La recente dichiarazione Dignitas infinita, pubblicata dalla congregazione per la dottrina della fede, accanto alla sacrosanta difesa della dignità di poveri, migranti, sfruttati e portatori di handicap e al ripudio della guerra (temi che, per ammissione dello stesso redattore del documento, papa Francesco ha insistito perché venissero inseriti e potenziati), ribadisce in termini pesanti la condanna dell’aborto, del suicidio assistito, della cosiddetta teoria gender, del cambio di sesso, della tratta, della prostituzione e della maternità surrogata. Condanne su diverse delle quali si può essere d’accordo, ma che messe tutte insieme in nome di una presunta essenza ontologica dell’essere umano impediscono di vedere la specificità dei drammi che accompagnano ognuna di queste pratiche e si traducono nella quintessenza del diritto patriarcale.
Non si tratta certo di una novità anche per chi continua a considerare l’enciclica Laudato sì un riferimento imprescindibile per i fautori della giustizia sociale e ambientale. Il problema d’altronde si era già posto nel 2019, all’indomani del Congresso mondiale delle famiglie a Verona e della grande manifestazione femminista che l’aveva contestato. Riporto qui alcune delle cose scritte allora:
“I movimenti delle donne costituiscono oggi il nucleo fondamentale della resistenza all’ondata reazionaria, autoritaria e razzista che sta investendo non solo il nostro Paese, ma un po’ tutto il mondo. Lo sono sia per la loro dimensione internazionale, che è l’unico terreno su cui oggi si possono intraprendere delle battaglie vincenti, sia, soprattutto, perché in tutte le mobilitazioni indette da donne il bersaglio, pienamente centrato, è la restaurazione della famiglia patriarcale, nemico numero uno dell’autonomia della persona e modello per riaffermare la sacralità del “terribile diritto” di proprietà: innanzitutto quello del “capofamiglia” sulle proprie donne (quasi sempre più di una, ancorché alcune tenute nascoste, anche nelle famiglie più tradizionali); ma modello anche di tutte le altre forme di proprietà, compresa quella sulla propria patria (termine la cui allitterazione con patriarcato non è casuale): ciò che fa dello straniero, del migrante, del profugo un nemico contro cui muovere guerra senza alcuna pietà. Il patriarcato è la cornice irrinunciabile dello “sfruttamento dell’uomo sull’uomo” e, ovviamente, sulla donna, sul vivente, sulla Terra.”
Quando è stata pubblicata non era stato difficile riconoscere nell’enciclica Laudato sì un testo di eccezionale valore per il modo in cui giustizia sociale e giustizia ambientale (quella nei confronti della Terra e di tutto il vivente) vengono associate in un approccio che ribalta irrevocabilmente secoli di cultura antropocentrica, ma non erano sfuggiti cenni che contrastano radicalmente con una cultura libertaria.
Nessuno ha mai pensato che Francesco potesse cambiare idea sull’aborto, anche se molti considerano quella e altre condanne manifestazioni di un approccio apertamente patriarcale e un avallo alla struttura maschilista della gerarchia ecclesiastica e vaticana, ma i termini usati [allora] dal papa sono inaccettabili. Trattare da assassine le donne che vivono un dramma esistenziale profondo e da sicari i medici che per aiutarle sacrificano la loro carriera (per farla fare ai tanti obiettori per mero opportunismo, che non a caso si moltiplicano come un virus) ha il sapore di un hate speech, come quelli che pullulano nei social ad opera dei fan di Salvini e della sua macchina da guerra.
Così, senza che ciò riduca la validità dei contenuti centrali dell’enciclica Laudato sì, [in quei giorni] abbiamo forse perso, o dimezzato, un riferimento importante delle nostre battaglie, ma ne stiamo ritrovando nei movimenti delle donne uno su cui possiamo invece contare sempre di più tutti quanti, donne e uomini.