La disoccupazione ha appena stabilito un nuovo record storico. Il governo parla di una “tendenza al miglioramento”, ma nulla sembra fermare l’aumento della disoccupazione. Tuttavia, numerosi studi dimostrano che la lotta ai cambiamenti climatici potrebbe generare molti posti di lavoro. Più di 10.000 solo per i Paese Baschi, secondo uno studio pubblicato dal collettivo altermondialista Bizi! alla vigilia del Primo maggio. Nel Regno Unito, sindacati e organizzazioni ambientaliste si alleano per stimolare la creazione di un milione di posti di lavoro nelle energie rinnovabili, nei trasporti e nelle ristrutturazione degli edifici. Panoramica delle proposte.
Il problema non è nuovo: possiamo conciliare la lotta al cambiamento climatico e la creazione di posti di lavoro? Nella sua relazione del 2006, Nicholas Stern, ex capo della Banca mondiale, aveva voluto attirare l’attenzione: senza l’azione radicale dei governi, il riscaldamento globale potrebbe costare fino a 5.500 miliardi di euro e distruggere decine di milioni di posti di lavoro. Evocando un costo più elevato rispetto alle due guerre mondiali e a quello della grande depressione del 1929, lo studio mirava a mostrare che, dal punto di vista dell’economia mondiale, agire a favore del clima era molto più conveniente che rimanere inattivi.
Questo ragionamento non è stato sufficiente: l’inerzia persiste per quanto riguarda i negoziati sul clima (Vedi il nostro articolo) e le emissioni mondiali di gas serra continuano ad aumentare. La lotta ai cambiamenti climatici presuppone mutazioni economiche. Un argomento che rimane controverso: quali saranno gli effetti sull’attività economica, sulle imprese più inquinanti e sui posti di lavoro che da queste dipendono? Come garantire che le operazioni di riconversione industriale non siano semplicemente delocalizzazioni verso altri paesi? Oppure operazioni eseguite a spese dei dipendenti di queste aziende?
Alleanza senza precedenti tra sindacalisti e ambientalisti nel Regno Unito
È a questa domanda che tenta di rispondere un’alleanza di sindacati e organizzazioni ambientaliste che, nel Regno Unito, ha lanciato una campagna chiamata “Un milione di posti di lavoro per il clima” (One million climate jobs). Intento della campagna è dimostrare che un’azione risoluta in materia di clima creerà molti più posti di lavoro di quanti ne distruggerà la riconversione del settore industriale. Per evitare che i sindacati difendano i posti di lavoro dei settori da riconvertire, i promotori di questa campagna propongono che ai dipendenti venga assicurata la conservazione del posto di lavoro.
Il termine “climate jobs” (lavori per il clima) di questa campagna, preferita a quello di ”green jobs” (lavori verdi), non è stato scelto a caso. Bisogna evidenziare i lavori che forniscono una reale riduzione delle emissioni di gas serra. Un modo anche per smarcarsi dalle operazioni di greenwashing attraverso le quali aziende e istituzioni cercano di ridipingere di verde attività problematiche dal punto di vista del clima e della protezione dell’ambiente (“carbone pulito”, “auto pulita”, nucleare, ecc.).
Rendere attraente la lotta ai cambiamenti climatici
Per i promotori di questa campagna, i tre principali settori creatori di posti di lavoro nel Regno Unito sarebbero la produzione di energie rinnovabili (425.000 posti di lavoro), i trasporti (300.000) e la ristrutturazione di edifici (175.000). Questi posti di lavoro, pubblici e nuovi, potrebbero costare 52 miliardi di sterline (71 miliardi di euro) l’anno. I ricavi attesi attraverso la creazione di posti di lavoro diretti e indiretti (21 miliardi di sterline) e la crescita di attività (13 miliardi) compenserebbe in parte il costo iniziale. I promotori della campagna propongono di aumentare la pressione fiscale sui più ricchi e creare una tassa sulle transazioni finanziarie per finanziare il rimanente.
‘”Se combiniamo giustizia sociale e azione per il clima, la gente sarà disposta a lottare per questo futuro”, come Naomi Klein ha recentemente confidato a Basta! (Vedere nostra intervista). Per la campagna “One million climate jobs”, bisogna rendere desiderabile la lotta ai cambiamenti climatici perché questa permette la creazione di posti di lavoro. E costruire alleanze forti tra organizzazioni ambientaliste e sindacati.
600.000 posti di lavoro, lo scenario di Negawatt
Si può rimproverare a questa campagna il fatto di aver trasformato una questione complessa in un obiettivo numerico per farne uno slogan. L’ordine di grandezza è comunque confermato da altri studi. In Francia, per esempio, lo scenario di transizione energetica Negawatt, se dovesse essere implementato, potrebbe creare fino a 600.000 posti di lavoro entro il 2030, secondo un studio del Cired. Ristrutturazione di edifici, sviluppo delle filiere rinnovabili e lotta contro la precarietà energetica sarebbero di natura tale da riuscire ad invertire la curva di disoccupazione, cosa che il governo non riesce a fare, rispondendo allo stesso tempo alle sfide climatiche. Posti di lavoro che, tra l’altro, sarebbero non de-localizzabili e ancorati al territorio.
