineraria Yanacocha ha recintato le sue proprietà, ostruendo alcuni sentieri che Maxima utilizzava per i propri spostamenti. Lei è continuamente osservata dagli uomini di sicurezza dell’impresa che hanno un avamposto permanente sulla collina al confine con la sua proprietà. Ogni tanto si lascia prendere dallo sconforto. Sa che Yanacocha lotterà duramente per poter avere la sua terra e prova una forte ansia per il futuro. Nel presente però è una persona semplice,che sa vivere il momento. Siamo riuscite anche a raccontarci episodi di vita quotidiana, davanti a un bicchiere condiviso di limoncello puro italiano.
Oltre ad aver vinto il Dev Reporter Grant, il documentario ha ottenuto la collaborazione della ong torinese M.A.I.S. e il patrocinio di Amnesty International ed è stato presentato in anteprima al Festival di Cinemambiente di Torino. Com’è nata l’idea di questo reportage? Perchè proprio il caso di Maxima?
Anni fa scrivevo per un giornale locale della valle di Susa. Era una sfida per me documentare i costi umani e ambientali delle grandi opere che impattavano in quella zona. Da lì il mio interesse per la macro-tematica del consumo del territorio. Nel 2012-2013 ho vissuto in Perù dove ho iniziato a prendere informazioni su “Conga”, il progetto di espansione di Yanacocha, la miniera d’oro più grande dell’America Latina. Nei mesi successivi sono andata a Cajamarca e ho visto il tipo di repressione che il governo peruviano attuava nei confronti di chi si opponeva. Dopo il Perù ho viaggiato per l’Europa, mantenendomi sempre informata sul tema e mi sono imbattuta nella storia di landgrabbing di cui Maxima è vittima. L’anno scorso ho avuto la possibilità di partecipare a un premio giornalistico, il Dev Reporter Grant, e ho pensato che era ora di raccontare questa storia anche qui in Italia.
Nel dicembre 2014 Maxima ha vinto la causa legale contro la multinazionale Yanacocha, che, non accettando la sentenza, è ricorsa in Cassazione. Ci sono novità giudiziarie in merito?
Il processo è in corso. Dal punto di vista penale Maxima è stata riconosciuta innocente del reato di usurpazione, ossia di appropriazione illegale di terra. Attualmente il ricorso è amministrativo e il giudice dovrà decidere definitivamente di chi è la proprietà della terra. L’azienda sostiene di aver comprato un lotto di terra di circa 250 ettari all’interno del quale ci sarebbe anche la parcella di Maxima, che però, avendo ottenuto nel 1994 la concessione a lavorare quel campo dalla comunità contadina in cui è inserita, avrebbe dovuto dare il proprio consenso per la vendita. Questo non è mai avvenuto, per questo l’avvocata della donna, Mirtha Vasquez, sostiene che l’acquisto effettuato da Yanacocha è irregolare. Se il giudice dovesse emettere una sentenza di questo tipo, saremmo di fronte a un fatto ben documentato di landgrabbing.
Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel girare il documentario?
Le difficoltà logistiche sono quelle che ti tolgono il sonno. Si ha il timore che qualche pezzo della macchina organizzativa non funzioni sul più bello e tutto vada a rotoli. Un esempio per tutti: arrivo a Lima e non riesco più a comunicare con Maxima in nessun modo. Mi sono chiesta: ma la vedrò quando raggiungerò la sua terra sulle vette andine o sarà sparita? Poi mi sono rilassata, non ho condiviso la mia ansia con nessuno dei miei collaboratori e siamo partiti ugualmente. In fondo dove poteva essere? E infatti quel sabato mattino arrivo a casa di Maxima e la vedo sbucare con un sacco sulla schiena e da lì inizia l’avventura. Il lavoro diplomatico per poter entrare in miniera è stato lungo e duro, ma anche in quel caso ce l’abbiamo fatta. Forse ho avuto anche un po’ di fortuna. Mi sono imbattuta per caso in uno dei personaggi del video, un contadino di una comunità rurale contaminata da Yanacocha, e la sua storia ha dato molto spessore al video.
Hai subìto anche tu, come Maxima, delle pressioni da parte degli uomini di Yanacocha?
