Nell’autunno del 2022 dissi ad un dirigente di Rifondazione di Roma: “Se le logiche rimarranno le stesse, i risultati saranno gli stessi”
Col senno di poi purtroppo quelle mie parole risultano profetiche.
UP nasce come alleanza elettorale, per le politiche 2022 tra demA, Rifondazione e Potere al Popolo, con l’aggregazione “in corsa” del gruppo parlamentare ManifestA, composto delle fuoriuscite dai 5 stelle . Certo il risultato elettorale non fu eclatante, ma, considerata la penalizzazione di una campagna elettorale fatta in fretta e furia a causa della data anticipata delle elezioni e lo sforzo titanico di raccolta delle firme, fu certamente premiante rispetto agli zero virgola individuali di PRC e PaP.
Dopo le elezioni, a sinistra, la domanda di un nuovo soggetto politico si rivelò determinante, al punto che si cominciò a pensare ad UP come ad uno spazio politico di aggregazione. Nel discorso di apertura della prima assemblea nell’autunno del 2022 de Magistris dichiarò la volontà di entrare nelle istituzioni per cambiare le cose secondo i valori antiliberisti della sinistra, in parole semplici un disegno politico, nel quale delineò anche la strada per realizzarlo: credibilità, competenze, coraggio, apertura a tutti coloro che, pur non riconoscendosi nei partiti della sinistra, erano disposti a impiegare tempo, competenze e passione per realizzare il disegno politico di UP e, naturalmente, un lavoro nei territori. Mi riecheggia ancora nella memoria una frase che pronunciò: “Chiedo ai partiti non di fare un passo indietro, ma di fare un passo in avanti”.
Come andò? In assoluto appare evidente che l’apertura auspicata da de Magistris non fu messa in atto: coloro che non si riconoscevano nei 2 partiti, i cosiddetti “indipendenti”, erano, in linea generale, mal tollerati: con tutta probabilità perché considerati ingestibili.
Potere al Popolo ha al suo interno 2 “correnti” quella che si potrebbe definire “di Napoli” e la rete dei comunisti. Difficile dal di fuori valutare con accuratezza pesi e orientamenti: è tuttavia una monade politica, praticamente esclusivamente di testimonianza, autoreferenziale e con una “patologica” mancanza di competenze e cultura istituzionali. Inoltre ha un tratto di ambiguità: un “duropurismo”, peraltro esercitato con incoerenza “alla bisogna”, che dà la precisa idea di celare una pervicace volontà egemonica.
In Rifondazione invece la valutazione è più semplice, essendo una realtà politica meno chiusa in sé stessa. La situazione in PRC è articolata e ha diverse sfumature nei vari territori, ma…
Da maggio 2023 Paolo Ferrero, di cui sarebbe inelegante dare un giudizio politico senza peli sulla lingua, deprivato della vicepresidenza di Sinistra Europea, comincia ad uscire allo scoperto in UP, intraprendendo una sorta di “jihad” politica messa in atto con un’iniziale strategia precisa: collocare suoi fedelissimi nella struttura organizzativa nazionale di UP. Peraltro la stessa strategia usata in PRC: Ezio Locatelli, suo, difficile non definirlo fedelissimo “pasdaran”, è il dirigente organizzativo di Rifondazione.
La differenza è che in PRC il giochino non gli riesce e, almeno apparentemente, UP è più “scalabile”, l’obiettivo appare chiaro: prendersi il controllo di PRC mediante una leadership in UP. Inizia quindi, per usare un’iperbole, a sparare palle incatenate contro la leadership di Maurizio Acerbo, leader di Rifondazione, accusando il suo entourage di mancanza di democrazia, omettendo peraltro di dire che taluni corpi intermedi territoriali “ferreriani di ferro”, si comportano da membri del soviet politburo.
