Intervista a Serafino Biondo, CGIL “Le radici del sindacato”
D. È di qualche giorno fa l’ennesima strage sul lavoro, nella centrale idroelettrica di Suviana sull’Appennino Emiliano, che è costata altre morti. Le cosiddette “morti bianche” sono ormai più numerose dei femminicidi, ma sembrano scandalizzare meno, quasi le mettessimo in un conto ovvio di rischi e perdite… Puoi farci il punto della situazione, dati alla mano?
R. Non penso sia un problema di scandalo minore, sia i femminicidi che gli omicidi sul lavoro sono la cifra di una società costruita dal capitale che utilizza lo sfruttamento e il patriarcato come strumenti di dominio. Credo che l’attenzione mediatica maggiore su una questione piuttosto che sull’altra sia soltanto merito del movimento femminista, che da un lato si è imposto con una mobilitazione continua e con pratiche conflittuali, mentre sull’altra questione abbiamo un movimento dei lavoratori e delle lavoratrici che non riesce a produrre una continuità di lotta sull’argomento.
Va anche sottolineato, a mio parere, che ci troviamo in presenza di un Sindacato che spesso sembra paralizzato di fronte ad eventi che necessitano evidentemente prese di posizione forti, fino alla convocazione di uno Sciopero Generale, e generalizzato oserei direi, sul tema. Dopodiché, detto questo, ci troviamo di fronte ad una situazione gravissima, con una media di 3 morti al giorno, tantissimi feriti gravi, per non parlare delle malattie professionali, altro tema su cui tanto c’è da fare.
D. È stata avviata un’iniziativa per introdurre il reato di omicidio sul lavoro in analogia con l’omicidio stradale. Non credi che più del giustizialismo servirebbe la prevenzione? E quali misure preventive reputi indispensabili? Sono già previste dalle leggi attuali o bisognerebbe aggiungerne?
R. Io penso sia necessario introdurre il reato specifico. Chi come me si muove dentro le fabbriche, i cantieri, ma anche gli spazi del lavoro in generale, respira immediatamente il senso di impunità che spesso viene ostentato dai padroni. In Italia è diffusa una cultura che vede nella salute e nella sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici un costo da ridurre per aumentare i profitti.
Concordo poi sulla necessità di fare prevenzione. Essa è fondamentale, partendo dall’obbligo formativo, sia per le aziende che per i lavoratori e le lavoratrici. Certo deve essere una formazione vera, curata ed effettuata da enti formativi statali, non da privati che magari spesso rilasciano certificati senza che nessuno controlli l’effettivo svolgimento dei corsi stessi.
È altrettanto necessario intervenire sull’età pensionabile. Le cronache, purtroppo, sono piene di operai ed operaie ultra sessantenni che cadono dai ponteggi, inghiottiti dai macchinari, schiacciati dalle macerie, solo per fare qualche esempio. Sarebbe assolutamente utile legiferare e trovare risorse per il riconoscimento dei lavori usuranti.
Infine, direi, che i tempi sono oltremodo maturi per ridurre l’orario di lavoro settimanale. Diciamo che di misure che potrebbero avere un impatto immediato sul tema ne potremmo trovare a centinaia; peccato che il sistema politico del paese e quello imprenditoriale vivono la questione della salute, della sicurezza e dell’ambiente nei posti di lavoro solo e soltanto come un costo, e quindi da ridurre o addirittura da cancellare.
Diciamo che l’attuale normativa di riferimento, il testo unico sulla sicurezza, il più delle volte rimane un enorme manoscritto in qualche scaffale polveroso delle imprese italiane. Migliaia di morti sarebbero evitabili, se solo fossero rispettate le misure a tutela della salute e della sicurezza di lavoratori e lavoratrici.
D. La scarsezza e la sporadicità dei controlli statali, dovute non solo o non tanto a connivenza, ma anche ai tagli alle risorse e alla conseguente poca disponibilità di personale, pesano anch’esse sull’intero sistema preventivo. Qual è lo stato dell’INAIL al momento?