Nei due giorni vissuti a casa di Maxima sono stata filmata e fotografata. Anche io però ho filmato e fotografato gli uomini di Yanacocha. Non mi spaventa, ma mi infastidisce. E’ parte del gioco. Per il resto mi sono relazionata con l’ufficio stampa e la direzione dell’impresa che mi hanno lasciata entrare in miniera e anche arrivare a casa di Maxima. L’unica strada percorribile dai mezzi a quattro ruote è di proprietà della miniera. Questo significa che in teoria si deve chiedere il permesso a un’azienda privata (cosa che io trovo inquietante) per fare visita a Maxima, proprio come se fosse in carcere. Io ho comunicato all’ufficio stampa di Yanacocha che sarei andata a casa della donna in qualsiasi modo. Alla fine mi hanno fatto passare. Domenica notte, scendendo da casa di Maxima, abbiamo dovuto attraversare 2 posti di blocco della miniera e 2 informali di briganti. Tutto bene alla fine, ma l’area alto-andina in cui si dovrebbe sviluppare il progetto Conga è immersa in un’atmosfera violenta e di illegalità.
Nell’intervista di maggio, ti ponevi alcuni obiettivi: parlare del modello di sviluppo promosso dai contadini di Cajamarca; intervistare Hugo Blanco, leader della riforma agraria peruviana; e scoprire chi deve essere il destinatario ultimo dell’innovazione tecnica. Sei riuscita in tutto questo?
Per Maxima, per Hugo e per numerosi esponenti della comunità rurale di Cajamarca l’acqua e la terra sono la base del sostentamento individuale e collettivo. La loro regione, che al momento è la più povera del Perù, ha una vocazione agricola. Cajamarca è famosa per i prodotti caseari, la cui produzione però non viene sostenuta dal governo centrale. A questo si aggiunge la destrutturazione del territorio favorita da politiche estrattive che mettono in grave pericolo il settore agro-alimentare. Maxima avrebbe potuto vendere la sua terra? Forse sì, ma in cambio avrebbe dovuto spostarsi in zona urbana dove i livelli di povertà sociale e umana sono generalmente più alti che nelle zone rurali. Nonostante a casa di Maxima manchino i servizi di base, allo stesso modo che nelle periferie urbane, si può però avere accesso alle risorse naturali, dalla terra per coltivazioni di sussistenza a sorgenti di acqua di qualità accettabile per il consumo umano e animale. Una libertà di questo tipo è impossibile in un contesto urbano.
Hugo Blanco è stato un grande incontro. Nel video interviene per circa un minuto, ma siamo stati insieme un intero pomeriggio…E che il destinatario ultimo dell’innovazione tecnica dovrebbe essere l’uomo nel suo essere collettivo è chiaro a entrambi. Attualmente però Hugo sostiene che la scienza e la tecnica siano al servizio degli interessi economici delle grandi multinazionali. Ogni opera deve essere realizzata nel minimo tempo, basse spese e alti profitti. Il costo di questo principio si vede sulla pelle della maggioranza degli esseri umani, schiacciati da logiche che non li riguardano, e sull’ambiente che, laddove vengono realizzate miniere a cielo aperto, viene destrutturato per sempre.
Perchè il caso di Maxima è così importante? E perchè non c’è interesse su questa storia da parte degli Stati nazionali e dei maggiori organi di informazione?
Maxima rappresenta un precedente. Una contadina che affronta una multinazionale provando a difendere con legittimità un terreno in cui vive da 21 anni. Non ha paura di pretendere gli stessi diritti di una grande impresa. E’ pronta a vendere tutte le sue vacche, e impoverirsi definitivamente, per poter sostenere un processo e provare, riuscendoci al momento, a vincere.
Maxima rappresenta una forza che viene dal basso che destabilizzerebbe una qualsiasi multinazionale che, generalmente, raggiunge i propri obiettivi attraverso contrattazione economica. Lei, sola nel suo campo, ci dice che i soldi non bastano. Lei vuole vivere lì e vuole che l’ecosistema che la circonda rimanga inalterato in nome di uno sviluppo agricolo e umano più consono alle sue esigenze e a quello di tanti contadini come lei.
Maxima è un soggetto scomodo e i mezzi di comunicazione nazionali, sostenuti dal governo centrale e, in alcuni casi proprio dalle grandi imprese, non hanno nessun interesse a diffondere una notizia come questa.
E se altri contadini volessero alzare la testa e la imitassero? Cosa pensi possa succedere?
Le violenze fisiche e psicologiche che subisce Maxima accendono un faro di luce oscura sulla multinazionale che da 22 anni cerca di costruire un’immagine affidabile di sè, ma che, nei fatti, rischia di essere additata dalla comunità internazionale come simbolo di mal gestione dei conflitti e violazione dei diritti umani.
Trovate il reportage completo sul sito www.aguasdeoro.org