Si è tenuta oggi alla Corte d’Assise a Roma la seconda udienza del processo in contumacia ai quattro agenti militari egiziani accusati dell’omicidio di Giulio Regeni, avvenuto nel 2016. La Corte ha rigettato le questioni preliminari e pregiudiziali avanzate dalla difesa durante l’udienza precedente del 20 febbraio e ha ordinato di procedere.
Non sarà facile. In tutti questi anni l’Egitto si è prodigato in depistaggi, false accuse e mancata collaborazione e infatti il pubblico ministero Sergio Colaiocco ha dichiarato che “servirà un lavoro importante del Ministero degli Esteri, per permettere a 27 testimoni, residenti in Egitto, di venire in Italia”.
E al di là di dichiarazioni di facciata sull’impegno per verità e giustizia per Giulio Regeni, tutti i governi italiani che si sono succeduti in questi anni non hanno mai fatto davvero pressioni sull’Egitto perché collaborasse alle indagini. Ultimo episodio l’imbarazzata dichiarazione di Giorgia Meloni, al Cairo per incontrare il presidente Al Sisi: “Affronto tendenzialmente sempre questa questione. Dopodiché c’è un processo in Italia…”
“Nel nostro Paese fortunatamente c’è la separazione dei poteri, a differenza di quello che succede nei regimi” è stato il secco commento dell’avvocato Alessandra Ballerini e di Claudio e Paola Regeni, genitori di Giulio, alle ipocrite dichiarazioni di Giorgia Meloni.
In realtà l’Egitto è un alleato troppo prezioso, un “partner affidabile”, un “pilastro della sicurezza nel Mediterraneo”, fondamentale per fermare i flussi migratori, dunque non bisogna disturbarlo. E pazienza se si tratta di una dittatura feroce, dove il dissenso viene represso con sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e torture.