Intervista a Franck Gaudichaud
A metà del suo mandato, il presidente Gabriel Boric non è ancora riuscito a realizzare le profonde riforme che aveva sperato, spiega Franck Gaudichaud, specialista in studi latinoamericani e autore, tra l’altro, di Chile 1970-1973. Mil días que estremecieron al mundo.(Mille giorni che sconvolsero il mondo), Edizioni Sylone.
A capo dello Stato dal marzo 2022 ed eletto con la speranza di indirizzare il Paese su linee progressiste, il giovane presidente Gabriel Boric (38 anni), incapace di opporsi al blocco conservatore o di riunire la sinistra attorno al suo governo, sembra aver riorientato le sue politiche.
Luis Reygada: A metà del suo mandato, cosa ha realizzato l’uomo che aveva promesso di “riprendere le grandi strade” del presidente socialista Salvador Allende?
Franck Gaudichaud: Gabriel Boric è salito al potere incarnando la speranza di una svolta post-neoliberale, in un contesto molto particolare, poiché è arrivato dopo l’esplosione sociale del 2019. È arrivato spinto da richieste molto forti, soprattutto sociali, a capo di una coalizione che comprendeva partiti più a sinistra di lui (come il Partito Comunista Cileno) e fondamentalmente critici nei confronti dei vent’anni di governo della Concertación post-dittatura (tra il 1990 e il 2010), segnati dai compromessi e persino dalla gestione neoliberale del potere da parte dei governi di centro-sinistra durante questo periodo.
Così, quindi, Boric è arrivato con promesse di riforme di ampio respiro in un Paese in cui il settore privato è il pilastro della società, con un dominio assoluto di ampi settori in gran parte liberalizzati (istruzione, sanità, pensioni, ecc.). Nel complesso, Boric sperava in un “nuovo Cile” in cui il settore pubblico avrebbe riacquistato un certo controllo sulle forze di mercato. Sotto tutti questi aspetti, i risultati sono estremamente deludenti.
L.R: Per mancanza di una maggioranza al Congresso?
F.G: Sì, chiaro, ma non solo. Il Governo non è in una posizione di forza all’interno delle istituzioni; quindi, deve negoziare in continuazione e ha finito per governare dall’estremo centro, addirittura reintegrando al potere figure chiave del Partito socialista. Il presidente non è riuscito a sfruttare il periodo di “luna di miele” dei primi sei mesi del suo mandato: ha puntato tutto sull’approvazione del primo progetto di Costituzione per consolidare una politica progressista dinamica. La sua bocciatura (con il 62% nel settembre 2022) è stata una doccia fredda. Questa sconfitta ha danneggiato tutta la sinistra e i movimenti sociali, in difficoltà dopo un ciclo elettorale lungo e piuttosto caotico che ha portato a un secondo processo costituzionale dominato dall’estrema destra. Alla fine, anche questo secondo progetto di costituzione è stato respinto da oltre il 55% dei votanti. Il governo sembrava neutralizzato, incapace di riprendere l’iniziativa politica.
Inoltre, la scarsa capacità del governo di mobilitare la propria base e i movimenti sociali fa sì che non possa contare su un sostegno ampio e strutturato che gli consenta di confrontarsi con le forze di opposizione. Tanto meno di sfidare l’oligarchia cilena, che può contare sui partiti più conservatori e tradizionali per rappresentare i propri interessi.
L.R: Ciononostante, sono stati compiuti alcuni progressi e i sondaggi danno al presidente un indice di gradimento tra il 26 e il 30%.
F.G: Assolutamente, più dei suoi predecessori. Dopo due anni, può ancora contare su una base di sostegno ed è innegabile che abbia un certo ancoraggio nelle classi medie progressiste. Ma ha perso molto terreno tra le classi lavoratrici.
