Il problema dei profughi nel Mediterraneo: ecco la questione alla quale i politici rispondono con i cosiddetti “pacchetti di provvedimenti”, contenenti le cosiddette soluzioni matematiche ed economiche del problema che sembra essere un problema solo europeo. Migliaia di persone disperate ogni giorno cercano di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Europa e in particolare il nostro paese. Per centinaia di loro il sogno di una vita migliore finisce nella tomba del Mediterraneo. Dopo l’ultima catastrofe davanti a Lampedusa continuiamo a chiederci le cause della tragedia. La mafia libica sfrutta queste persone senza speranza. La guardia costiera italiana non riesce a salvarle tutte. L’Italia si rivolge ai suoi vicini europei per chiedere il loro sostegno nel salvataggio dei profughi. Allo stesso tempo si sviluppano dei progetti di distribuzione per riuscire a piazzare “correttamente” il numero di profughi per paese. Ma in tutto questo dimentichiamo che l’approccio di fondo è del tutto errato, visto che già la designazione semantica del problema non focalizza sulla vera questione. Infatti qui si tratta di persone e di essere umani come noi e con-noi.
Trovo che innanzitutto si debba iniziare a rinominare il cosiddetto problema. Non si deve parlare più di un “problema dei profughi” per noi europei – che alla fine non siamo altro che gli ex-colonizzatori di tutta l’Africa e del Medio Oriente – nel Mar Mediterraneo, ma della fuga di migliaia di persone (che rappresentano il nostro prossimo) disperate, provenienti soprattutto dai paesi subsahariani più poveri del mondo. Queste persone lasciano il loro paese sperando di iniziare una nuova vita migliore in un paese lontano che ritengono sia democratico e tollerante.
Per me il primo passo nella direzione giusta consiste nell’informazione su questi paesi e sulle loro condizioni, caratterizzate da guerre civili, povertà, malnutrizione, dittatura, schiavitù, malattie, mancanza di acqua, assenza di prospettive. Numerosi tra questi paesi poverissimi da cui provengono questi disperati sono paesi islamici. E qui soprattutto in Germania è fondamentale che i musulmani residenti nel paese si occupino dei profughi, assumendosi la responsabilità di fungere da ponte. Vivere la funzione da ponte oggi in Germania per i musulmani acquista una valenza importantissima per vincere l’islamofobia imperante. Il movimento islamofobo di PEGIDA visto che numerosi profughi disperati provengono dal mondo musulmano cerca di fomentare l’odio contro i musulmani e i profughi allo stesso tempo, costruendo degli stereotipi negativi. Smontare le tesi di PEGIDA mi sembra comunque non essere un compito difficile, se puntiamo su un’informazione impegnata e vera sui paesi da cui provengono queste persone. Infatti in Germania dobbiamo assolutamente prevenire altri incendi appiccati a future case di accoglienza per profughi. PEGIDA parla dell’Islam imperialista che vorrebbe conquistare l’Occidente. Ma se ci guardiamo le foto dei bambini malnutriti in Mali o Niger che si ammalano di noma, si fa fatica a credere alla tesi della conquista dell’Occidente da parte dell’Islam imperialista del petrolio, che si appropria dell’Occidente, lo islamizza, de-cristianizza e trasforma in una dittatura islamica.
