Trattative per lo scambio prigionieri

La stampa israeliana, citando fonti di Washington, parla di una forte pressione USA per il raggiungimento di una tregua entro la fine di Ramadan e la festa di El-Eid (mercoledì); ipotesi che sembra difficile viste le posizioni molto lontane delle condizioni avanzate dalle due parti. Haaretz sostiene che il ritiro dell’esercito israeliano da Khan Younis fa parte di questo piano. Fonti palestinesi negano che l’esercito israeliano si sia ritirato da Khan Younis completamente, ma soltanto dal centro della città, lasciando dietro una devastazione impressionante. Chi ha fatto ritorno alla ricerca della propria casa, non ha riconosciuto le conformazioni urbane, tanto enormi sono le distruzioni.

Al Cairo il capo della Cia, Burns, ha guidato le trattative indirette tramite il ministro degli esteri del Qatar, Al-Thani, e il capo dei servizi di sicurezza egiziani, Kamel. La delegazione israeliana è guidata dal capo del Mossad, Barnea, e quella di Hamas dal membro dell’ufficio politico Al-Hayya. Hamas ha ribadito che la sua posizione è quella esposta nel documento scritto, presentato ai mediatori lo scorso 14 marzo: ritiro dell’esercito israeliani, libero ritorno della popolazione al nord della Striscia, ingresso degli aiuti e fine dell’aggressione. Il governo israeliano invece propone un ritiro parziale delle truppe, ritorno limitato di donne, bambini e anziani nelle loro case e annuncia in dichiarazioni stampa che la guerra non finirà. I bombardamenti in corso in queste ore su Rafah dimostrano che il governo Netanyahu non è interessato a raggiungere un accordo, ma soltanto ad assecondare le imposizioni di Washington. L’amministrazione Biden ha bisogno in questa fase delicata della campagna elettorale di un minimo di risultato, che accontenti l’opinione pubblica araba.

Dopo le prime discussioni ieri sera, la delegazione di Hamas ha lasciato il Cairo per consultazioni con la direzione a Doha e la delegazione israeliana ha fatto ritorno a Tel Aviv. Ma egiziani e qatarioti hanno dichiarato – secondo il canale Ikhbaria della TV cairota – che le trattative non sono concluse e proseguiranno entro 48 ore.

Cisgiordania e Gerusalemme est

Stamattina, invasione delle truppe di occupazione nel campo di Balata, ad est di Nablus. Carri armati, mezzi cingolati, cecchini e bulldozer hanno ucciso e distrutto. Oltre al manto stradale e le infrastrutture, i soldati hanno demolito gli edifici commerciali con l’unico intento di causare danni economici e creare difficoltà nella vita quotidiana dei palestinesi.

È lo stesso scenario che si ripete in ogni rastrellamento nelle zone dove ci sono forti resistenze all’occupazione israeliana. Una punizione collettiva gratuita e disumana che danneggia vasti strati della popolazione, minando le basi già deboli dell’economia palestinese.

Rastrellamenti stamattina ad El-Khalil dove sono stati arrestati 23 palestinesi.

A Gerusalemme, le truppe israeliane hanno aggredito i fedeli in preghiera questa notte nella moschea Al-Aqsa. Manganellate e lacrimogeni all’interno del luogo di culto, costringendo le persone ad evacuare l’edificio.

Israele

Ancora ieri domenica le strade di Tel Aviv sono state gremite di gente arrabbiata dalla condotta del governo Netanyahu. Il centro dell’attenzione è rivolto al ritorno degli ostaggi, ma la dimensione della protesta è politica e rivendica la caduta del governo e elezioni anticipate.

Gli annunci sul ritiro delle truppe dal sud della Striscia vengono spiegati dai media pubblici israeliano come un dispiegamento delle truppe per un ricambio delle brigate e non avrebbe nulla a che fare con le trattative. Alcuni analisti preconizzano che questo ritiro sia il preludio all’offensiva di terra contro Rafah. La popolazione di Rafah e dei campi profughi improvvisati avrà l’ordine di dirigersi verso nord, nella direzione di Khan Younis, per permettere l’offensiva di terra contro Rafah, nelle condizioni richieste dagli statunitensi.

BDS

In Giordania, il movimento BDS ha messo radici e sta sviluppando un consenso quasi totale. Secondo una ricerca, un noto marchio di una bevanda di origine statunitense ha perso il 98% del suo mercato. Questo boicottaggio ha sostenuto il lavoro delle società locali di bevande che hanno assorbito totalmente la manodopera licenziata dai marchi stranieri. Lo stesso è avvenuto con le catene dei ristoranti, che hanno dovuto chiudere quasi tutte le filiali oppure i gestori hanno cambiato prodotti. Comincia ad avere peso anche il boicottaggio dei prodotti dei paesi sostenitori del genocidio a Gaza. Molti importatori di prodotti statunitensi tedeschi e britannici hanno lamentato una riduzione di quasi il 50% delle vendite e si sono visti costretti ad importare marchi alternativi di paesi altri, principalmente dalla Cina.