Il governo Tsipras compie una scelta che in una democrazia dovrebbe essere ovvia e naturale: consultare i cittadini su una questione vitale per il presente e il futuro del paese. Apriti cielo! Piovono critiche nello stile intransigente, arrogante e ricattatorio che ha caratterizzato gli ultimi mesi, da quando la vittoria di Syriza ha scompigliato le carte in Grecia e in Europa.
Il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem invita i greci a votare sì al referendum del 5 luglio. Finale minaccioso: “Un ‘no’ al referendum, sarebbe un ‘no all’Europa’”. Angela Merkel non è da meno: “Se l’euro fallisce, l’Europa fallisce” tuona. Il premier spagnolo Mariano Rajoy, quello della “legge bavaglio” che entrerà in vigore domani, chiede le dimissioni di Tsipras. Forse il nostro Matteo Renzi vuole farsi perdonare l’improvvido dono della cravatta a Tsipras, durante la sua prima visita a Roma, visto che da allora non perde occasione per marcare le distanze dal suo coetaneo (per fortuna ben diverso da lui). In un’intervista al ‘Sole 24 Ore’ lo accusa di voler fare il furbo e di non rispettare le regole e dichiara: “Il no di Alexis e dei suoi mi è sembrato inutilmente ostinato”.
Per fortuna ci sono anche voci diverse. Una dichiarazione del Podemos spagnolo sintetizza bene la situazione: “Oggi in Europa esistono due campi opposti: austerità e democrazia, il governo del popolo o il governo dei mercati e dei loro poteri non eletti. Noi stiamo con la democrazia. Noi stiamo con il popolo greco”.
Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party, ribadisce in un articolo apparso sul Guardian che l’austerity imposta alla Grecia ha peggiorato la situazione, con effetti devastanti sulla gente comune che pochi in Europa sembrano comprendere. Pur auspicando che la Grecia resti nell’euro, invoca un piano dell’ultima ora che abbia come priorità gli interessi del suo popolo e crei le condizioni per la ripresa economica. Conclude con un ammonimento agli intransigenti leaders europei: le loro minacce rischiano di produrre proprio l’effetto che volevano evitare, ossia una vittoria del no al referendum.
Ma il colpo forse più grave al coro di chi continua a sostenere le stesse misure che hanno portato la Grecia al disastro viene da una fonte autorevole, che forse per questo non trova spazio nei mass-media italiani: il Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz. In un articolo comparso sul Guardian e intitolato “Come voterei nel referendum greco”, Stiglitz ricorda che la Grecia ha ricevuto solo le briciole delle enormi somme prestate – andate invece ai creditori privati – ma ha pagato un prezzo altissimo per preservare il sistema bancario, in particolare di Francia e Germania. In realtà, precisa, non si tratta di denaro, ma del tentativo di piegare la Grecia e costringerla ad accettare l’inaccettabile, ossia misure di austerity e politiche punitive.
Pur ammettendo con sincerità che entrambe le alternative – l’approvazione o il rifiuto delle condizioni imposte dalla Troika – comportano rischi e incognite, Stiglitz lascia intendere con chiarezza come voterebbe: nel caso di vittoria del sì prevede una depressione infinita e un paese così impoverito da poter forse ottenere l’assistenza che la Banca Mondiale concede ai più miseri. La vittoria del no, invece, aprirebbe almeno alla Grecia la possibilità di prendere in mano il suo destino e plasmare un futuro che, per quanto magari meno prospero del passato, suscita una speranza ben diversa dall’assurda tortura del presente.