> MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SETTIMANALE SULL E SOGGETTIV₳ZIONI METICCE <
Usare la fame come arma di guerra. Una testimonianza dal nord di Gaza: Israele ha dichiarato guerra totale non solo ad Hamas ma all’intera popolazione palestinese
“Decenni di guerre contro di noi hanno consentito a Israele di dispiegare armi sempre più sofisticate e terribili. Ogni giorno sento parlare di opzioni mostruose proposte dai funzionari israeliani per il mio futuro: che dovrei essere deportato dalla mia terra natale o ucciso in un’esplosione atomica”
Nel nord di Gaza non c’è niente da mangiare. Dall’inizio della guerra non abbiamo più né frutta né verdura. Non c’è farina per fare il pane, né pasta per cucinare, né carne, né formaggio, né uova, niente. I prodotti secchi, come lenticchie e fagioli, non sono disponibili o vengono venduti a 25 volte il loro prezzo originale. Osservo, con grande dolore, la sofferenza dei miei cari: i bambini piccoli che chiedono cibo, qualunque cibo. Mia madre diabetica muore di fame in silenzio. I miei fratelli e sorelle, e i loro figli, soffrono di forme estreme di fame e di inedia. Il governo israeliano sta usando la fame dei civili come arma di guerra a Gaza. Questo è un crimine di guerra e sta accadendo allo scoperto. Alti funzionari israeliani hanno parlato pubblicamente del loro obiettivo di privare i civili di Gaza di cibo, acqua e carburante […] La maggior parte dei giorni non vediamo il sole perché non è sicuro uscire. Il costante bombardamento da parte di Israele dei quartieri palestinesi, insieme ai cecchini che prendono di mira i civili in cerca di cibo, rendono qualsiasi uscita fuori casa potenzialmente mortale. Non mangio niente di verde da tre mesi. Il mio corpo sta cadendo a pezzi a causa della mancanza di proteine. Mi sento debole e stordito. Sento dolore. Mi sento vuoto. Nessun camion di aiuti arriva nel nord di Gaza, anche se il sud ne riceve ancora alcuni. Trascorro giornate intere a cercare cibo e a chiedere in giro; quando finalmente trovo qualcosa, è un sacco di farina, che dovrebbe bastare a sfamare le 27 persone che vivono in casa nostra per una settimana. Di solito la borsa costerebbe 30 shekel (8 dollari), ma ora viene venduta per 700-900 shekel (189-243 dollari) e non possiamo permettercelo. Questi ricarichi si applicano a tutti i tipi di cibo; se disponibili, sono inaccessibili. Quando incontri qualcuno per strada che è riuscito a trovare del cibo, cerca di nasconderlo. Il cibo deve essere cotto, ma non c’è gas e la maggior parte delle persone ora cucina sul fuoco. Raccogliamo il legno dalle nostre case demolite: i nostri armadi, i mobili e i giocattoli in legno dei bambini. La fame non distrugge solo il corpo fisicamente. Porta anche a cambiamenti psicologici ed emotivi, come depressione e ansia. Oggi a Gaza, questo sta accadendo intorno a noi. La scelta deliberata di Israele di affamare la Striscia di Gaza è stata attuata sotto gli occhi del mondo. Abbiamo bisogno di un cessate il fuoco immediato, ma, cosa ancora più urgente, abbiamo bisogno di porre fine alla guerra di fame di Israele. Ogni giorno sono costretto a ripetere questo film horror, nel quale non avrei mai voluto avere un ruolo. Non so se sopravvivrò a questa guerra; se la Palestina sopravviverà a questo genocidio. Che tipo di vita ti costringe a scegliere tra morire di fame, di malattia, di cecchini o di bombe? Di notte inizia a piovere. Non riesco a dormire, pensando alle tende allagate degli sfollati. Ma alla fine crollo, lasciando entrare gli incubi, solo per risvegliarmi poche ore dopo in uno peggiore.
