Negli ultimi quattro mesi a Torino e dintorni sta crescendo un movimento che offre degli aspetti finora inediti nella presa di coscienza e condivisione sul piano dell’azione cosi come su quello dell’analisi rispetto alle contraddizioni insite nelle trasformazioni di un mondo del lavoro in contrasto con la dimensione di realizzazione umana e, spesso, con gli stessi diritti e conquiste sociali.

L’aspetto inedito, pur senza poter essere considerato realmente nuovo, è dato dalla dimensione collettiva della protesta lanciata da un gruppo di giovani donne, in sinergia con le declinazioni locali di movimenti transnazionali, come ad esempio il nodo di Torino di “Non una di meno – Ni una menos”, a partire dalle vicende specifiche affrontate con coraggio e determinazione dalle 5 donne che hanno promosso l’iniziativa “La parte invisibile della città” in un ambito sociale e culturale, prima di essere e diventare profondamente economico, nel quale prevalgono generalmente la reticenza e la paura anziché la denuncia e lo sforzo verso l’emersione delle contraddizioni, ovvero il Terzo Settore. Questa diade spesso racchiude quello che negli ultimi 20 anni, soprattutto in Italia, ha racchiuso le principali trasformazioni, e spesso vere e proprie derive, delle condizioni lavorative e della stessa struttura organizzativa e gestionale di quei livelli territoriali che nel complesso si sono rivelati soggetti passivi anziché attori protagonisti di cambiamenti che, pur nell’incompletezza e nei meccanismi tendenti alla frammentazione della catena delle responsabilità nella gestione di servizi e nella creazione di beni immateriali ma non per questo meno necessari alla coesione sociale. Si tratta di trasformazioni spesso silenti, ma comunque dirompenti, i cui costi ricadono in maniera preponderante sui lavoratori e sulle lavoratrici che soffrono già situazioni di profondo squilibrio tra competenze e conoscenza sempre più sofisticate, soprattutto per coloro che si inseriscono in autonomia da qualsiasi supporto e connessione familiare/amicale e che già vivono una, o più di una, discriminazione strutturale (che sia di genere, di classe, di età, o di strumentalizzazione geografica) congiuntamente alla mancata coerenza di riconoscimento economico, contrattuale e di crescita professionale e personale. Le situazioni di svantaggio e talvolta di vera e propria penalità, contrattuale o di altro tipo, sono direttamente legate a tali trasformazioni, soprattutto alla rapida caratterizzazione del terzo settore in ottica capitalista a discapito delle condizioni, aspirazioni e dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici, nonché dei diritti conquistati nel corso dei decenni precedenti, e spesso raccolgono anche l’eredità di problematiche antiche e mai sanate in alcuni contesti sociali contemporanei, com’è senz’altro il caso di quello italiano. Tra questi retaggi, è importante ricordare i sistemi di familismo amorale che costituiscono la colonna portante di numerose piccole e medie aziende, ONG e di organizzazioni della società civile, la facilità nell’accesso ai finanziamenti pubblici, l’assenza di procedure strutturate di monitoraggio etico a livello pubblico e l’accesso ai contesti professionali tramite meccanismi di raccomandazione basati sulle conoscenze e relazioni di carattere personale.

In alcuni contesti urbani – e non – tante di queste trasformazioni o di principi di conservazione come i sistemi di cooptazione legati ai familismi e alla raccomandazione vengono assorbite in maniera più rilevante, ma questo non necessariamente facilita la denuncia o la condivisione delle lotte a partire dalle vicende individuali che rischiano, invece, di restare tali senza generare cambiamenti, ne’ sforzi di cooperazione finalizzati a migliorare le condizioni delle future generazioni. Il caso di Torino è sicuramente esemplare in tal senso, come già alcuni lavori, tra cui quelli dedicati al “Sistema Torino” e soprattutto il romanzo “I Buoni” di Luca Rastello che proprio questo mese celebra il decennale dalla pubblicazione. Negli ultimi città sabauda è rimasta ingolfata nella transizione non indolore da motore industriale e polo di attrazione per generazioni di migranti economici nell’Italia post bellica, con le conseguenti stratificazioni di discriminazioni che arrivano fino a oggi, all’aspirata riconversione post-industriale, spesso poggiata in maniera estremamente fragile sui grandi eventi e su pianificazioni a singhiozzo, ha lasciato spazio a deleghe di ogni tipo al cosiddetto “privato sociale”, alle esternalizzazioni e, soprattutto, a sacche importanti di lavoro povero.

In questo quadro si inserisce la protesta delle ex lavoratrici dell’associazione Eufemia che, anche affrontando elevati cosi personali a partire da un lungo sciopero condiviso proprio con quella parte “invisibile della città” che non si nasconde solo nelle celebrate pagine di Italo Calvino, ma ha bisogno di respirare e farsi raccontare nelle piazze, nelle strade delle proteste canoniche, nei centri giovani saturi di contraddizioni da affrontare e superare. La loro lotta, iniziata formalmente il 23 gennaio 2024, sta riuscendo nell’impresa di incoraggiare un ripensamento collettivo sul ruolo del lavoro sociale in un’ottica ben più ampia di quella locale partendo proprio dal cuore della città che maggiormente incarna le lotte e le pratiche lavorative del contesto italiano degli ultimi due secoli. Questa apertura e invito alla riflessione collettiva fino a un generale ripensamento dal quale potranno emergere miglioramenti e maggiori tutele per le presenti e future generazioni di lavoratori e lavoratrici, cosi come di utenti e persone coinvolte a vario titolo, non soltanto del lavoro sociale, ma di numerosi ambiti che non hanno ancora una vera e propria casa e sono emersi anche dai contesti professionali meno strutturati e riconosciuti che restano sotto il cappello fluido del terzo settore, come avviene per esempio nel caso dello “youth work” (che non ha ancora un vero e proprio equivalente in lingua italiana), dell’educazione non formale e della gestione della mobilità’ umana transnazionale. In

In tale ottica partecipativa e di collettivizzazione, le tappe e gli strumenti fondamentali che compongono la lotta delle lavoratrici dell’associazione Eufemia, oltre alla forma dello sciopero e alle vertenze, includono infatti un sondaggio pubblico sulle condizioni di sfruttamento nel terzo settore (ancora aperto e compilabile dal seguente collegamento: https://forms.gle/FgGcgHCmxMouqRkr6) e una serie di assemblee cittadine aperte che stanno costituendo un vero e proprio momento di confronto e di condivisione di esperienze cosi come di proposte per il futuro crescendo anche come risonanza al di fuori del contesto cittadino e guadagnando una crescente risonanza mediatica. La prossima assemblea, aperta al pubblico più vasto anche solo sul piano informativo rispetto a quanto accaduto alle lavoratrici e che, come dimostrato dall’alto numero di risposte al sondaggio pubblico giunte da tutta Italia e anche da altri Paesi, sono già estremamente diffuse anche altrove, organizzata in collaborazione con numerose altre realtà associative impegnate in un percorso collettivo proposto dallo sciopero transfemminista dell’8 marzo fino alla giornata internazionale del 1 maggio, si è tenuta venerdì 19 aprile 2024 a partire dalle ore 18:15 presso l’Auditorium Polo del 900 in via del Carmine, 14 a Torino. L’invito alla partecipazione è esteso a tutte e a tutti.

Per informazioni:

@laparteinvisibiledellacitta (Instagram) – La parte invisibile della città (Facebook)

www.linktr.ee/soc3lavorat3.eufemia