> MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SETTIMANALE SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE <
La determinazione dei Comitati per il Ritiro di ogni autonomia differenziata e del Tavolo NOAD è riuscita a sollevare l’allerta mediatica e politica
Un progetto di gravità inaudita volto a smantellare i diritti fondamentali di ogni cittadino e cittadina e la loro uguale fruibilità
Il 16 gennaio il Tavolo-NOAD ha organizzato presìdi in 28 città ed aree metropolitane, nel corso dei quali è stato consegnato a Prefetti e Uffici regionali il documento che motiva le ragioni di una protesta iniziata più di 5 anni fa e di una mobilitazione che da allora è continuata costantemente. Migliaia di donne e uomini hanno dato vita – da Nord a Sud – ad una contestazione pacifica, motivata, ferma sulle posizioni che coerentemente stiamo rivendicando da anni: contro ogni forma di autonomia differenziata, contro la devoluzione di materie alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, che violerebbe i principi configurati negli artt. 1, 2, 3, 5 della Costituzione del ’48. La Carta fonda i pilastri della casa comune della Repubblica, cioè di tutti e tutte noi: uguaglianza, solidarietà, autonomia solidale e non competitiva, in una Repubblica “una e indivisibile”, basata sui diritti, sulle istituzioni della democrazia rappresentativa e la partecipazione a garanzia dello sviluppo di ogni singola persona, ovunque essa risieda. Il DDL Calderoli è arrivato in Parlamento senza un’adeguata informazione al paese, senza un dibattito nei Consigli comunali e regionali, e senza tener conto delle voci critiche e degli allarmi venuti da esponenti autorevolissimi del mondo accademico, economico, sociale e istituzionale: Ufficio Parlamentare di Bilancio, Commissione Europea, Banca d’Italia, Confindustria, Corte dei Conti e CEI. La discussione è arrivata in Commissione e in Aula senza che il Governo abbia ottemperato alla sua stessa tabella di marcia a proposito dei LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, la cui definizione avrebbe dovuto concludersi entro il 2023. Il “Milleproroghe” ha infatti stabilito un altro anno di tempo per la definizione degli standard inerenti i diritti sociali e civili, che lo Stato, attraverso il Parlamento – e non il Governo – dovrebbe garantire a tutti/e, indipendentemente dal territorio di residenza. Si è concluso un ‘patto scellerato’ tra la presidente Meloni e il ministro Salvini, tra FdI e Lega, per lo scambio fra Autonomia differenziata e Premierato, per sovvertire forma di Stato e di governo, distruggendo così la Repubblica democratica: al vertice del governo, il premier e i governatori, nelle Regioni, eletti con plebisciti e dotati di poteri autocratici.
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Video-reportage di Lega Ambiente su “Quale futuro per Taranto? Produrre acciaio-verde”
Alla vigila del nuovo incontro tra governo e sindacati sul dossier strategico dell’ex Ilva di Taranto dopo l’abbandono dei privati di Arcelor Mittal
Pubblicato da Legambiente un interessante video-reportage sul futuro dello stabilimento pugliese indicando una via d’uscita dalla paralisi attuale: convertirlo in produzione di acciaio verde. Nel video-reportage di Legambiente si calcola che riconvertire il grande impianto tarantino all’acciaio verde costerebbe all’incirca 4,5 miliardi. Un costo ingente, che però manterrebbe sul mercato l’acciaio italiano, fondamentale materia prima per l’industria nazionale, rendendolo adeguato agli standard di compatibilità ambientale che l’Europa si è data. Questa soluzione conserverebbe in prospettiva il livello di occupazione attuale. Un grande impianto eolico offshore a largo di Taranto, impianti di elettrolisi per la produzione di idrogeno, sistemi di manutenzione on e off shore possono creare l’opportunità di una Taranto finalmente fuori da una storia di nocività, di inquinamento e di morti, evitando al contempo la deindustrializzione. Il PNRR prevede uno stock di finanziamento anche per l’idrogeno verde. Almeno una parte di questa cifra potrebbe ben costituire un punto di avvio per la decarbonizzazione dell’ex Ilva e creare un circuito sostenibile e virtuoso per la città.
articolo integrale su Sbilanciamoci.info
Strasburgo approva direttiva che vieta ‘greenwashing’ e ‘pubblicità ingannevole’: favorire prodotti a più lunga garanzia e bandire le dichiarazioni ambientali fuorvianti
Una nuova direttiva contro il greenwashing, approvata il 17 gennaio dal Parlamento europeo, favorirà la trasparenza e la corretta informazione a vantaggio di consumatori e cittadini
La normativa è divisa in due parti, l’una dedita alle pratiche commerciali vietate in Ue e alle serie di strategie di marketing riconducibili al greenwashing (ambientalismo di facciata), l’altra finalizzata a ridurre l’obsolescenza precoce dei beni. La direttiva è stata approvata con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni. “Questa legge cambierà il quotidiano di tutti gli europei. Ci allontaneremo dalla cultura dello scarto, renderemo più trasparente il marketing e combatteremo l’obsolescenza prematura dei beni – ha dichiarato la relatrice Biljana Borzan, vicepresidente dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo, che ha tenuto una conferenza stampa in streaming – Le aziende non potranno più ingannare le persone dicendo che le bottiglie di plastica sono buone perché l’azienda ha piantato alberi da qualche parte — o dire che qualcosa è sostenibile senza spiegare come”. Greenwashing e pubblicità ingannevole – La direttiva vieterà, in primis, l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale”, “biodegradabile”, “a impatto climatico zero” o “eco” se non supportate da prove. In secondo luogo, saranno autorizzati solo i marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche. L’UE vieterà anche le dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni.