Ideato da Ferrero è il mai nato statuto di UP, uno statuto che fonti interne di Rifondazione hanno riferito andare contro alcuni principi fondanti dello statuto del suo stesso partito, quella bozza è stata peraltro bocciata nel comitato politico di Rifondazione. Ecco uno dei perché dello stallo della fase costituente di Unione Popolare. Tutto ciò rafforza la tesi della partita di potere personale da lui giocata in UP.
Fonti interne di Unione Popolare cominciano a dichiarare che Ferrero non ha la forza di portare a compimento “la scalata”. Inoltre è da qualche mese che UP comincia a perdere pezzi, in molti, a cui non viene lasciato alcuno spazio, silenziosamente se ne vanno. La tensione interna cresce esponenzialmente. I più determinati, coloro che più hanno creduto nella bontà del disegno politico enunciato da de Magistris hanno successivamente cominciato anche loro a fare passi indietro, ma in taluni casi in modo molto meno silente, denunciando con forza e chiarezza ciò che in UP non stava funzionando.
E’ poi bastato Santoro a far scattare la resa dei conti, peraltro ormai nell’aria. Il livello, francamente surreale, delle critiche politiche al progetto per la pace da parte di talune frange di UP, in pratica PaP e i ferreriani, lascia presagire il fatto che l’avvento del giornalista abbia provocano in alcuni il rischio percepito dell’alterazione dei tanto presunti, quanto velleitari, equilibri di potere all’interno di Unione Popolare.
Ora che succede? Qualche previsione la si può azzardare.
A meno di stravolgimenti (più che cambiamenti) PaP continuerà ad essere una compagine politica a sé stante, con un peso, in termini di consenso, da prefisso telefonico. Resta da vedere, com’è successo in passato, se continueranno a presentarsi alle elezioni, perdere, per poi dire che per loro corsa elettorale e risultato non sono significativi.
Più difficile è prevedere cosa succederà in PRC, che è quella che sulla carta ne esce peggio. Vedremo se ci sarà la forza di fare un congresso che metta ordine nel partito, Acerbo sembra peraltro voler tenere il punto, inoltre l’apparentamento in territorio sardo con Renzi e Calenda lascia, letteralmente, esterrefatti. Rifondazione ha tuttavia anche un altro notevole problema: l’età anagrafica media oggettivamente troppo alta. Difficile pensare che possa continuare senza attrarre giovani e competenze con una linea politica chiara e coerente nei fatti, inoltre è difficile pensare che una messa in ordine in PRC non presupponga un’ulteriore emorragia di militanti, quanto meno nel breve termine.
E UP dopo le dimissioni di de Magistris da portavoce? Da 2/3 mesi a questa parte diversi esponenti di Unione Popolare hanno cominciato a darla per spacciata. Se Ferrero avesse curato l’orto invece che fare “politica” le cose sarebbero andate diversamente? E’ ipotizzabile pensare di sì, avrebbero – il condizionale è tuttavia d’obbligo – prevalso il buonsenso, il disegno politico; PaP sarebbe stato in minoranza e probabilmente si sarebbe, col tempo autoescluso. Tuttavia Ferrero è il grande sconfitto di tutta questa breve parentesi della sinistra italiana, il giochino gli si è rotto in mano. Difficile pensare, dato che i fatti ci dicono che le logiche non sono cambiate, che Rifondazione e PaP, chiusi da soli nella stessa stanza, non se le “ridiano di santa ragione” com’è successo nel 2016.
C’è una morale a sinistra in tutto ciò? Sì: la sterile ricerca del potere è un ossimoro rispetto ai valori della sinistra; in realtà ci sono degli anticorpi alle mere strategie di potere; il potere per il potere non paga elettoralmente. Inoltre c’è un fatto non secondario: le politiche di potere sono fagocitanti, non lasciano spazio ad altre attività in favore dei cittadini; ma non solo: costringono anche coloro che le avversano a utilizzare il 100% del tempo politico a disposizione.