Nell’aula bunker del Tribunale di Palermo, oggi l’attuale Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è stato ascoltato come testimone della Difesa nel corso della nuova udienza del processo a carico di Matteo Salvini, accusato di
sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio in relazione all’impedimento di far sbarcare 163 persone nel porto di Lampedusa nell’agosto del 2019.
Piantedosi, che all’epoca ricopriva il ruolo di Capo di Gabinetto di Salvini, ha reso una serie di affermazioni che destano preoccupazione. Prima fra tutte, quella secondo la quale la decisione di non concedere il Pos alle persone soccorse a bordo della nostra nave, fu prettamente politica. Ha ribadito più volte infatti che fu l’indirizzo politico dato dall’allora Ministro degli Interni, Matteo Salvini, quello che determinò lo stallo in mare che costrinse 163 persone ad attendere 20 giorni prima di vedere i loro diritti riconosciuti. Questo a prescindere dalle Convenzioni Internazionali che regolano il soccorso in mare, Convenzioni che peraltro il Ministro Piantedosi sembrava non ricordare.
Ha inoltre dichiarato che l’obiettivo di impedire lo sbarco era affermare il principio per cui la giurisdizione e la competenza del soccorso e dello sbarco spettavano al paese di bandiera della nave, cosa smentita dal diritto internazionale che evidentemente il Ministro non conosce.
Nel corso della sua testimonianza, il Ministro ha inoltre insistito sull’importanza del ruolo svolto dalla Libia, paese che rispetterebbe “le normative internazionali e può legittimamente svolgere attività di ricerca e soccorso in mare, sovvenzionata con fondi europei”. Questo nonostante le gravi violazioni dei diritti umani certificate da organismi internazionali come l’ONU che hanno parlato di “violenze indicibili” perpetrate all’interno dei campi di detenzione libici, ufficiali e non, campi di detenzione di cui il Ministro sembrava non essere a conoscenza, così come non conosce la pratica del “respingimento” vietata dalla Convenzione di Ginevra.
Piantedosi inoltre ha dichiarato che le navi di soccorso possono essere considerate un porto sicuro temporaneo in attesa che si determini un porto di sbarco, arrivando perfino a ipotizzare la possibilità che siano le stesse navi umanitarie ad occuparsi delle richieste di asilo delle persone vulnerabili a bordo, non ricordando tuttavia quale fosse la
normativa a riguardo che infatti non esiste.
Quello che appare evidente è che in quell’agosto 2019 furono prese decisioni gravissime e lesive della dignità e dei diritti delle persone più vulnerabili che non tennero alcun conto del quadro legislativo di riferimento e del rispetto delle Convenzioni internazionali che ancora oggi regolano il soccorso in mare.
Oggi, in quell’aula tanto simbolica del tribunale di Palermo, ci è parso di sentire forte e chiaro un richiamo alle nostre responsabilità di cittadine e cittadini a continuare a batterci perché le nostre Costituzioni democratiche continuino ad avere un senso e a indicarci la strada perché l’Europa torni a essere un baluardo contro le pericolose derive di questi
ultimi anni.