R. In Italia tanti sono gli enti che dovrebbero occuparsi di vigilare, controllare, formare, o semplicemente intervenire quando interpellati: INAIL, SPRESAL, ASP, Carabinieri, Ispettorati del lavoro, ognuno con le proprie competenze ed i propri settori d’intervento. In realtà è un disastro, almeno sicuramente qua in Sicilia. Le poche squadre ispettive corrono da una parta all’altra delle varie province, di prevenzione ovviamente neanche l’ombra. Su questo è necessario un intervento statale, che dia risorse da destinare a questo settore, piuttosto che aumentare le spese militari. Un paese che ha a cuore la condizione dei propri cittadini non dovrebbe permettere questo.
D. La liberalizzazione di appalti e subappalti, incrementata da questo governo di ultradestra, il dilagare del lavoro irregolare, il caporalato in che misura contribuiscono ad aumentare l’incidenza dei disastri? A morire sono sempre più spesso immigrati senza contratto…R. Questa è una delle questioni centrali. La realtà è sotto gli occhi di tutti. Laddove maggiore è la catena di appalti e subappalti, peggiori sono le condizioni lavorative ed ovviamente aumenta il rischio di farsi male, fino a morire. Tra l’altro in queste condizioni anche l’intervento sindacale si fa più difficile, a volte quasi impossibile.
Vi faccio un esempio: Fincantieri. A fronte di circa 8000 dipendenti diretti (in Italia) ci sono almeno 20000, spesso anche di più, lavoratori e lavoratrici delle ditte in appalto, di cui tantissimi immigrati. Gente che va, gente che viene, si sposta da un cantiere navale all’altro, imprese che nascono come i funghi, poi spariscono. Insomma un marasma che rende complicato intercettare e quindi mettere in piedi un intervento sindacale su migliaia di persone. E questo è solo un esempio, immaginate cosa succede in agricoltura, con episodi di vera e propria riduzione in schiavitù.
Purtroppo, nonostante la necessità di intervenire con una legge che regoli la catena degli appalti, dei subappalti dove spesso si annida malaffare, l’attuale Governo, si è mosso in modo contrario, allargando ancora di più le maglie di appalti e subappalti e quindi nei fatti alimentando un sistema che ha prodotto solo disastri sociali e morti.
D. Qual è l’impegno del sindacato, e della vostra componente in particolare, a fronte di tanto dolore e tanta ingiustizia?
R. L’impegno è quello di sempre, faticoso, snervante, spesso poco produttivo, ma necessario. C’è qualche esempio virtuoso. Penso al ciclo di lotte nella logistica, alla costituzione come parte civile da parte della FIOM nei processi di morti sul lavoro, alle centinaia di ore di sciopero messe in campo dalle RSU quando si verificano infortuni, alle campagne di sindacalizzazione fra i braccianti in Sicilia e Puglia. Questi sono solo alcuni esempi, tanti altri ne esistono. Forse però è necessario dotarsi di altre armi, altri strumenti.
Fondamentale è la figura degli RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza), spesso unico baluardo a difesa della condizione di sicurezza nei posti di lavoro e per questo tantissime volte oggetto di rappresaglie vere e proprie da parte delle aziende. Ecco, sicuramente le Organizzazioni Sindacali devono destinare più risorse, in termini formativi, proprio per queste figure.
Per quanto riguarda la nostra componente, essa (Le radici del sindacato) è composta nella quasi totalità da delegati e delegate RSU (Rappresentanze Sindacali Unitarie), spesso anche RLS, impegnati quindi quotidianamente dentro i posti di lavoro. Oltre a quest’attività di prima linea, abbiamo ritenuto che sia necessario costruire reti di confronto e scambio tra RLS, per questo qualche mese fa abbiamo costruito un’importante assemblea sulla sicurezza a Padova.
Infine, cosa importantissima, da anni ormai siamo protagoniste e protagonisti di una battaglia politica interna per spingere l’organizzazione tutta ad una mobilitazione permanente sul tema, cosa che riteniamo assolutamente fondamentale e necessaria per costringere governo e controparti a trattare la questione con l’urgenza e la necessità che merita.