Un altro aspetto per me essenziale nel discorso sulla politica dei profughi oltre all’informazione sui paesi di provenienza dei profughi, per smontare le tesi della destra e dei suoi movimenti di cittadini che hanno subito il lavaggio del cervello e allo stesso tempo rimangono impauriti, è la rappresentazione dei profughi quale specchio della loro società di provenienza. Questo sembra un concetto ovvio, ma per molti rimane estraneo: i profughi rispecchiano la varietà sociale, economica ed etnica della loro società di provenienza. Non sono parte di una società monolitica da stereotipare, ma come noi sono parte di una società variegata e differenziata. Questa tesi serve a controbattere le tesi della destra neonazista che disumanizzano il profugo. Il profugo non è un numero iscritto su una tomba di massa a Malta, non è un numero di una casa di accoglienza per profughi a Lampedusa e neppure un numero sulla lista degli espulsi delle autorità tedesca, ma un essere umano o ancora meglio il nostro prossimo. Infatti io stessa posso definirmi solo come essere umano, mettendomi in relazione con l’altro e agendo e vivendo nella società. La relazione tra l’io e il tuo si applica anche a tutti i profughi africani. Io mi definisco, relazionandomi con il tu e viceversa. Ovviamente in questo caso si tratta di un tu straniero, sconosciuto, nei confronti del quale spesso ho anche i miei pregiudizi che devo ancora superare. Ma anche per il profugo, il tu sconosciuto che ho di fronte, io sono uno straniero, ovvero l’altro. Ma egli rimane il mio prossimo, come io sono il prossimo per lui. Il problema del razzismo e della discriminazione consiste proprio nel fatto che si prende all’altro il suo stato di prossimo, disumanizzandolo o insultando la sua dignità umana. I pregiudizi si possono solo combattere, mettendosi in relazione con questo prossimo, entrando in contatto con lui. A differenza dei pregiudizi facili da smontare, la disumanizzazione dell’altro è un processo difficile da interrompere perché la disumanizzazione elimina il tu, annullando dunque la relazione.
Che cosa si può fare concretamente per sensibilizzare la popolazione nei confronti dei profughi? Direi innanzitutto di organizzare giornate aperte nelle case di accoglienza per profughi, di far raccontare ai profughi la loro storia e i loro problemi, di organizzare corsi di lingue, incontri culinari, musicali e sportivi. Tutto ciò permette di incontrarsi a livello umano e di superare i propri pregiudizi. Solo con un approccio umanista radicale e con valori etici solidi si riesce a combattere il razzismo e la discriminazione dei profughi. Lo stesso approccio all’insegna di un umanesimo radicale va applicato in parallelo nel contesto della cooperazione internazionale per lo sviluppo da programmare nei paesi di origine dei profughi. In particolare nei paesi musulmani anche la cooperazione internazionale deve ispirarsi ai valori etici e religiosi dell’Islam affinché le persone siano in grado di identificarsi e non percepiscano la cooperazione internazionale come un tentativo occidentale di appropriarsi della loro cultura e dunque di colonizzarli. La cooperazione internazionale per me esprime una solidarietà che rispetta in modo fondamentale la cultura e la religione del paese da cui provengono i disperati che si imbarcano per raggiungere le coste italiane, che garantisce la dignità di queste persone senza volerle assimilare. Innanzitutto la cooperazione allo sviluppo deve fungere da supporto per riuscire svilupparsi in modo indipendente ed autonomo. La cooperazione allo sviluppo comprende la pedagogia, la presa di coscienza e l’educazione. Infatti le culture e le civiltà diverse non fanno che arricchire la nostra società e ampliare le nostre vedute. Dobbiamo far sì che le persone che ospitiamo mantengano la propria identità e conoscano la nostra diversità. Infatti è proprio nel rapporto dialettico tra identità e diversità che dobbiamo vivere ed agire all’interno di una società multiculturale e multireligiosa. La Germania spesso non comprende di essere un paese caratterizzato dall’immigrazione. Forse l’umanesimo radicale può anche contribuire a concepire questo mosaico dell’immigrazione come positivo e quale fonte di arricchimento. Se i politici della destra estrema in Germania continuano a dire che gli immigrati non arricchiscono il paese, noi invece diciamo che il nostro prossimo per noi rappresenta un arricchimento, permette di sviluppare l’io a livello sociale e culturale. Si costruisce una società basata sul noi e sulla varietà. Chi riesce a costruire una società di questo tipo, poi perde del tutto interesse la monotonia neonazista. Ecco la mia speranza. Ma una cosa lo stato la deve fare con forza: deve combattere le bande della mafia libica che sfrutta questi disperati e li fa imbarcare. Credo che allora la cooperazione internazionale nei paesi di origine, insieme ad una politica umanista per i profughi in Europa, possa costruire l’Europa di domani, multiculturale e multireligiosa come lo erano la Sicilia e l’Andalusia di allora.