Sono oltre un milione i giovani italiani senza cittadinanza, si sentono italiani a tutti gli effetti, ma non sono riconosciuti loro gli stessi diritti dei coetanei. La maggioranza ha meno di 15 anni, questo significa che una parte importante finirà il percorso scolastico in condizioni di segregazione burocratica e civile. La maggior parte è nata in Italia, altri sono arrivati da piccoli, molti conoscono il paese di provenienza della loro famiglia dai racconti dei genitori, o perché ci trascorrono le vacanze. Hanno le stesse aspirazioni, delusioni e bisogni dei coetanei autoctoni, ma fanno i conti con muri invalicabili: la cittadinanza forse, e come concessione, non come diritto, le difficoltà scolastiche, il fare da ponte tra due culture, il razzismo, l’identità. Durante le ore di educazione civica, quando si parla di Costituzione, di democrazia che si esprime col voto, non si parla certo di loro. Le gite all’estero, a loro sono precluse, potrebbe scadere il permesso di soggiorno e rendere impossibile il rientro in Italia. L’ERASMUS, pure. L’impossibilità a partecipare a bandi, a concorsi pubblici, riservati ai cittadini italiani. Appartengono invece alle seconde generazioni in senso stretto e fino a 34 anni, all’incirca 2,6 milioni di individui (Anno 2022, in crescita del 2,7% sul 2021) e di questi circa il 36% non ha la cittadinanza italiana.
E’ stato presentato nei giorni scorsi il Rapporto: “2^ Generazione a chi?”, realizzato da Ires Emilia-Romagna per conto della CGIL Emilia-Romagna che si propone di indagare le condizioni socio-economiche e socio-culturali dei giovani con background migratorio in Emilia-Romagna (cioè italiani di seconda generazione e stranieri non immigrati perché nati in Italia da entrambi genitori stranieri), impropriamente e comunemente definiti “seconde generazioni”. L’indagine si propone di esplorare in quale misura la propria Cittadinanza e background migratorio influiscono: sulle aspettative ed eventuali difficoltà in relazione al proprio percorso educativo e formativo, sull’accesso ai servizi scolastici e formativi integrativi; sul tipo di lavoro che si ha e/o si cerca, e relativi diritti e condizioni; sull’accesso al welfare, sanità e servizi sociali e su potenziali difficoltà in relazione a pratiche amministrative; sulla condizione abitativa; sul rapporto con il sindacato.
In Emilia-Romagna, la situazione non è dissimile da quella dell’intero Paese. Su un totale di 450.867 residenti figli di almeno un genitore immigrato, 260.189 sono nati in Italia, il 68,5% ha meno di 15 anni e il 38,5% non ha la cittadinanza italiana. La diffusione della cittadinanza italiana si riduce, poi, man mano che si passa agli altri livelli tra il primo arrivo e la seconda generazione. Nel caso della generazione 1,75, di coloro cioè che sono arrivate e arrivati in Italia in età prescolare, sono i tre quarti a non avere la cittadinanza italiana, nel caso di chi è arrivato entro il ciclo della scuola primaria e secondaria di primo grado i non cittadini italiani sono poco meno di quattro quinti. “Dietro questi numeri – si legge nel Rapporto- si nasconde una linea di frattura di non facile ricomposizione. Per molte di queste persone, quello della migrazione diverrà un tratto portante della loro esistenza, ben più saliente di quanto il riferimento al background, allo sfondo, possa indurre a pensare. Lo si può ben immaginare, ma anche i dati del rapporto lo mostrano con riferimento alla fruibilità del diritto al lavoro e all’accessibilità ai servizi e alle opportunità offerte dai percorsi educativi.”
Alcuni dati (tra i tanti) del Rapporto risultano particolarmente allarmanti: l’88% afferma di aver subito o di essersi sentito vittima di violenza o bullismo e i motivi principali sono: il Paese di origine (48,7%), il nome e cognome (35%) e il colore della pelle (26,6%); il ’91,6% dei rispondenti pensa che l’Italia sia un Paese razzista e che la cittadinanza non basta per essere o sentirsi italiani (80,6%).
“L’Italia è un Paese che si arricchisce ogni giorno della presenza e del contributo di migliaia di ragazzi nati sul suo territorio da genitori immigrati, sottolineano CGIL e IRES Emilia- Romagna. Questi giovani, che si sentono italiani a tutti gli effetti, rappresentano una risorsa preziosa per il futuro della nostra società, in termini di diversità culturale, competenze professionali e dinamismo sociale. Tuttavia, questi ragazzi devono affrontare ancora molte difficoltà e discriminazioni che limitano le loro opportunità di crescita e di integrazione. La mancanza di una legge che riconosca loro la cittadinanza italiana in modo automatico o semplificato, a differenza di quanto avviene in molti altri Paesi europei è uno degli ostacoli più gravi che affrontano questi ragazzi. Infatti, la normativa attuale prevede che i figli di stranieri nati in Italia possano richiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni, e solo se dimostrano di aver risieduto ininterrottamente in Italia dalla nascita. Questa situazione crea una condizione di esclusione e di precarietà, che impedisce a questi ragazzi di sentirsi parte integrante della comunità nazionale, di esercitare i loro diritti civili e politici, di accedere a servizi e opportunità, di progettare il loro futuro con serenità. Inoltre, questa situazione contrasta con il principio costituzionale che riconosce a tutti i bambini nati in Italia la piena uguaglianza di trattamento e di tutela.”
Qui per scaricare il Rapporto di Ires Emilia-Romagna “2^ Genarazione a chi?”