Daniele Biella
Nawal – l’angelo dei profughi
Edizioni Paoline, uscito a maggio 2015
Il libro ha al centro la figura di Nawal Soufi, ventisettenne di origine marocchina che da Catania aiuta e soccorre i profughi in fuga dalla guerra. Ne parliamo con l’autore, il giornalista ed educatore Daniele Biella.
Da dove nasce questo libro?
Dal mio lavoro giornalistico sull’immigrazione e i “viaggi della speranza” attraverso il Mediterraneo. Nell’agosto dell’anno scorso 250 persone sono morte in un naufragio. Due genitori siriani sopravvissuti sono arrivati a Milano e hanno bussato alle porte dell’Arci chiedendo aiuto per ritrovare i loro quattro bambini, dispersi durante il viaggio. Il loro appello ha avuto una vasta eco e un mio articolo al riguardo, pubblicato su Vita, ha girato molto in Italia e all’estero. Purtroppo i bambini non sono stati ritrovati, ma questa vicenda mi ha fatto conoscere Nawal, che tiene un diario con i dati di tutta la gente che parte alla volta dell’Italia e un registro dei dispersi. A settembre un articolo su di lei e sulle sue attività ha avuto una grande diffusione. In ottobre le Edizioni Paoline mi hanno chiamato chiedendomi se era possibile scrivere un libro sulla sua storia. Ci siamo conosciuti, lei si è fidata di me e io ho raccolto questa sfida.
Come hai costruito il libro?
Attraverso due incontri a Milano e a Como in occasione di eventi a cui Nawal partecipava e una giornata passata insieme a Catania, durante la quale incredibilmente non si sono verificate emergenze. La sua priorità infatti è rispondere alle chiamate che le arrivano a tutte le ore del giorno e della notte; tutto il resto, comprese le interviste, passa in secondo piano. Ho registrato e trascritto quello che mi ha raccontato e poi mi sono confrontato con lei per arrivare a una stesura definitiva, facendo una scelta cronologica e introducendo anche aneddoti su altri personaggi simili, come la ragazza siciliana che l’aiuta ad accogliere i profughi alla stazione ferroviaria di Catania.
Come è cominciato l’impegno di Nawal a favore dei profughi?
Nawal è sempre stata un’attivista e una volontaria. Da molti anni segue le vicende che riguardano i migranti in Sicilia e non solo, attivandosi ogni volta che si presenta un’esigenza o un problema da risolvere. Inoltre era in contatto con attivisti per i diritti umani in Siria e diffondeva i loro materiali. Nel 2013 è andata in Siria per portare aiuti umanitari e ha conosciuto alcuni di loro, lasciando il suo numero di cellulare, da chiamare nel caso servisse aiuto e mettendolo su Facebook. E così sono cominciate le drammatiche telefonate di gente che andava alla deriva su una barca, o aveva problemi di rifornimento. Lei si fa dare le coordinate e le comunica alla Guardia Costiera, che attiva i soccorsi. Una volta sbarcati, accoglie i profughi alla stazione di Catania, li aiuta a ripartire per il nord, dove la maggioranza vuole andare e avvisa del loro arrivo tramite il suo profilo Facebook. Si è anche “messa in mezzo” per opporsi ai cosiddetti “scafisti di terra”, che cercano di truffare i migranti appena arrivati ed è riuscita a sgominarli. Si è attivata una rete di volontari in Italia e all’estero (per esempio in Grecia e Bulgaria), di cui fanno parte anche alcuni euro-parlamentari con i loro assistenti e in molti casi si è riusciti a risolvere situazioni drammatiche come tentativi di espulsione.
Cosa ti ha colpito di più in lei?
La sua determinazione, la totale disponibilità a mettersi al servizio dell’altro. Non è mossa dal pietismo, ma dalla consapevolezza che potrebbe esserci lei dall’altra parte e dalla fede nella libertà e centralità dell’essere umano. A volte ha momenti di rabbia e scoraggiamento, però va avanti lo stesso e sa anche prendersi in giro e ridere della situazione. Il suo nome in arabo significa “dono” e molti profughi la chiamano “Mamma Nawal”. E’ come se lei, che non ha figli, ne avesse molti sparsi per il mondo, quelli che ha contribuito a salvare.
Cosa si potrebbe fare secondo te per affrontare il fenomeno dell’immigrazione, al di là dell’enorme disponibilità del volontariato?
E’ chiaro che il volontariato sta colmando una lacuna lasciata dall’inazione delle istituzioni, in cui l’approccio “securitario” prevale su quello umanitario. Esistono leggi internazionali e vie legali per garantire il diritto d’asilo e altre che andrebbero cambiate, come il trattato di Dublino, in base al quale la richiesta di asilo va esaminata dallo stato in cui la persona è entrata nell’Unione Europea, con conseguenti, lunghissime attese.
Vedi delle responsabilità anche nel campo politico e dei mass-media?
Ci sono politici che per opportunismo e calcolo elettorale sfruttano il fenomeno dell’immigrazione per ottenere voti e mezzi di comunicazione che alimentano la paura e il disagio nei confronti degli immigrati. La mancata gestione di situazioni che si trascinano a lungo, con persone sfuggite a situazioni traumatiche abbandonate a se stesse e la gente intorno che le guarda con diffidenza non fa che aumentare il disagio. Dove ci sono conoscenza e dialogo, invece, l’accoglienza funziona.