C’è in giro un gran parlare di denatalità e di inverno demografico. Eppure, quei servizi per l’infanzia assolutamente indispensabili per tentare forse di invertire la rotta continuano a mancare. E’ il caso degli asili nido: in Italia i posti disponibili sono pochi, bastano solo per il 28% dei bambini, con rette che arrivano anche a circa un quinto del reddito familiare e, seppur differenziate in base all’Isee, toccano i 500 € circa a Milano e Torino e poco meno a Firenze per una famiglia con un Isee di 30mila €. Sono i dati di una recente indagine di Altroconsumo, dalla quale emerge la conferma che nei nidi comunali è sempre più difficile trovare posto e che il costo dei nidi privati è sempre più proibitivo: in media 640 €, con Milano che supera gli 800 €. Asili nido la cui carenza va ad incidere pesantemente anche sull’occupazione, soprattutto femminile: non dimentichiamo che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità: https://www.pressenza.com/it/2024/01/una-donna-su-cinque-fuoriesce-dal-mercato-del-lavoro-a-seguito-della-maternita/.
L’nchiesta di Altroconsumo ha passato in rassegna le rette di 285 nidi privati e quelle dei nidi comunali di 8 città, coinvolgendo anche mille genitori nella community Acmakers per raccogliere informazioni su come gestiscono la giornata dei piccoli in età da asilo nido. I dati che emergono dimostrano che esiste un fossato per ora incolmabile tra le istanze dei genitori e i servizi per l’infanzia che vengono offerti. Un gap colmato – giocoforza – dai nonni, ovviamente quando ci sono, quando sono prossimi e quando sonoin grado di dare ancora cura. C’è poi il problema della lunga interruzione del servizio durante i mesi estivi (ad agosto il 93% dei nidi chiude), che complica ulteriormente la vita di tanti genitori.
L’Unione europea si è posta l’obiettivo di avere il 45% dei bambini che frequentano servizi educativi di qualità entro il 2030, ma per ora l’Italia è inchiodata ad un misero 28%. E anche in questo caso non mancano ovviamente i soliti divari territoriali, con il Centro ed il Nordest che in media hanno una copertura dei posti ben superiore al 33% dei bambini residenti (36,7% e 36,2%, rispettivamente), con il Nord-ovest al 31,5% e con il Sud e le Isole che raggiungono appena il 16% circa. Una situazione lontana dalla media europea che è di 37,9% e lontanissima da quella di Francia e Spagna che si attestano oltre il 50% e di altri Paesi, come l’Olanda e la Danimarca, che arrivano addirittura al 74,2% e al 69,1%. Con il PNRR l’Italia si è impegnata a realizzare 150mila nuovi posti nei nidi, centomila in meno rispetto ai 250mila che erano stati ipotizzati anche per ridurre il divario territoriale aumentando i posti al Sud. Una rimodulazione (che ha tagliato 900milioni di €), necessaria – ha sostenuto il Governo – innanzitutto per ovviare all’aumento dei costi delle materie prime. Governo che per ora sispensa rassicurazioni, sostenendo che non sarà definanziato alcun intervento già aggiudicato e che saranno mantenute le risorse già assegnate ai Comuni, in modo da raggiungere il 33% di copertura entro il 2026.
Altroconsumo non manca di evidenziare alcune contraddizioni nelle politiche governative: da un lato il rifinanziamento per il 2024 del bonus asili nido l’introduzione del cosiddetto bonus mamme lavoratrici, l’aumento del 5,4% circa dell’importo dell’assegno unico universale destinato a tutte le famiglie con figli a carico dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni (l’assegno è progressivo, quindi aumenta al diminuire del reddito Isee e parte da un importo minimo di 57 € mensili per le famiglie oltre i 45.575 € a un massimo di 200 € per Isee di 17.090 €) e l’introduzione di un mese in più di congedo parentale retribuito all’80% utilizzabile fino al sesto anno di età del figlio, dall’altro ha tolto l’Iva agevolata al 5% proprio sui prodotti destinati alla prima infanzia – pannolini, latti artificiali e seggiolini auto – e alle donne come gli assorbenti femminili. Così l’Iva su questi prodotti è tornata al 10% e quella dei seggiolini passa addirittura al 22%.
Altroconsumo sottolinea, tuttavia, come la politica dei bonus non sia strutturale e crea non poche discriminazioni: il bonus mamme lavoratrici, per esempio, sta facendo molto discutere in quanto esclude le lavoratrici dipendenti con contratti a tempo determinato, le libere professioniste, le lavoratrici autonome, le lavoratrici domestiche e tutte le lavoratrici senza figli o con un figlio unico, andando di fatto a coprire solo il 6% delle donne occupate.
I genitori interpellati da Altroconsumo hanno chiesto che lo Stato dovrebbe: introdurre norme che diano una maggiore flessibilità lavorativa, investire per aumentare gli asili nido e i posti disponibili e contribuire al pagamento della retta almeno in parte per tutti. Occorre, in buona sostanza, ampliare – e di molto – l’attuale disponibilità dei posti negli asili comunali, rendere sostenibili i costi per le famiglie (ma la gratuità per tutti anche dell’asilo nido è proprio insostenibile per le casse pubbliche?), superare la scarsa flessibilità degli orari (nella maggior parte delle città, i bambini possono essere portati al nido alle ore 8 – solo Roma e Torino aprono alle 7 – e ripresi alle 17 o 17.30, in poche si spingono fino alle 18 e oltre, come Bologna, Milano e Genova), essere operativi anche durante l’estate. E occorre, soprattutto, porre in essere cambiamenti nelle strutture e nei servizi a supporto alle famiglie (asili, scuole, servizi post scolastici e così via) e ripensare totalmente il nostro welfare.
Qui per approfondire: https://www.altroconsumo.it/vita-privata-famiglia/mamme-e-bimbi/news/inchiesta-asili-nido