La campagna di boicottaggio contro le aziende e le multinazionali che sostengono Israele, molto viva soprattutto nei Paesi arabi e coordinata in tutto il mondo dalla rete a guida palestinese BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), pare stia dando i primi risultati: il direttore finanziario di McDonald’s, Ian Border, ha infatti avvisato che le vendite del gruppo diminuiranno in sequenza nel trimestre in corso a causa del conflitto in Medio Oriente, come riferito dall’agenzia britannica Reuters. In seguito alle sue dichiarazioni, mercoledì 13 marzo le azioni della compagnia sono crollate del 3,9% perdendo quasi 7 miliardi di dollari in un giorno. Già agli inizi di febbraio, il gigante degli hamburger aveva riportato un calo significativo di vendite nella sua divisione commerciale internazionale soprattutto in Medio Oriente, ma anche in Cina, Malesia, Indonesia e Francia. Il motivo principale è legato al fatto che McDonald’s è al centro della campagna di boicottaggio per la difesa della popolazione palestinese, a causa del suo sostegno allo Stato ebraico. «Finché questa guerra andrà avanti non ci aspettiamo di vedere alcun miglioramento significativo» ha affermato l’amministratore delegato Chris Kempczinski.
Secondo Reuters, «a febbraio la società ha ampiamente mancato le stime di Wall Street per le vendite del quarto trimestre nel segmento, in parte a causa delle proteste e delle campagne di boicottaggio contro diversi marchi occidentali per la loro percepita posizione filo-israeliana nel conflitto Israele-Hamas». I dati LSEG (London Stock Exchange Group) indicano che la crescita delle vendite nell’ultimo trimestre del 2023 è stata pari allo 0,7% rispetto al 10,5% del trimestre precedente, mancando le previsioni di crescita del 5,5%: «Gli effetti (della guerra) sui guadagni sono la nostra più grande preoccupazione: sembra che questo sarà un problema che persisterà oltre il prossimo trimestre o forse anche due», ha affermato Brian Mulberry, gestore del portafoglio clienti di Zacks Investment Management, che detiene le azioni di McDonald’s.
La multinazionale è al centro della campagna di boicottaggio lanciata da BDS a causa del suo sostegno a Israele e ai soldati israeliani: a ottobre, infatti, la filiale ebraica del colosso americano aveva dichiarato di aver regalato 100mila pasti all’esercito di Tel Aviv offrendo inoltre uno sconto del 50% ai soldati. Il tutto aveva generato rabbia in diversi Paesi arabi, tra cui Turchia, Libano ed Egitto, dove alcune sedi della catena erano state vandalizzate durante i cortei di protesta. Similmente, la filiale di McDonald’s in Malesia aveva intentato una causa contro la rete BDS locale accusandola di diffamazione e chiedendole danni per oltre un milione di dollari. «Le azioni di un affiliato di McDonald’s non possono essere isolate dalle operazioni mondiali dell’azienda. McDonald’s Corporation, con sede a Chicago, negli Stati Uniti, possiede il marchio McDonald’s ed è responsabile di garantire che il suo affiliato non sia coinvolto in comportamenti che danneggino la reputazione di McDonald’s, inclusa qualsiasi associazione del marchio con gravi violazioni dei diritti umani» si legge sul sito della BDS.
L’importanza delle campagne di boicottaggio è determinante per colpire e indebolire economicamente e finanziariamente le aziende legate ai Paesi che non rispettano i diritti umani: si tratta, infatti, del lato concreto e tangibile delle più ampie manifestazioni ed espressioni di protesta che da sole non bastano: è necessario, infatti, creare danni economici a Israele e alle imprese legate allo Stato ebraico. L’efficacia del boicottaggio è provata dal fatto che il governo israeliano ha definito la campagna di BDS una minaccia “esistenziale” e “strategica”, invitando i governi occidentali a condannarla apertamente. Proprio per via dei suoi effetti nefasti sui risultati delle aziende complici di Tel Aviv, gli attivisti palestinesi avevano invitato apertamente a sabotare determinate entità: “Facciamo in modo che la nostra solidarietà con la lotta dei palestinesi abbia un impatto concreto per fermare il genocidio a Gaza e per porre fine al regime israeliano di colonialismo, occupazione e apartheid. Colpiamo le complicità a livello di governi, aziende, università e istituzioni per porre fine all’impunità di Israele”, avevano scritto a gennaio su Facebook.
Il caso di McDonald’s è l’esempio più diretto del fatto che il boicottaggio funziona e che per le imprese potrebbe costare di più essere in buoni rapporti commerciali con Israele, facendo affari con l’occupazione, piuttosto che non esserlo. McDonald’s è solo uno dei tanti marchi che condivide la politica israeliana di apartheid e oppressione. Tra gli altri si ricordano anche Burger King, Starbucks, PUMA, Danone, Carrefour, Coca-Cola, Nestlé, INTEL, L’Oreal e ESTÉE LAUDER. Importante anche boicottare i prodotti importati da Israele, riconoscibili da un codice a barra che inizia con 729. In un mondo dominato dal dio denaro, colpire il portafoglio delle aziende potrebbe essere l’unico modo davvero efficace per contrastare la colonizzazione delle terre palestinesi e le violenze sui suoi abitanti.