Per garantire il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie è innanzitutto importante farli conoscere, mettendo a disposizione di tutte le cittadine e di tutti i cittadini dati, notizie e informazioni sui patrimoni confiscati: dove si trovano, l’attuale loro uso, da chi sono gestiti o perché restano inutilizzati. Avere a disposizione questi dati rimane il primo fondamentale passo per immaginare qualsiasi forma di partecipazione e di protagonismo da parte della società civile e responsabile, nell’ottica della valorizzazione delle esperienze di riutilizzo sociale. Le previsioni normative del Codice Antimafia (D.Lgs. num. 159 del 06 settembre 2011), impongono agli enti locali di mettere a disposizione di tutte e tutti i dati sui beni confiscati trasferiti al loro patrimonio, pubblicandoli in un apposito e specifico elenco. Una previsione ulteriormente rafforzata dalla legge di riforma del Codice, che, nel 2017, ha introdotto la responsabilità dirigenziale in capo ai comuni inadempienti: “Gli enti territoriali provvedono a formare un apposito elenco dei beni confiscati ad essi trasferiti, che viene periodicamente aggiornato con cadenza mensile. L’elenco, reso pubblico nel sito internet istituzionale dell’ente, deve contenere i dati concernenti la consistenza, la destinazione e l’utilizzazione dei beni nonché, in caso di assegnazione a terzi, i dati identificativi del concessionario e gli estremi, l’oggetto e la durata dell’atto di concessione. La mancata pubblicazione comporta responsabilità dirigenziale ai sensi dell’articolo 46 del Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33.” 

E’ stata presentata nei giorni scorsi da Libera la terza edizione di “RimanDATI”, il Report nazionale che indaga sullo stato della trasparenza degli enti territoriali in materia di bene confiscati, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino e che quest’anno si arricchisce anche di un prezioso contributo dell’ISTAT.  

Il primato negativo in termini di trasparenza assoluta spetta ai comuni del Sud Italia (compreso le isole) con ben 248 comuni che non pubblicano l’elenco dei beni confiscati, segue il Nord Italia con 87 comuni e il Centro con 51. A livello di singole Regioni, tra le più “virtuose” – quelle cioè che raggiungono o superano il 70% dei comuni che pubblicano l’elenco – registriamo la Liguria (87,5%), l’Emilia-Romagna (84,4%), Puglia (79,8%) e Piemonte (78,2%). Rimandati con percentuale al di sotto del 50% troviamo Basilicata, Calabria, Lazio e Molise. Nello specifico delle singole regioni, val la pena rilevare come anche le 4 regioni ferme a 0 comuni adempienti nel 2022 (Basilicata, Molise, Trentino e Valle d’Aosta), nel 2023 facciano registrare un balzo in avanti.

Tuttavia, in generale i dati migliorano in tutte le regioni, con punte significative, considerato il peso regionale, per Campania, Piemonte e Liguria. Risale lentamente la Calabria che passa dal 18,8% dello scorso anno al 49,8% di questo. Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove, a fronte del 29,9% del 2022, nel 2023 arriva al 56,5%. È bene in ogni caso ricordare che tali considerazioni vanno lette con la massima cautela, dato il numero significativo degli immobili confiscati che gli enti locali in queste regioni sono chiamate a gestire. Sono tre le Province assegnatarie di Beni confiscati che non pubblicano l’elenco: Crotone, Matera e Messina, mentre Calabria e Lazio, tra le regioni monitorate, sono le uniche a non pubblicare nulla. 

Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco, da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione. Ai fini della ricerca di Libera – che mira a stimolare la pubblicazione di dati pienamente e compiutamente fruibili e dunque in formato aperto – sono stati considerati, nella percentuale dei comuni che pubblicano, esclusivamente quelli che lo fanno in formato tabellare. Tutte le altre tipologie di pubblicazione, nella valutazione complessiva, vengono associate alla categoria “elenco non presente”. Rispetto alle precedenti edizioni, si azzera il numero dei comuni che utilizzano formati totalmente chiusi mentre aumenta nettamente il numero dei comuni che pubblicano in formato aperto (passando dagli 82 del 2022 ai 238 del 2023) e in formato PDF ricercabile (da 260 del 2022 a 321 del 2023). Di contro, resta alto il numero dei comuni che proseguono nell’utilizzo di un PDF scansionato. Il monitoraggio ha riguardato anche altre informazioni fondamentali sulla vita del bene confiscato: il 6,4% dei comuni non specificano i dati catastali, sono il 4% gli enti che non specificano tipologia, il 6% l’ubicazione e ben il 30% non specificano la consistenza (informazioni sulla metratura o sugli ettari del bene confiscato). 

Tra le varie proposte che Libera avanza per migliorare la trasparenza in ordine alla gestione dei beni confiscati alle mafue, vi è quella di consolidare la pratica del governo aperto: “Garantire trasparenza integrale durante tutto il ciclo di vita dei beni, dalla fase di gestione da parte dell’ANBSC a quella che attiene agli enti territoriali, è atto chiave per la loro piena restituzione alla collettività. Essa permette alla società civile di comprendere cosa stia accadendo sui beni e alle istituzioni di valutare l’impatto di politiche dedicate. È quindi indispensabile che ogni ente coinvolto nel processo di restituzione dei dati agisca tempestivamente, in modo completo e prevedendo una effettiva comparabilità tra dataset, a oggi ancora lontana. Tale armonizzazione, di intenti e di forme di pubblicazione, è da praticarsi tanto nelle sedi nazionali dedicate alla promozione del governo aperto, come l’Open Government Partnership, quanto da parte di singole realtà istituzionali, agendo in dialogo con la cittadinanza diffusa.” 

Qui per approfondimenti e per scaricare la terza edizione di “RimanDATI”: https://www.libera.it/schede-2438-beni_confiscati_monitoraggio_libera_trasparenza.