Un approccio basato sul territorio che il collettivo altermondialista Bizi! ha appena effettuato attraverso uno Studio nel quale si dimostra che entro il 2030, nei Paesi Baschi del Nord ”si potranno creare quasi 6.750 posti di lavoro in diversi settori sostenibili e quasi 3.250 altri posti di lavoro attraverso la rilocalizzazione di settori economici come l’agricoltura e il commercio”. Ossia 10.000 posti di lavoro, quando in questo territorio di 290.000 abitanti si contavano, a gennaio 2015, 15.883 disoccupati nella categoria A (senza alcuna attività nell’ultimo mese). Il che significherebbe dividere per tre la disoccupazione nella regione.
Energie rinnovabili, mobilità sostenibile, riciclaggio…
Basandosi sulle relazioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro e su vari studi disponibili sull’economia della regione, questo lavoro mostra che passi concreti possono cambiare la situazione, sia in termini di posti di lavoro e che di clima. Bizi! dichiara di aver deciso di limitarsi alle‘”politiche attuabili localmente, non dipendenti da modifiche legislative a livello nazionale”. Così, la riduzione dell’orario di lavoro è stata lasciata da parte. Le stime selezionate sono inoltre in funzione della realtà dei Paesi Baschi: non si è tenuto conto, per esempio, del potenziale eolico.
Nonostante ipotesi restrittive, più di 3.000 posti di lavoro potrebbero emergere dallo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili locali: geotermia, solare fotovoltaico e termico, biomassa, ecc. E oltre 600 dalla ristrutturazione di un parco di 33.000 alloggi in un periodo di 10 anni. Lo sviluppo di una politica di “mobilità sostenibile”, basata su un incremento significativo dell’uso del trasporto pubblico (autobus urbani, treni interurbani), della bicicletta, insieme ad una riorganizzazione del trasporto ferroviario di merci nella regione potrebbero generare oltre 400 posti di lavoro. I settori della gestione dei rifiuti, dell’agricoltura e della gestione delle risorse naturali vanno a completare il totale di 6.750 nuovi posti di lavoro sostenibili.
Altro aspetto delicato, lo studio realizzato da Bizi! cerca di stimare il numero di posti di lavoro che potrebbero essere creati dalla rilocalizzazione di attività agricole e commerciali. È difficile tener conto dell’insieme dei fattori e individuare quali sono le leve disponibili per facilitare l’implementazione di produttori locali e la modifica delle pratiche di consumo. Considerando che una parte della produzione di latte e verdura sarebbe prodotta nel territorio, lo studio fissa un obiettivo di quasi 1.300 posti di lavoro connessi alla rilocalizzazione delle attività agricole. Questo volontarismo e questa ambizione si ritrovano anche per quanto riguarda lo sviluppo delle piccole imprese commerciali, poiché lo studio fissa un obiettivo di quasi 2.000 nuovi posti di lavoro, di pari passo con la scomparsa del 60% dei grandi centri commerciali nei Paesi Baschi.
Quali produzioni per quali esigenze?
E i finanziamenti? Questo primo studio non fornisce cifre. Si tratta però di una questione fondamentale, specialmente per creare e perpetuare nel tempo gli impieghi che non genereranno immediatamente sufficienti entrate supplementari. Ma i finanziamenti devono anche essere messi a confronto con i costi di mantenere in disoccupazione una percentuale crescente della popolazione e con i costi di altri piani di creazione di lavoro. Le proposte di questo studio sarebbero “da tre a cinque volte meno costose dei lavori previsti tramite il CICE (Credito d’imposta per la competitività e il lavoro)” istituito dal governo di François Hollande, sottolinea Txetx Etcheverry di Bizi!.
Bizi! non nasconde il fatto che questo studio è solo un contributo al dibattito che deve svilupparsi intorno al futuro del tessuto economico e alla soddisfazione delle esigenze delle persone che vivono nei Paesi Baschi: quali produzioni per quali bisogni, il tutto senza superare la capacità ecologica del territorio? Questo studio mira pertanto a essere discusso, modificato e completato durante tutto l’anno. Tuttavia, considerando che esso “disegna una politica reale di transizione per i Paesi Baschi del Nord”, Bizi! ha organizzato per il Primo maggio un corteo ”festoso e di rivendicazione per sostenere questi 10. 000 posti di lavoro climatici”. E invita tutti gli ”attori della vita politica, economica, sociale, ambientale e culturale” ad appropriarsi della questione .
Maxime Combes
Traduzione dal francese di Giuseppina Vecchia per Pressenza