La situazione greca mostra quanto il debito possa essere deflagrante sotto tutti i punti di vista, non solo economico, ma anche politico. Se il debitore è in grado di pagare il suo debito, oppure ha i muscoli talmente potenti da dettare lui le regole, anche se inadempiente, come nel caso degli Stati Uniti, allora non ci sono problemi. Ma se il debitore è fragile e non è in condizione di rispettare gli impegni, allora è costretto a tornare costantemente dai suoi creditori per trovare degli aggiustamenti. Questo è il caso della Grecia che da un punto di vista finanziario ha problemi ben più gravi di quelli che ci sono stati rivelati alla vigilia del referendum.
Cerchiamo di fare chiarezza. La Grecia ha due problemi: fare quadrare annualmente i conti fra entrate e uscite correnti e pagare le rate di capitale in scadenza. A pesare negativamente sul primo capitolo ci stanno gli interessi. Più questa voce è alta, più sacrifici debbono fare i cittadini per fare tornare i conti. La posizione dell’Unione Europea è che debbono essere fatti tutti i sacrifici che servono per coprire con le tasse anche gli interessi. Questo afferma il fiscal compact quando obbliga al pareggio di bilancio e su questo le forze progressiste dicono no se il prezzo da pagare è la decurtazione dei diritti dei cittadini. Un no altrettanto netto lo ha affermato il popolo greco con l’esito referendario del 5 luglio. Ma il grande problema che si apre subito dopo, è cosa ne facciamo degli interessi che rimangono scoperti. Qui ci sono varie possibilità che dipendono dalla forza, dall’assetto monetario e dalla volontà popolare. Se il debito fosse verso soggetti interni e ci fosse sovranità monetaria, il problema potrebbe essere risolto con l’emissione di nuova moneta. In fondo gli interessi sarebbero ripagati con l’inflazione. In alternativa, si può decidere di non pagare gli interessi scoperti, ma per farlo ci vuole grande determinazione popolare e grande capacità di tenere testa ai debitori. La Grecia evidentemente non è né in una posizione né nell’altra. Non può stampare nuova moneta perché l’euro è gestito da una forza esterna che si chiama BCE; non ha la forza di fare il muso duro con Fondo Monetario e altre istituzioni sue creditrici. E allora come ha risolto fino ad ora il problema: nell’unico modo possibile, che però è anche il peggiore. Ossia facendo nuovo debito. E’ il famoso debito a breve che ha aperto prevalentemente con le sue banche interne, ed è questo uno dei problemi immediati più gravi che ha la Grecia. Questo tema, però, ci porta sull’altro versante, quello del capitale.
Al 31 marzo 2015, il debito pubblico greco ammonta a 313 miliardi di cui 231 (73%) verso il Fondo Monetario, governi e altre istituzione europee. Soldi sborsati fra il 2010 e il 2011 per saldare le banche tedesche e francesi rimaste intrappolate nell’insolvenza greca. Il restante 27% è debito emesso sotto forma di titoli del tesoro a scadenza più o meno breve, per fare fronte alle esigenze di cassa. Titoli comprati in piccola parte da investitori privati internazionali e in misura ben più ampia dalle banche greche. Ma i titoli del tesoro sono cedibili, per cui non è detto che debbano rimanere nelle mani del primo acquirente fino a scadenza. In effetti guardando dove si trovano oggi i titoli emessi dal governo greco, scopriamo che una discreta quantità sono finiti nella pancia della Banca Centrale Europea, in parte perché acquistati dai privati (circa 20 miliardi), in parte perché accettati come garanzia offerta dalle banche greche in cambio di prestiti e di liquidità. Complessivamente il debito a breve rappresentato dai titoli di stato ammonta a 81 miliardi, 22 dei quali giungono a scadenza quest’anno, il resto nei prossimi due o tre anni. Sommato alle altre quote di capitale in scadenza, il totale che la Grecia deve restituire quest’anno ammonta a 38 miliardi.
Entro il 20 luglio vengono a scadenza 3 miliardi posseduti dalla BCE e vari altri intestati alle banche greche. Ma il governo greco non li ha. La parte dovuta alla Bce può decidere di non pagarla come ha già fatto a fine giugno col Fondo Monetario. E’ solo un problema di forza e di volontà. Ma se non restituisce i soldi alle banche, apre una problema ben più ampio che non riguarda solo gli azionisti delle banche greche. Nel nostro sistema mercantile le banche sono l’apparato che garantisce liquidità all’intero sistema economico. Se vanno a secco o in avaria, si disidrata l’intero sistema economico. Oggi le banche greche sono in profonda difficoltà per tre ragioni: non ricevono liquidità dalla Banca Centrale Europea perché non accetta in garanzie i titoli del governo greco ritenuto inaffidabile, hanno perso miliardi di depositi privati esportati all’estero o messi sotto il materasso o nelle cassette di sicurezza, non ricevono la restituzione dei crediti che vantano nei confronti dello stato greco. La questione bancaria è la patata più bollente che Tsipras ha fra le mani ed ha due scelte di fronte a se. La prima: esce dall’euro, azzera tutti i suoi debiti e garantisce al suo sistema economico una nuova moneta autogestita. Operazione fattibile che però dovrebbe mettere in conto un discreto isolamento economico con conseguente necessità di trovare altri partner sullo scacchiere mondiale e un discreto malcontento popolare dovuto ad una riduzione del valore dei risparmi e del potere d’acquisto. L’alternativa è rimanere nell’euro ma ottenere dai partner europei la copertura dei titoli in scadenza per permettere alle proprie banche di sopravvivere. Dunque non l’accensione di nuovo debito, ma uno spostamento crescente verso le istituzioni europee. Tsipras sta tentando questa carta e per vincerla ha offerto ai partner europei l’accettazione delle condizioni a cui il popolo greco ha detto no. Il che sembra un totale tradimento. E forse lo è, ma attenuato se consideriamo che Tsipras ha cambiato i termini di scambio. Se prima valevano per ottenere 8 miliardi, ora Tsipras le offre per ottenere 50 miliardi in tre anni.
Forse Tsipras dovrebbe fare un nuovo referendum, ma intanto sarà la risposta dell’Europa a imprimere il corso agli eventi.