L’autore ha deciso di rimanere anonimo per preservare la sua sicurezza. Si trova a Gaza City, circondato dall’esercito israeliano. La sua testimonianza è stata ripresa anche da Middle East Eye. Traduzione a cura di Gaza FREEstyle [leggi integralmente su milanoinmovimento.com]
Forum Terzo Settore sul “Piano Mattei” del vertice Italia-Africa di Roma del 28\29 us: essenziale coinvolgere la società civile per frenare l’accaparramento privatistico delle risorse destinate alla solidarietà per uno sviluppo sostenibile
“La cooperazione allo sviluppo può e deve essere parte integrante di una nuova stagione nelle relazioni tra l’Italia e l’Africa, per una collaborazione che sia effettivamente paritaria e vantaggiosa per entrambe le popolazioni”
Il rischio che il Piano Mattei si traduca in politiche di sfruttamento del continente è stato denunciato nelle scorse ore anche dalle organizzazioni della società civile africana: ci auguriamo che il Governo ascolti il loro appello e lavori per un reale sviluppo sostenibile, rilanciando la cooperazione allo sviluppo a partire dalle risorse a disposizione di questo settore. Il nostro Paese è infatti ancora lontano dall’obiettivo di destinare lo 0,70% del reddito nazionale lordo all’Aiuto pubblico allo sviluppo: un’efficace cooperazione Italia-Africa non può fare a meno di nuove e importanti risorse”. Lo dichiara Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore”. In vista proprio della Conferenza Italia-Africa, era stata inviata una lettera aperta della Campagna 070 (promossa da Focsiv, AOI, CINI, Link 2007), con la quale nel richiamare l’Italia al rispetto “dell’impegno assunto all’ONU, oltre cinquant’anni fa, di destinare lo 0,7% del Reddito Lordo italiano all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo” e, parimenti, si richiamavano altresì i principi di solidarietà su cui dovrebbero basarsi gli aiuti al continente africano, per un effettivo sostegno economico di uno sviluppo che “non può fondarsi solamente sul capitale economico, ma necessità di quello umano, di capitale relazionale e sociale, nonché istituzionale. Lo sviluppo è la valorizzazione delle specificità territoriali, è progetti comuni, in partenariato; è lavorare nelle periferie, è sostenere la crescita delle comunità locali, è salvare le biodiversità, è promuovere l’associazionismo e la cittadinanza attiva, è affiancare i movimenti sociali e dei popoli indigeni”. In questo senso si è espressa la portavoce della Campagna 070, Ivana Borsotto, preoccupata per il fatto che il cd. “Piano Mattei” possa tradursi nel superamento della Legge 125/14, “qualora i finanziamenti previsti della Legge di Bilancio siano sbilanciati a favore degli interessi d’affari privati, ridimensionando così il ruolo e della cooperazione internazionale e dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS)”.
per approfondimenti consulta ForumTerzoSettore
Rapporto Censis – Il lavoro nella vita delle persone: cambia la relazione con il tempo, il reddito e i propri interessi. In crescita i dati sull’occupazione. Epperò…
PER IL 62,7% DEGLI ITALIANI IL LAVORO NON È CENTRALE NELLA VITA, IL 76,2% DEI GIOVANI SCAMBIEREBBE SOLO A CARO PREZZO UN’ORA DI TEMPO LIBERO CON UN’ORA DI LAVORO, PER L’80% DEGLI OCCUPATI NEL PASSATO SI È CHIESTO TROPPO A CHI LAVORA, ORA È GIUSTO PENSARE DI PIÙ A SÉ STESSI
Il lavoro che invecchia. Fra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023, l’occupazione in Italia è aumentata di 470.000 unità: tutti gli indicatori che riguardano le componenti dell’ occupazione mostrano un segno positivo (occupazione dipendente e occupazione indipendente), mentre il solo segno negativo è riconducibile a contratti di lavoro a termine, che si riducono in dodici mesi di 89.000 unità (-2,9%). D’altra parte, però, nel giro di dieci anni – fra il 2012 e il 2022 – la base occupazionale formata da giovani con un’età compresa fra i 15 e i 34 anni si è ridotta di circa 360.000 unità (188.000 sono riconducibili al Mezzogiorno), mentre i lavoratori con almeno 50 anni di età sono aumentati di 2,7 milioni. Inoltre, la mancata partecipazione al mercato del lavoro conta oggi 12 milioni e 434.000 persone (quasi otto