SUDAN. CHRISTOU (MSF): AIUTO UMANITARIO BLOCCATO DELIBERATAMENTE
PRESIDENTE ONG: AUTORITÀ GENERALE AL-BURHAN NON DANNO PERMESSI

(DIRE) Roma, 8 apr. – “Una decisione deliberata di bloccare l’assistenza umanitaria”: a denunciarla, accusando le autorità sudanesi che fanno capo al generale Abdelfattah Al Burhan, è Christos Christou, presidente internazionale dell’organizzazione Medici senza frontiere (Msf).
L’occasione delle sue dichiarazioni è stata una conferenza organizzata dall’Ong a Nairobi, in Kenya, trasmessa anche in streaming.
In Sudan è in corso un conflitto armato dal 15 aprile 2023.
A combattersi sono unità dell’esercito regolare fedeli al generale Al-Burhan e paramilitari delle Forze di supporto rapido al comando di un altro generale, Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemeti”.
Secondo Christou, che è stato di recente in Sudan, “le autorità bloccano in modo sistematico i permessi per le consegne di farmaci e per le missioni degli operatori sanitari nelle aree sotto il controllo dei paramilitari delle Forze di supporto rapido”.
Il presidente di Msf ha aggiunto: “Questa decisione viola il diritto umanitario internazionale e le leggi di guerra, mettendo milioni di persone a rischio”.

Secondo Christou, oggi in Sudan una delle sfide principali è quella dell’accesso. “Nell’ultimo anno sono stati dati pochi visti per entrare nel Paese”, ha detto il presidente, “e questo ha compromesso in modo drastico la risposta umanitaria”.
Christou ha fornito alcune stime: “Già 25 milioni di persone hanno bisogno di aiuto e questa cifra costituisce un incremento del 40 per cento rispetto allo scorso anno; dall’inizio dei combattimenti nell’aprile 2023 sono otto milioni e 400mila le persone che hanno lasciato le loro case, mentre le vittime sono almeno 13.900 secondo l’Onu, con una valutazione probabilmente al ribasso”.

In Sudan è in corso “una delle crisi umanitarie più gravi da decenni”, interamente “causata dall’uomo” e ormai di dimensioni “colossali”: ha detto Christos Christou.

Secondo Christou, “in Sudan oggi si calcola che continuino a funzionare solo il 20 o il 30 per cento degli ospedali e dei centri sanitari”.