Giovedì 18 Aprile, giornata internazionale del prigioniero politico, a Milano si è provato ad unire più storie.

Tutto è partito dal Comitato di solidarietà con Leonard Peltier, nativo americano, da 48 anni nelle carceri Usa, che in pochi giorni ha invitato tutti e tutte coloro che sostengono una lotta per la quale vi sono prigionieri politici a partecipare.

Inizialmente doveva essere in piazza Duomo, ma la questura ha concesso solo la vicina Piazza Mercanti, la mediazione è stata che si è iniziato in piazza Duomo per continuare nell’altra piazza.

E’ andata bene, per essere stata realizzata in poco tempo, e per essere la prima volta in cui si affiancano varie storie da diversi continenti: oltre ad essere ricordata la storia di Leonard Peltier e di Mumia Abu Jamal che marciscono nelle carceri di massima sicurezza Usa, l’uno simbolo dell’American Indian Movement, l’altro che a giorni compirà 70 anni dei quali 40a trascorsi in galera, si sono succeduti vari interventi.

E’ stata ricordata la storia di Julian Assange (nota ai più, ma per la quale è bene insistere in tutti i modi prima che sia troppo tardi), quella dei prigionieri politici palestinesi (il cui numero è schizzato negli ultimi mesi) e che vedono Marwan Barghouti come simbolo, la vicenda di Ocalan da più di 20 anni nell’isola carcere di Imrali (ma con lui le centinaia o forse migliaia di prigionieri politici, non solo kurdi, nelle carceri di Erdogan), le storie dei Saharawi nelle carceri marocchine, ma anche le condizioni ben poco note degli oppositori in Cina, in Arabia Saudita, in Nord Corea, in Iran…

Sono stati raccontati i casi di giovani israeliani che rinunciando al servizio militare vanno incontro alla galera. O di coloro che si oppongono alla guerra, o disertano, in Russia o Ucraia e che finiscono dietro le sbarre.

Ma vi è stata poi la partecipazione attiva di un gruppo di sudamericani in particolare Peruviani ed Ecuadoriani, che hanno raccontato le vicende dei loro Paesi, dove la democrazia è stata calpestata e le condizioni di libertà stanno rapidamente peggiorando.

E’ stato ricordato anche il caso di Alfredo Cospito che dopo il suo lunghissimo sciopero della fame, è ancora al 41bis.

Infine è comparso un lungo striscione dedicato ad Ilaria Salis, la cui storia ha chiuso il cerchio.

Un primo momento in cui si cercano di unire storie e lotte che hanno bisogno di raccontarsi tra loro, per scoprire terribili analogie, pratiche comuni di governi repressivi, forme di lotta e resistenza che partono innanzitutto dal far conoscere vicende che si vogliono mantenere nel silenzio, come quella di Victor Polay da anni e anni nelle carcere del Callao in Perù, in quanto leader del MRTA, Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru, quello che in molti ricordiamo per l’assalto all’ambasciata giapponese di Lima, dove tutto il gruppo guerrigliero fu massacrato ai tempi di Fujimori.

Insomma, di storie ve ne sono moltissime, troppe.

Per chiudere, e per capire come le storie si intrecciano, il giorno seguente, a Milano, è stato presentato presso la libreria Claudiana il libro “I processi Condor” di Francesca Lessa, in cui sono stati ricostruiti gli anni in cui in buona parte dell’America Latina le diverse dittature si erano coordinate per una repressione più efficace.

Come hanno raccontato e chiuso i loro interventi, Andrea Rivas, l’avvocato Maniga, Aurora Meloni e gli altri ospiti: “Nunca Mas” (Mai Più”).