milioni sono donne) che, pur essendo in età lavorativa, non lavorano e non sono alla ricerca di un lavoro: quasi dieci italiani su cento dichiarano di non partecipare al mercato del lavoro perché scoraggiati dagli esiti negativi della ricerca di un lavoro (prevalentemente donne). Lavorare per vivere (e non vivere per lavorare). I tre quarti degli italiani (il 76,1%) condividono l’affermazione secondo la quale in Italia il lavoro c’è, ma si tratta di un lavoro poco qualificato e sottopagato. Il 76,2% dei giovani sono convinti che un impegno aggiuntivo di un’ora di lavoro deve avere un compenso tale da giustificare la rinuncia a un’ora di tempo libero e l’80% degli italiani occupati vede nel lavoro un fattore che, soprattutto in passato, ha portato a trascurare gli interessi personali, tanto da porre il proprio benessere in secondo piano (lo pensa anche il 79,8% dei più giovani e l’80,8% nella classe dei 35-64enni). Fra chi è oggi alla ricerca di un nuovo lavoro, il 36,2% indica come motivazione principale quella di ottenere un guadagno più elevato rispetto a quello corrente; il 36,1% afferma invece che la ricerca di un nuovo lavoro è stimolata dalla necessità di vedere riconosciuto il livello di competenze acquisito insieme a una maggiore prospettiva di carriera.
comunicato Censis
Cresce la rabbia degli agricoltori: il rifiuto degli accordi di libero scambio e la richiesta di un reddito dignitoso sono alla base delle mobilitazioni degli agricoltori in Europa
Nelle ultime settimane, massicce manifestazioni di agricoltori hanno occupato le strade di Germania, Francia e altri Paesi europei
Su molti agricoltori grava il peso delle politiche neoliberali che impediscono di fissare prezzi giusti. I debiti e i carichi di lavoro si alzano vertiginosamente, mentre i redditi agricoli crollano. Gli agricoltori europei hanno bisogno di risposte concrete ai loro problemi, non di fumo negli occhi. Chiediamo la fine immediata dei negoziati sull’accordo di libero scambio con il Mercosur e una moratoria su tutti gli altri accordi di libero scambio attualmente in fase di negoziazione. Chiediamo l’effettiva attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali e il divieto a livello europeo di vendere al di sotto dei costi di produzione, utilizzando come esempio quanto sviluppato dallo Stato spagnolo nella sua legge sulle filiere agroalimentari. I prezzi pagati agli agricoltori devono coprire i costi di produzione e garantire un reddito dignitoso. I nostri redditi dipendono dai prezzi agricoli ed è inaccettabile che questi siano soggetti a speculazioni finanziarie. Chiediamo quindi una politica agricola basata sulla regolamentazione del mercato, con prezzi che coprano i costi di produzione e la gestione di scorte pubbliche di derrate. Chiediamo un bilancio adeguato affinché i sussidi della PAC vengano ridistribuiti per sostenere la transizione verso un’agricoltura in grado di affrontare le sfide della crisi climatica e della biodiversità. Tutti gli agricoltori già impegnati e che vogliono impegnarsi in processi di transizione verso un modello agroecologico devono essere sostenuti e accompagnati nel lungo periodo. È inaccettabile che nell’attuale PAC la minoranza di aziende agricole più grandi monopolizzi centinaia di migliaia di euro di aiuti pubblici, mentre la maggioranza degli agricoltori europei non riceve alcun aiuto, o solo le briciole. Siamo preoccupati dei tentativi dell’estrema destra di sfruttare questa rabbia e le varie mobilitazioni per promuovere la loro agenda, negando il cambiamento climatico, chiedendo standard ambientali più bassi e puntando il dito contro i lavoratori migranti nelle aree rurali. Non sono queste le cause del disagio, e non contribuiranno a migliorare le condizioni degli agricoltori. Il coordinamento ECVC invita i rappresentanti politici europei ad agire rapidamente per rispondere alla rabbia e alle preoccupazioni degli agricoltori. È necessario un autentico cambiamento nelle politiche agricole, che metta gli agricoltori al centro e garantisca prospettive per il futuro. ECVC ha già proposto soluzioni reali a questa crisi, descritte nel nostro
European Coordination Via Campesina