Da 131 giorni la guerra a Gaza e in tutta la Palestina continua e prosegue la drammatica conta delle vittime: ad oggi nella Striscia di Gaza si contano circa 30.000 persone uccise dall’IDF (le forze di difesa israeliane), la maggioranza sono donne e bambini, oltre 67.611 persone ferite, l’85% della popolazione sfollata, infrastrutture abitative e sanitarie distrutte. A gennaio 2024, su 36 ospedali, solo 15 sono parzialmente funzionanti. A causa dell’interruzione degli aiuti umanitari, del rifornimento di elettricità e acqua, della mancanza di medicinali, il 36% degli abitanti sta affrontando fame e carestia catastrofica. Gli scontri, però, non si stanno verificando solo nella Striscia, ma anche in Cisgiordania dove i coloni e l’IDF continuano le rappresaglie contro la popolazione civile e gli arresti amministrativi, senza che sia possibile agli arrestati una qualsiasi forma di difesa giuridica.

La crisi umanitaria fin qui descritta, che si è determinata a seguito della reazione israeliana all’attacco di Hamas del 7 Ottobre scorso, si realizza come ultimo atto in una lunga sequela di azioni politiche e militari che configurano in Palestina un regime di oppressione mantenuto e portato avanti con un “trattamento sistematico, prolungato e discriminatorio da un gruppo etnico con lo scopo di controllare (dominare) il secondo gruppo etnico”[1].

Nel suo report “Israel’s Apartheid against Palestinians”, redatto nel 2022, Amnesty International scrive che ciò che succede nei Territori Palestinesi Occupati e nella Striscia di Gaza rappresenta un’occupazione coloniale da parte di uno stato (Israele) nei confronti del popolo palestinese, attraverso un sistema di apartheid, che si sostanzia nel controllo e nella negazione dei diritti e in pratiche di disumanizzazione. Proprio per questo motivo è sbagliato definire “conflitto” quello che, da decenni fino ad oggi, sta accadendo in Palestina.

 

Definire l’apartheid secondo la legge internazionale

L’apartheid viene definita a livello internazionale come “violazione della legge internazionale, una grave violazione dei diritti umani e un crimine contro l’umanità”[2]. Si esplica attraverso “ogni atto inumano perpetuato nel contesto di un regime d’oppressione e di dominio di un gruppo etnico su un altro con l’intenzione di mantenere questo sistema” [3]

Originariamente l’apartheid venne introdotta in Sud Africa nel 1948, attraverso la realizzazione di un sistema di leggi, di politiche e di pratiche che assicuravano l’oppressione e il dominio razziale attraverso forme di segregazione e discriminazione. Attraverso l’identificazione delle caratteristiche del regime di “apartheid”, la comunità internazionale ha voluto condannare qualsiasi forma di oppressione e dominio basato sul presupposto di superiorità di una popolazione in base all’appartenenza a una etnia. A livello internazionale sono tre le convenzioni che proibiscono l’apartheid: la Convenzione internazionale contro ogni forma di discriminazione razziale, la Convenzione per la soppressione e la punizione del crimine dell’apartheid e lo Statuto di Roma. Israele ha ratificato la prima convenzione nel 1979, nel 2002 ha rimosso la sua firma nello Statuto di Roma e non ha mai ratificato la convenzione sull’Apartheid. Non fare parte di queste importanti convenzioni è già un chiaro segnale di non voler attenersi alla legge internazionale.

Tutti e tre i documenti pongono l’attenzione sulla criminalizzazione della segregazione razziale e dell’apartheid, fornendo delle misure per “prevenire, proibire e sradicare tutte le pratiche di questa natura”[4]. Di particolare importanza è l’articolo II della Convenzione dell’Apartheid (utilizzato anche dal Sud Africa nell’appello alla Corte Internazionale di Giustizia contro lo Stato di Israele), in cui si delineano gli atti disumani portati avanti quando si sta commettendo “apartheid”. Questi includono: la negazione dei membri di un gruppo etnico del diritto alla vita e alla libertà individuale (uccidendone i membri, infliggendo danni fisici e mentali che ostacolano la loro libertà, sottoponendoli a tortura e punizione disumane); l’imposizione di condizioni di vita volte a portare la distruzione fisica di quelle persone; qualsiasi tipo di provvedimento/misura che viola il diritto di espressione, vita e libertà individuale.

 Vivere l’apartheid: cosa significa?

