Il libro di Giorgio Monestarolo, Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia (Trieste, Asterios, 2024) nasce dall’intento di comprendere e offrire spunti di riflessione sulle cause del conflitto russo-ucraino, in realtà un conflitto tra USA e Russia per interposta Ucraina, con l’Europa in posizione vassalla e con l’ombra pressante di un futuro conflitto tra USA e Cina.
La ricerca è iniziata circa un anno e mezzo fa, in concomitanza con la costituzione della rete informale di insegnanti e cittadine/i torinesi della Scuola per la pace. Non si poteva infatti, secondo l’autore, docente di storia e filosofia, storico economico, tra i fondatori della rete, accettare e riprodurre, nel discorso pubblico e nella didattica, la versione mainstream, quella che fin dall’inizio del conflitto ci è stata consegnata dai media: la retorica semplicistica dell’aggressore e dell’aggredito.
Per chi si interroga rigorosamente e insegna con altrettanto rigore era necessario costruire una narrazione fondata e convincente, collocando gli eventi nel lungo periodo, in antitesi alla superficialità dell’immediatezza cronachista. Ne è nato un pamphlet breve, ma molto denso, ricco di informazioni, dati, riflessioni e intuizioni, che assume come quadro di riferimento la teoria del sistema mondo di Giovanni Arrighi e Immanuel Wallerstein, i quali, già alcuni decenni fa, avevano previsto la guerra e il caos globale come esito infausto dell’esaurirsi di un ciclo economico in ascesa dominato dall’impero USA e dalla sua egemonia unipolare.
L’autore ricostruisce i contesti e le fisionomie dei protagonisti collocando il conflitto russo-ucraino nei cicli delle “guerre illegali della NATO” iniziate nel 1991, con la prima guerra del Golfo, analizzando poi le cronologie e le conseguenze dell’allargamento della NATO e della UE ai paesi dell’Est europeo, affrontando le implicazioni economico-finanziarie della “guerra delle monete”, ricostruendo le dinamiche con cui in Ucraina si è consumata la rottura tra le componenti russofona e ucraina, in un tipico processo di costruzione della nazione e di costruzione del nemico attraverso la dimensione culturale e quella della violenza.
Tra le pagine più originali del libro vi è il confronto, basato su dati specifici, tra il declino americano sul piano della produzione industriale e del benessere sociale a fronte della contemporanea ascesa del modello economico e sociale cinese, interpretata come un ribaltamento dei rapporti di forza tra centro e periferia che hanno strutturato la modernità, a partire dall’espansione europea nelle Americhe, in Asia e in Africa.
In altri termini, il mondo non è più unipolare, ma è già multipolare: la crisi e il declino dell’impero USA hanno messo in luce il fatto che nessuno stato ha la potenza e l’influenza per governare da solo il mondo. E tuttavia la Russia non è stata riconosciuta come un partner legittimo con cui avviare negoziati. Da qui le domande dell’ultimo capitolo: saprà il mondo riconoscersi nel multipolarismo che di fatto esiste? Quali sono gli anticorpi alla concreta minaccia di un pericoloso confronto bellico mondiale tra potenze?
L’autore individua alcune “forze materiali” che possono contrastare la distruttività esiziale di una guerra che contrappone l’Occidente – con i suoi miti, le sue narrazioni, le sue violenze e diseguaglianze, il suo scambio ineguale – al mondo “non allineato”: in primo luogo i BRICS, i paesi che, dalla Cina al Brasile al Messico agli stati africani, si sono rifiutati in sede Onu di sostenere l’Ucraina e di infliggere sanzioni alla Russia. Poi le istituzioni internazionali, la stessa ONU e la corte internazionale dell’Aja, che, pur molto deboli, rappresentano pur sempre un antidoto perché misurano “la credibilità delle nazioni”. E forse anche, se avranno seguito, le lotte delle/i lavoratrici/ori che hanno rivendicato diritti in India, negli Usa e in Cina. Infine il movimento pacifista, a cui si deve la resistenza alla “manipolazione di massa” con la “fiaccola della ragione”, che però è costituito prevalentemente da realtà di base – cristiane, comuniste, radicali, anarchiche, dell’associazionismo e del volontariato -, mentre le forze politiche democratiche, così come i grandi sindacati e la maggior parte degli intellettuali, hanno adottato la narrazione e la causa della NATO.
Non è prevedibile la direzione degli eventi, è possibile che la lotta contro la guerra diventi terreno di incontro per tutte “le forze materiali e ideali” che, facendo pressione sui politici e sui governi, contrastando le narrazioni moderate e reazionarie, connettendosi comunicativamente e organizzativamente, riescano a innescare un cambiamento. In altre parole, a costruire un fronte popolare per la pace che sia anche per la giustizia sociale e per l’autodeterminazione dei popoli. Buona lettura!
Maria Teresa Silvestrini, La Scuola per la pace Torino