Oggi, dopo un’odissea durata sette anni, il tribunale di Trapani ha emesso una sentenza storica dichiarando il non luogo a procedere per tutti gli imputati. Dopo due anni di oltre 40 udienze preliminari, questo caso si conferma il più lungo, costoso e vasto procedimento contro le ONG di ricerca e soccorso, esempio emblematico dei grandi sforzi compiuti dalle autorità per criminalizzare la migrazione. Pur accogliendo con favore la sentenza del tribunale, l’equipaggio della Iuventa esprime grande disappunto per gli irreparabili danni inflitti dall’indagine e dal processo.
Sascha Girke, imputato di Iuventa: “Il risultato di un’indagine viziata e guidata da motivazioni politiche è che migliaia di persone sono morte nel Mediterraneo o sono state riportate con la forza in una Libia devastata dalla guerra. Nel frattempo, la nostra nave è stata lasciata marcire mentre noi siamo rimasti invischiati in un procedimento che dura da anni. Per di più, nel tentativo di ostacolare e diffamare la flotta civile di soccorso in mare sono stati sprecati fondi pubblici per una cifra di circa 3 milioni di euro. Il nostro caso è un simbolo lampante delle strategie che i governi europei mettono in atto per impedire alle persone di raggiungere un luogo sicuro, provocando e normalizzando la morte di migliaia di persone”.
Il caso Iuventa ha segnato l’inizio di una campagna diffamatoria volta a legittimare la repressione contro i soccorsi in mare della società civile. La natura politica del caso è stata evidenziata, tra l’altro, dal fatto che il Ministero degli Interni si sia costituito parte civile nel processo. A riprova del fatto che le accuse fossero infondate sin dall’inizio lo stesso pubblico ministero dopo anni di accanimento lo scorso 28 febbraio ha chiesto il non luogo a procedere per gli imputati durante le conclusioni dell’accusa .
La repressione del soccorso però continua ancora oggi, incentrata ora su prassi ostruzionistiche e sanzioni amministrative, oggi fondate sull’emblematico Decreto Piantedosi, che riafferma la volontà dello Stato italiano di impedire i soccorsi in mare e la sua responsabilità per la morte di migliaia di persone.
Inoltre, altrettante persone in movimento continuano a essere sistematicamente arrestate con le stesse accuse – favoreggiamento dell’immigrazione irregolare – semplicemente perché si trovavano alla guida di un’imbarcazione o di un’auto. A differenza dell’equipaggio della Iuventa, queste persone non ricevono lo stesso livello di supporto e attenzione e sono spesso condannati a lunghe pene detentive.
Per evitare che si ripeta il caso Iuventa e per salvaguardare i diritti delle persone in movimento, l’equipaggio chiede che venga abolita la disciplina che criminalizza il favoreggiamento della migrazione. Denunciano il “Facilitators package” europeo e l’articolo 12 del testo unico sull’immigrazione italiano, che consentono e incoraggiano la criminalizzazione della solidarietà tra e verso le persone in movimento, mettendo a repentaglio diritti fondamentali. La Corte di giustizia dell’UE è attualmente impegnata in un caso che concerne la validità e l’interpretazione del pacchetto “facilitatori”.
Nonostante le gravi conseguenze, il caso Iuventa è diventato anche un simbolo di supporto, solidarietà e resilienza al livello internazionale. L’equipaggio della Iuventa non si lascia scoraggiare e dichiara di voler riprendere le missioni di salvataggio il prima possibile.