Sabato 2 marzo le richieste di pace e giustizia sono state protagoniste in due piazze torinesi: una richiesta che diventa sempre più veemente man mano che i conflitti si inaspriscono ed il percorso verso una terza guerra mondiale, denunciato con facile chiaroveggenza dai movimenti pacifisti da due anni a questa parte, diventa sempre più manifesto.
Le due piazze sono state molto diverse per tematiche, partecipazione, età, compositiva, ma risultano accomunate da due sentimenti sempre più forti, la paura e la rabbia.
Si comincia la mattina da Piazza Carignano con l’ormai abituale Presenza di Pace ispirata dal coordinamento A.Gi.Te, giunta al suo 105esimo appuntamento. Ancora una volta si è tentato di smontare la retorica del nemico citando chi, dall’altro lato della barricata, rischia gravi conseguenze pur di mantenere le sue posizioni contro la guerra: gli obiettori di coscienza e i disertori in Russia, Ucraina e Bielorussia[1], gli oppositori politici di Putin. Si è ricordata la grande tradizione nonviolenta della cultura russa che ha nell’opera di Tolstoj un punto di riferimento per Gandhi e Martin Luther King, in contrapposizione con chi oggi cerca di indicare come imperialista e guerrafondaia l’intera cultura russa per facilitare la costruzione del “nemico”.
Alcuni degli interventi sono caratterizzati da emozioni forti, strabordanti: da una lato la rabbia generata dalla sensazione che, malgrado gli sforzi profusi, il treno verso un conflitto mondiale sembra inarrestabile, la diplomazia internazionale assente e impotente a fermare e condannare il genocidio a Gaza e l’apartheid in Palestina, dall’altro la paura per i propri figli e nipoti innescata dagli interventi politici ai massimi livelli della settimana passata (Macron, von der Leyen, Lloyd Austin) che sdoganano l’idea di un intervento militare diretto di forze europee in Ucraina, aprono la porta ad un riarmo europeo senza precedenti dalla seconda guerra mondiale e invitano lo opinioni pubbliche europee a riabituarsi all’idea della guerra.
In piazza Castello, nel pomeriggio, un migliaio di persone si sono trovate su convocazione del Coordinamento Torino per Gaza per protestare contro il genocidio a Gaza, avendo in mente la strage per la farina di mercoledì scorso: qui il sentimento dominante è la rabbia, una rabbia che tenta di trasformarsi in proposta sociale e politica attraverso le forme di boicottaggio ad Israele proposte dal BDS, la denuncia dei crimini di guerra di Israele e la testimonianza contro un silenzio di comodo, la proposta di scioperi più o meno lunghi in solidarietà con i palestinesi. Anche in alcuni interventi di questa piazza fanno capolino il rischio di un conflitto più ampio e la necessità di cambiare il modello di sviluppo e di uscire dalle logiche neocoloniali dell’Occidente, viste come l’origine degli attuali conflitti.
La rabbia e la paura sono utili se smuovono le coscienze facendo da motore verso forme di azione sociale e politica razionali ed efficaci, se consentono la convergenza di forze diverse verso queste forme di azione, che dovranno essere forti e nonviolente.
Nelle piazze di ieri ho sentito alcune proposte che giudico valide. Ne faccio un elenco parziale e incompleto per dare qualche suggerimento:
- La campagna internazionale di supporto agli obiettori di coscienza #ObjectWarCampaign
- Le campagne di boicottaggio ad Israele lanciate dal BDS che hanno ottenuto alcuni interessanti risultati, ad esempio il mancato rinnovo da parte di Iren dell’accordo con Mekorot
- Le campagne di supporto al Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPAN)
- Le campagne per i Corpi Civili di Pace, seguendo la strada tracciata da Alex Langer.
- In generale, la creazione di coordinamenti ed assemblee dove discutere, dal basso, del futuro dell’umanità e delle forme migliori per affrontare un futuro complesso e pericoloso che ci riguarda tutti, superando divisioni, personalismi e atteggiamenti autoreferenziali.
Perché i conflitti attuali possono essere risolti solo in maniera nonviolenta e solo attraverso l’azione organizzata della base sociale.
[1] In piazza è stato letto il discorso a Montecitorio di Olga Karatch