Piazza Santo Stefano, ore 16 del primo gennaio, in occasione della 57esima giornata mondiale della pace, chiamati dalla comunità di sant’Egidio arrivano almeno 200 persone, una buona parte immigrate. Ricordano le violenze nel mondo, le tante guerre sparse sul pianeta, espongono tanti cartelli con i nomi dei luoghi dove la pace è un sogno. Intervengono un giovane dal Sudan che ricorda come siano 8 milioni i sudanesi sfollati, in gran parte all’interno del paese stesso, ma anche fuori da questo, un uomo afgano che elenca i soprusi di un governo talebano che schiaccia la popolazione, le donne in primis, e poi la Pastora Valdese Daniela Di Carlo che legge le parole di Michela Murgia la quale, ricorda, studiò a lungo teologia.
Dopo una prima parte di interventi ci si sposta verso corso Europa, dal fondo spunta una bandiera palestinese tenuta da una giovane italiana. Le viene chiesto di togliere la bandiera, ma lei dice: “Mi spiace, ma non riesco proprio a farne a meno…” Si terrà in fondo al corteo, discreta, ma presente… Si fa quindi tappa di fronte alla chiesa ortodossa, dove, dicono, pregano russi e ucraini insieme. Parla una donna ucraina, descrivendo il dolore di fronte alle notizie di distruzione nel suo Paese.
Riparte il corteo e va verso piazza Duomo, sfila in mezzo a stupiti turisti e curiosi del dì di festa. Non tutti capiscono, si sfila in silenzio, rischiando di confondersi nella massa di chi passeggia tra le bancarelle. Qualcuno prova a gridare “Basta guerre, basta guerre…” Ma i partecipanti non sembrano abituati ad alzare la voce.
Si entra in Duomo. Si ricordano ancora i Paesi dove vi sono guerre, con buone probabilità non si nominino tutti… Sono troppi.
Una messa. Il Duomo è pieno per tre quarti, ma non sembra che le energie, la tensione, siano tali da scalfire i luoghi dove le decisioni vengono prese.
Bisognerà mettere insieme più forze, facciamolo presto. Il 2024 è partito decisamente in salita. E noi andiamo avanti, in ordine sparso…