“Vivere sotto occupazione, anche senza andare in prigione, non ti permette di vivere la tua infanzia, la tua giovinezza, perdiamo tutta la nostra vita. Non riguarda solo coloro che vanno in prigione o che sono feriti. Ti dirò una cosa: anche se avessi tutti i comfort del mondo, ma vivessi sotto occupazione, non avrei comunque vissuto la mia infanzia, la mia vita appieno. Questo perché l’occupazione non è qualcosa di normale: vivere sotto occupazione vuol dire svegliarsi al mattino all’alba e vedere un insediamento nella propria terra, è sentire caldo in estate e non avere il permesso di andare al mare, anche se dista solo mezz’ora da dove sei. Vivere sotto occupazione vuol dire che tutti i nostri sogni vengono sempre attaccati e infranti. L’occupazione distrugge tutto”.[5].

Dalla formazione del suo Stato nel 1948, Israele esercita controllo totale sui territori palestinesi. Per esercitare questo controllo, lo Stato d’Israele tratta i palestinesi imponendo loro uno status giuridico in base all’appartenenza a un gruppo etnico non ebreo (forma di discriminazione razziale), negando il diritto all’autodeterminazione, diritto garantito solo a coloro che sono di religione ebraica, in quanto lo Stato d’Israele si autodefinisce nazione solo per le persone ebree (legge del 2018, Stato d’Israele). In base a questa legge, Israele impone tre tipi di passaporti per i palestinesi sulla base del territorio di residenza, con il fine di disgregare la popolazione palestinese.

Il controllo sulla popolazione palestinese passa anche attraverso la frammentazione territoriale (con negazioni sui diritti di proprietà dei terreni o delle abitazioni e di qualsiasi sviluppo agricolo o industriale della Palestina) e la segregazione (attraverso la suddivisione di vari status civili tra i palestinesi, la divisione in zone A,B,C dei territori occupati, le richieste di visto con le restrizioni di movimento, il diritto al ritorno negato). Va ribadito che oppressione e controllo si verificano in modo diverso sulla Striscia di Gaza. Se in Cisgiordania, Israele controlla la popolazione palestinese e i suoi spostamenti attraverso i checkpoint o esercita il controllo attraverso la confisca dei territori – è stimato che Israele ha confiscato il 60% del terreno fertile dei palestinesi e con la legge dell’insediamento dei coloni Israele domina di fatto l’amministrazione di tutti i territori- a Gaza invece viaggiare è praticamente impossibile a causa del blocco navale, aereo, terrestre imposto da Israele agli abitanti di Gaza (blocco che è in atto dal 2005) e del continuo controllo di cosa entra dentro alla Striscia (comprese le quantità di cibo permesse alla popolazione).

Il continuo trasferimento di palestinesi dalla loro terra, le restrizioni sulla libertà di movimento, la negazione di una nazione, il controllo delle terre e della proprietà, così come delle risorse (inclusa l’acqua), negano i diritti fondamentali ai palestinesi: alla vita, al lavoro, alla salute, alla sicurezza alimentare, all’acqua, all’educazione.[6]

Che fare?

Amnesty International, come tante altre associazioni ed organizzazioni non governative, svolge una fondamentale attività informativa sui crimini di diritto internazionale e, da mesi, invoca il cessate il fuoco “come condizione indispensabile per fermare il bagno di sangue di civili, favorire la liberazione degli ostaggi e affrontare la catastrofica crisi umanitaria nella striscia di Gaza. Ha inoltre sottolineato quanto sarà necessario che la giustizia internazionale faccia il suo cammino, accertando e punendo le responsabilità dei crimini di diritto internazionale commessi dalle parti coinvolte nella attuale situazione di guerra.”[7]

Cessate il fuoco e trattativa internazionale, per poter dare un corso nuovo alla storia di israeliani e palestinesi, e, assieme a loro, alla nostra stessa storia.

Il link per chi volesse firmare l’appello per il cessate il fuoco è www.amnesty.it/appelli/cessate-il-fuoco/

Ester J. Basir, specializzanda in studi di genere e diritti umani, Università di Galway

Fulvia Fabbri, attivista pacifista

 

 

 

[1] Amnesty International Report “Israel’s Apartheid against Palestinians”, 2022, pag 13

[2] Ibid.

[3] ibid.

[4] ICERD, International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination , in Amnesty Report, p.45

[5] Ahed Tamimi, intervista per Dena Takturi, video presente sul profilo Instagram di Dena Takturi.

[6] Amnesty International, Report 2022, p.30

[7] Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, Conflitto senza precedenti, in IAmnesty, rivista trimestrale , n.1 Gennaio 2024, pag.8