Dobbiamo ringraziare davvero il popolo greco, perché il voto di ieri non riguardava soltanto il presente e il futuro della Grecia, ma soprattutto quello dell’Europa o, meglio, della possibilità di immaginarsi ancora una costruzione europea diversa da quella ottusa e miope dell’austerità. Peraltro, la stessa rigidità negoziale della Commissione europea e del Fmi, per non parlare delle pesanti ingerenze nel processo democratico greco, c’entrava ben poco con il debito e molto invece con la politica. Cioè, andava stroncata da subito ogni speranza di poter modificare il diktat liberista e il comando oligarchico e autoritario che oggi costituiscono la governance de facto dell’Europa. Insomma, colpirne uno per educarne cento, a partire dagli elettori spagnoli, un po’ troppo tentati da Podemos.
Con la vittoria netta del no di ieri nulla è risolto e concluso, ma anche nulla sarà più come prima. Proprio perché la posta in gioco non è il debito o la Grecia, lo scontro continuerà e sarà, anzi, ancora più duro. Syriza ne sembra pienamente consapevole, visto che già stamattina ha fatto la sua prima mossa del cavallo, con l’annuncio delledimissioni di Varoufakis, che altro non è che il tentativo di rimuovere ogni possibile pretesto e di mettere a nudo la questione vera di fronte all’opinione pubblica europea.
Ma la Grecia da sola non ce la può fare e non c’è voto popolare o mossa tattica che tenga. Quest’Europa è traballante, sta soffocando molte delle sue economie, la disuguaglianza si espande drammaticamente e la democrazia è sempre più un simulacro, ma il suo nucleo duro, fatto di poderosi interessi economici e finanziari e di qualche governo, come quello tedesco, che comanda più di altri, è forte e radicato. È tanto forte, quanto sono ancora deboli, frammentati e disorientati i suoi antagonisti.
Ed eccoci a noi, a quelli e quelle che tifano Tsipras, Podemos e Oxi, che magari fanno viaggi a Atene e che sicuramente hanno riempito ieri notte i social con la propria gioia. Tutto giusto e tutto bello, ma non basta, neanche lontanamente. La vittoria elettorale di Syriza, prima, e il no al referendum, poi, hanno acceso una luce, ci dicono che si può e si deve disobbedire e battersi con la schiena diritta per una futuro diverso, per tutti e tutte. Insomma, i greci e le greche, anzitutto le generazioni più giovani, hanno aperto una porta, ma per spalancarla del tutto serve che entrino in campo i movimenti, le coalizioni, le forze e le energie degli altri paesi europei.
Da oggi nulla sarà più come prima. E se non vogliamo rimanere schiacciati tra due opzioni altrettanto deleterie, cioè quella dello status quo europeo e quella del nazionalismo e della xenofobia, allora dobbiamo costruire la nostra opzione europea, democratica e sociale, radicalmente alternativa. Altre opzioni non ci sono, anche perché la vicenda del referendum greco, come tutti i fatti chiarificatori che ci presenta periodicamente la storia, ha messo la pietra tombale sulla supposta diversità della socialdemocrazia rispetto al campo conservatore.
E quello che va fatto, va fatto da subito, coalizzando le pratiche, unendo le forze e aprendo le finestre per far entrare aria fresca.