I giornalisti italiani si sono ritrovati a Roma per ricordare i colleghi uccisi in quasi cinque mesi di guerra a Gaza, in Cisgiordania e in Libano per denunciare gli attacchi mirati ai media dell’esercito israeliano e chiedere l’apertura di un’inchiesta internazionale indipendente sul massacro di reporter e operatori dell’informazione, almeno 103 ad oggi.
Associazioni di categoria, sigle sindacali e organizzazioni per i diritti umani si sono ritrovate a Largo Argentina il 1° marzo per il sit-in con cui si è voluto commemorare i colleghi arabi che hanno perso la vita dal 7 ottobre in un conflitto che non lascia scampo a nessuno.
I giornalisti palestinesi sono costantemente nel mirino dell’esercito israeliano: centinaia e centinaia di vittime e di feriti, mai così tanti.
Per questo oggi è stato chiesto con forza “Basta sangue sui nostri giubbotti”. Dalla FNSI all’Usigrai, da Articolo 21 a No Bavaglio, dalla Cgil ad Amnesty International, ognuna delle organizzazioni presenti all’iniziativa ha ribadito pieno sostengono alla richiesta, avanzata attraverso una petizione sottoscritta da migliaia di giornalisti di tutto il mondo, di permettere l’accesso a Gaza ai reporter internazionali per poter coprire il conflitto e la drammatica situazione in cui si trova la popolazione palestinese.
Questa richiesta è resa ancora più urgente dai blackout mediatici che isolano completamente la Striscia di Gaza, rendendo impossibile anche la comunicazione attraverso i social network.
Anche dalla sede della Fnsi, dove era programmato il corso di formazione “Conflitti e crisi dimenticate, il fenomeno dei bambini soldato e la guerra per il coltan” abbiamo denunciato il tentativo di bavaglio che lo Stato israeliano prova a imporre all’intero mondo dell’informazione impedendo ai reporter, se non “embedded”, di operare direttamente sul campo.
Dal 7 ottobre, il territorio palestinese è stato sottoposto a quello che Jonathan Dagher, responsabile dell’ufficio Medio Oriente di Reporter senza frontiere ha definito «un vero e proprio sradicamento del giornalismo».
Il blocco totale all’ingresso nella Striscia di Gaza imposto da Israele ha fatto sì che l’unico accesso possibile per i giornalisti internazionali fosse quello “ controllato” dall’esercito (Idf – Forze militari dello Stato ebraico) con la “ condizione” di poter controllare i testi e il materiale raccolto (video e foto) prima della pubblicazione.
Il New York Times e il Washington Post si sono opposti a tale imposizione, mentre la CNN ha accettato spiegando ai propri telespettatori di aver «acconsentito a questi termini per garantire una finestra, seppur ristretta, sulle operazioni militari di Israele a Gaza».
Chi scrive ritiene che chiunque si definisca giornalista non potesse che ribellarsi all’idea di sottoporre preventivamente i testi degli articoli e dei servizi agli israeliani. Sottostare alla censura preventiva è la negazione, la morte del giornalismo.