Ci sono stati alcuni progressi sulle questioni sociali: la settimana lavorativa è stata ridotta a 40 ore (ma con nuove formule per il lavoro flessibile), i salari minimi sono stati aumentati, è stato agevolato l’accesso gratuito all’assistenza sanitaria di base, ecc.. Ma le grandi riforme strutturali, in particolare quella fiscale e quella delle pensioni, non sono state realizzate e il quadro egemonico rimane totalmente neoliberista capitalista e dominato dalla stessa oligarchia. La delusione è enorme e sta rafforzando l’estrema destra.
L.R: Anche il clima di sicurezza sfavorevole, con l’aumento della criminalità, ha contribuito a questo rafforzamento?
F.G: In poco meno di sei anni, il Cile ha visto raddoppiare il suo tasso di criminalità più violenta, con un chiaro aumento dell’attività dei gruppi legati ai cartelli della droga (come il cartello venezuelano noto come El tren de Aragua). Questa violenza, a volte tristemente spettacolare, colpisce soprattutto le classi medie e operaie. Tuttavia, le cifre hanno mostrato un leggero miglioramento negli ultimi mesi, ma si tratta di un problema complesso, aggravato dalla capacità dei media commerciali di imporre al dibattito pubblico le questioni relative alla sicurezza e alla criminalità da un’angolazione sfavorevole alla sinistra.
Tuttavia, anche la risposta di Boric al problema della violenza dei cartelli ha deluso molti dei suoi sostenitori. La riforma del corpo dei carabineros, responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, soprattutto nel 2019, non è mai stata attuata. Gabriel Boric si era sempre rifiutato di militarizzare la questione dell’ordine pubblico, ma ora, nella lotta alla criminalità, e anche nel conflitto con il popolo Mapuche nel sud del Paese, lo ha fatto. Qui c’è un vero problema di ordine pubblico, di disuguaglianze sociali, di accesso a posti di lavoro dignitosi, ecc., in una questione che è molto più facile da gestire per l’estrema destra, che ovviamente sostiene la militarizzazione all’estremo sulla base di una retorica xenofoba e razzista.
L.R: Siamo lontani da un presidente di sinistra radicale, come la destra ama definirlo?
F.G: Il presidente Boric ha sempre mostrato una disponibilità al dialogo, e persino a cercare di creare una certa “unità nazionale”, come abbiamo visto durante la commemorazione del cinquantesimo anniversario del colpo di Stato del 1973. È una strategia che porta pochi frutti di fronte a una destra riluttante, che continua a rivendicare – almeno in parte – l’eredità della dittatura, che si oppone sistematicamente a qualsiasi compromesso e che, al contrario, cerca costantemente di isterilire qualsiasi dibattito politico, ad esempio, puntando il dito contro l’ala sinistra del governo in un Paese in cui l’anticomunismo è ancora molto presente.
La recente morte accidentale dell’ex presidente conservatore Sebastián Piñera, uno dei responsabili della repressione della rivolta del 2019, e il modo in cui, nonostante tutto, Boric ha esaltato la sua figura di repubblicano ha sorpreso o addirittura scioccato parte della sua base militante.
In effetti, il presidente Boric ha compiuto una serie di gesti simbolici che hanno mostrato uno spostamento della sua posizione ideologica verso il centro, al punto da rivendicare di recente l’eredità del presidente democristiano Patricio Aylwin (1990-1994), una figura importante nel periodo di transizione degli anni Novanta.
Eppure il giovane militante Boric aveva costruito la sua carriera politica in opposizione a questo periodo storico di transizione in cui l’élite politica ha finito per avallare molti dei retaggi autoritari della dittatura. Oggi possiamo dire che il suo mandato si inscrive soprattutto nella continuità del periodo di transizione e del suo consenso (neoliberale). A cinquant’anni dal colpo di Stato, se si vuole fare un paragone, la sua amministrazione è molto più simile a quella di Michelle Bachelet e di parte dei governi della Concertación (1990-2010) che al governo profondamente trasformista dell’Unidad Popular (di Allende, N.d.R) degli anni Settanta.
Traduzione dallo spagnolo di Benedetta Cammerino. Revisione di Thomas Schmid.