approfondimenti su La Nuova Ecologia
Chi non vuole l’acqua pubblica? La privatizzazione incombe ma il tempo stringe! Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua sollecita Sindaci e Consigli comunali a fare il proprio dovere democratico
I Comuni possono ancora scongiurare la messa a gara: convochino al più presto le Conferenze dei Sindaci delle rispettive Autorità d’Ambito per costituire il gestore unico pubblico e affidargli direttamente la gestione del Servizio Idrico, specificando inoltre, nello Statuto dell’azienda, che le quote di proprietà dei Comuni non possono essere cedute a soggetti privati e che gli utili vanno reinvestiti nel servizio idrico
Alla fine del 2023 sono scaduti molti affidamenti diretti della gestione (in house providing) del Servizio Idrico Integrato: la privatizzazione incombe. Tranne poche eccezioni, come ad esempio l’eccellenza di Acqua Bene Comune Napoli, nel resto del Paese manca ancora quel gestore pubblico che consenta il rinnovo diretto – fuori dalla concorrenza di mercato – dell’affidamento della gestione dell’acqua. È la logica conseguenza del tradimento della volontà popolare chiaramente espressa nel Referendum del 2011: fuori l’acqua dal mercato e dal profitto! Grandi responsabilità pesano sul Parlamento complice l’inerzia di molti sindaci e consigli comunali che per legge hanno il dovere di governare il Servizio Idrico Integrato. Un’altra porta aperta alla privatizzazione è stata spalancata dalla recente legge sulla concorrenza che vieta d’ora in poi di affidare la gestione dei servizi pubblici a rete ad Aziende Speciali, enti di diritto pubblico senza scopo di lucro. Restano però in vigore gli affidamenti diretti al Gestore Unico di proprietà pubblica che opera esclusivamente per i comuni proprietari i quali esercitano su di esso un controllo analogo a quello esercitato sui propri uffici.
comunicato Forum movimenti per l’acqua
Mezzogiorno esangue, popolazione in declino: il Sud invecchia «dal basso» per sottrazione giovanile
L’eccessivo rigoglio demografico fu parte integrante – fino agli anni ’60 – delle discussioni attorno alla “questione meridionale”. Diversamente da allora, è la depressione demografica che comprime lo sviluppo del meridione
Tra il 2001 e il 2022, la popolazione residente del Mezzogiorno ha perso 700mila unità, somma algebrica di una perdita di 1,35 milioni di italiani, solo in parte compensata dalla crescita di 650mila stranieri (Tab. 1). Il Centro-Nord, invece, ha aumentato la propria popolazione di 2,55 milioni, e la relativamente modesta perdita di italiani (mezzo milione) è stata largamente compensato dal forte afflusso di stranieri, cresciuti di quasi 3 milioni2. Si noterà anche che nel breve triennio dominato dal Covid (2019-22), il Mezzogiorno ha perso 400mila residenti, e la componente straniera si è nel frattempo debolmente assottigliata. La bassa riproduttività è un fenomeno oramai strutturale nel Mezzogiorno e sarà la “forza” che nel prossimo futuro determinerà il corso al ribasso della popolazione meridionale. Nel 2022, la regione meridionale con il più alto numero di figli per donna era la Sicilia (1,35), e quella col più basso numero la Sardegna (0,95), due valori sensibilmente inferiori al massimo e al minimo del Centro Nord, con il Trentino Alto Adige regione più prolifica (1.55) e l’Umbri quella meno prolifica (1,13). Bassa riproduttività e bassa attrattività migratoria (sia dall’interno che dall’estero), fanno del Mezzogiorno un’area fortemente depressa. Con riferimento alla tradizionale migrazione sud-nord, osserva il Rapporto Svimez che “Le migrazioni interne dal Mezzogiorno al resto del Paese degli ultimi due decenni hanno interessato coorti di più ridotte dimensioni con un più elevato grado di istruzione, un’equilibrata presenza femminile e soprattutto giovani in condizione riproduttiva. Ciò ha contribuito ad accentuare gli squilibri con il Nord. Il Sud invecchia «dal basso» per sottrazione di giovani che, lasciando le regioni meridionali, favoriscono, nel resto del Paese, la crescita della popolazione e, al tempo stesso, un suo più equilibrato rapporto intergenerazionale”.
per consultare tabelle e dati si rinvia al commento integrale su neodemos.info