Si moltiplicano le iniziative in favore di Luigi Spera, attivista politico di Antudo, incarcerato a Palermo per atti di terrorismo a seguito di una azione dimostrativa contro la Leonardo s.p.a, industria produttrice di armi, usate oggi anche a Gaza contro il popolo palestinese.
La cosa va spiegata bene poiché l’accusa, che in concreto riguarda il lancio di una bottiglia incendiaria, può far pensare all’uomo della strada che il presunto autore se l’è cercata. D’altra parte è vero che una simile azione sarebbe comunque considerata reato in qualunque parte del mondo. Ma non è questo il problema.
La vera questione è l’aggravante di atto con “finalità di terrorismo”. Non si tratta solo di una iniziativa giudiziaria sproporzionata rispetto ad una azione puramente dimostrativa che si guardava bene dal colpire persone fisiche e che ha pure provocato danni irrilevanti alle cose. Dietro questa vicenda ci sta piuttosto, da parte della magistratura, l’uso sempre più spregiudicato e repressivo della “finalità di terrorismo”, grazie anche ad un disposto legislativo che ne rende possibile una applicazione sempre più espansiva e generalizzata. In particolare la materia è regolata dall’art. 270 del Codice Penale. Vediamo nello specifico.
L’articolo in questione è molto lungo. A noi in particolare interessa la parte iniziale del dispositivo dell’art. 270 sexies che recita in questo modo:
“Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un paese o ad una organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto…”
Due cose saltano subito agli occhi. La prima è che per definire l’ipotesi di reato di terrorismo viene usato il termine “condotte”, molto più ampio e molto più generico rispetto ad “atti”, e quindi molto più facilmente applicabile a situazioni anche molto diverse e distanti tra loro. La seconda questione riguarda il fatto che, mentre nelle precedenti parti dell’articolo 270 (che per brevità non abbiamo riportato) si parla esplicitamente di “atti di violenza con finalità di terrorismo”, qui improvvisamente la parola “violenza”, come elemento essenziale per definire l’atto di terrorismo, scompare del tutto, e la finalità terroristica viene invece riferita, come dice esplicitamente il testo, a condotte valutate innanzitutto per la loro intrinseca “natura” e attraverso il “contesto” in cui vengono messe in atto. Come si può facilmente constatare i concetti di “natura” intrinseca e di “contesto” sono di una tale vaghezza da non significare praticamente nulla di preciso, lasciando al magistrato una amplissima possibilità interpretativa e di applicazione ai casi specifici.
In pratica l’unico limite per definire “le condotte con finalità di terrorismo”, non sono le azioni in sé, ma le finalità delle stesse, non solo quando tali finalità siano esplicitamente dichiarate dagli autori, ma anche, e con ogni probabilità molto più spesso, quando esse vengano liberamente presunte da colui che giudica. Dette finalità sono elencate nella parte dell’art. 270 sexies del Codice Penale che abbiamo riportato sopra. Tra di esse una appare particolarmente significativa e “impressionante”, ed è quella che viene indicata come l’insieme di condotte che sono (citiamo ancora letteralmente) “compiute allo scopo di…costringere i poteri pubblici o una organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto…”.
Volendo dare di questo testo una interpretazione estrema (ma tutt’altro che impossibile, e forse neppure improbabile, visto l’attuale clima politico del nostro paese) si potrebbe ipotizzare la possibilità che una organizzazione politica, che, mettiamo caso, proponesse una manifestazione di piazza (magari senza neppure riuscire a realizzarla) contro l’invio di armi all’Ucraina o contro l’appoggio ad Israele, venisse processata e condannata per avere posto in essere, come dice la legge, delle condotte allo scopo di cercare di impedire al nostro governo, o per esempio alla NATO, di mettere in atto una qualche scelta politica o militare o di altro genere che era nelle loro intenzioni. Una follia! Un reato di opinione, già in sé inaccettabile, che in quanto capace di esercitare pressione politica si fa reato di terrorismo.
Come detto, il nostro esempio può anche apparire estremo. Resta tuttavia il fatto che la criminalizzazione del dissenso politico è un processo attualmente ampiamente in atto, ed è un piano inclinato di cui non si può conoscere la fine. Ancora più grave il fatto che le norme del nostro codice penale sembrano essere state scritte apposta per rendere possibile un tale processo degenerativo.
Qualcuno di recente mi faceva notare come la gravità del momento repressivo si possa anche desumere dalla nascita della unificata “Procura antimafia ed antiterrorismo”, una sorta di super “tribunale speciale” fondato su una moderna visione del “diritto penale del nemico” in cui le figure del “terrorista” e del “mafioso” possano venire unificate, ma anche amplificate e generalizzate a puro scopo repressivo, facendovi convergere, in una sorta di “impero del male”, chiunque appaia scomodo anche se mai nulla ha avuto a che fare né con la mafia né col terrorismo. E qui il discorso si potrebbe approfondire con tanto altro da dire, che ci riserviamo per altri luoghi.