Cento anni fa, esattamente il 29 ottobre 1923, Mustafa Kemal fondava la Repubblica di Turchia sulle macerie dell’Impero Ottomano, uno Stato multietnico vecchio di sei secoli, guidato dalla dinastia turca sunnita degli Osmanli. Per molto tempo, la Repubblica di Turchia sembrava avere un ruolo marginale nelle relazioni internazionali, ma tutto è cambiato in quest’ultimo quarto di secolo…

Infatti da una ventina d’anni la Turchia è tornata ad avere un ruolo cruciale nel panorama internazionale. Il suo leader, Recep Tayip Erdogan, ha imposto l’immagine di una potenza importante vicina al Medio Oriente ma anche ai Balcani, con ambizioni mondiali. E bisogna riconoscere che il Paese non manca certo di punti di forza. Le sue aziende esportano nei settori più disparati, dall’agroalimentare, al tessile, all’automobile, passando per l’elettronica e gli armamenti. D’altro canto, il soft power turco si esprime attraverso la musica pop, le serie TV, le squadre di calcio. Come si è arrivati a questo? Che cosa è accaduto da un secolo a questa parte?

La nostra storia ha inizio nel 1923, quando Mustafa Kemal Atatürk fonda la Repubblica di Turchia. Dal 1299, il territorio e le popolazioni corrispondenti all’attuale Turchia hanno fatto parte dell’Impero Ottomano, con capitale Istanbul; screditato dalla sconfitta del 1918, questo viene rovesciato da un generale nazionalista, Mustafa Kemal. È uno dei pochi generali che ha riportato una vittoria durante la Prima Guerra Mondiale, nella battaglia di Gallipoli del 1915, sugli inglesi e i francesi. Con il trattato di Sèvres1, imposto dai vincitori, l’Impero Ottomano viene smantellato e le province arabe diventano protettorati inglesi o francesi. Ai curdi viene promesso uno Stato nel sud dell’Anatolia. La Grecia ne approfitta per attaccare il Paese, rivendicando l’annessione dell’ovest dell’Anatolia dato l’alto numero di popolazioni greche. Alla fine della guerra greco-turca nel 1919-1922, Mustafa Kemal sconfigge l’esercito greco che occupava la parte ovest dell’Anatolia ed espelle 1,3 milioni di greci che vivevano sulle coste anatoliche del Mediterraneo e del Mar Nero. In cambio, 380.000 turchi che vivevano in Grecia, vengono rimpatriati in Turchia.

Laicità, nazionalismo, autoritarismo costituiscono i pilastri ideologici del nuovo regime. La Turchia è un Paese di 10 milioni di abitanti, l’85% dei quali abita nelle zone rurali e con un analfabetismo che raggiunge l’80%. Atatürk impone una Costituzione laica e occidentalizza la società a tappe forzate. I turchi sono costretti a vestirsi all’occidentale. L’alfabeto arabo viene sostituito da quello latino e l’istruzione pubblica diventa obbligatoria. Nel 1934 le donne ottengono il diritto di voto. La capitale viene trasferita da Istanbul ad Ankara. Ricordiamo che durante la Prima Guerra Mondiale, la popolazione armena ha subito un genocidio che ha fatto almeno 1 milione di morti, ovvero i due terzi degli armeni che vivevano in Anatolia. Una volta espulsi i Greci, dunque, la popolazione rimanente in Anatolia è costituita quasi esclusivamente da musulmani turcofoni e curdofoni. È su queste basi che nasce l’identità nazionale della nuova Turchia kemalista, ma l’identità della principale minoranza etnica, quella dei curdi, viene completamente negata. E questo avrà un peso importante nell’evoluzione futura.

Alla morte di Atatürk nel 1938, gli succede il suo più fedele luogotenente, nonché ex primo ministro, Ismet Inönü, portando avanti la stessa politica. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il Paese mantiene una prudente neutralità. Successivamente, all’indomani del conflitto, si avvicina agli Stati Uniti. Le élite kemaliste sono, effettivamente, ostili all’URSS e al comunismo. L’economia turca approfitta dei prestiti del Piano Marshall e comincia a svilupparsi.

Nel 1950, per la prima volta vengono indette delle elezioni libere e l’opposizione di destra arriva al potere. Il Paese entra a far parte della NATO nel 1952, insieme al vicino greco.

Il partito kemalista è nazionalista, laico e abbastanza statalista in economia. Il partito di destra è più religioso e liberale in economia. Entrambi sono, tuttavia, anticomunisti. L’estrema destra minoritaria e aggressiva è soprattutto molto ostile verso le minoranze etniche e religiose. Esiste anche una sinistra marxista dinamica.

Nel 1960 un colpo di stato militare fa cadere il governo civile, accusato di minare la laicità. I kemalisti riprendono in mano la situazione in modo autoritario. Le elezioni legislative dell’anno successivo restituiscono il potere ai civili. Nel 1963, il Paese presenta la propria candidatura alla Comunità Europea. L’emigrazione verso l’Europa Occidentale, in particolare la Germania, funge da valvola di sicurezza a una crescita demografica dinamica difficilmente assorbita da un’economia ancora poco industrializzata. Nel 1971 vi è un altro colpo di stato, questa volta orientato a destra, che prende di mira in particolare le organizzazioni di sinistra. Questo intervento, della durata di un anno, non riesce affatto a risolvere i problemi economici e sociali.

I governi civili che si succedono devono fare i conti con una grave recessione economica. Infatti, l’economia turca è molto legata ai Paesi occidentali e avverte il contraccolpo della crisi petrolifera che questi vivono a partire dal 1973. Esacerbata dalla crisi economica, la contestazione studentesca e operaia è molto viva, gli scontri con i gruppi di estrema destra sono innumerevoli e nel corso degli anni Settanta mietono migliaia di vittime. In politica estera, il decennio è segnato dall’anno 1974, quando l’esercito turco invade il nord dell’isola di Cipro a seguito degli scontri tra ciprioti greci e turchi. In questo periodo nasce una tensione permanente con la Grecia che dura fino ai giorni nostri.

All’inizio degli anni Ottanta, la popolazione del Paese si attesta intorno ai 40 milioni di abitanti. Nel 1980, per la terza volta, l’esercito prende il potere e gli Stati Uniti appoggiano il colpo di stato. Le principali vittime della repressione sono l’estrema sinistra e la popolazione curda. Nel 1983, l’esercito restituisce il potere ai civili. Viene attuata una politica economica neoliberista, con privatizzazioni e l’apertura ai capitali stranieri, ma c’è un problema a lungo sopito con la forza che si fa preponderante: fin dalle origini della Repubblica turca, la questione curda non ha mai trovato una soluzione duratura e pacifica. La lingua e la cultura curde vengono negate e i suoi difensori perseguitati. Nel 1984 alcuni militanti curdi del PKK (Partito comunista curdo) mettono in atto una guerriglia contro lo Stato turco.

La politica economica di tipo neoliberista viene portata avanti da tutti i governi, sia di centro destra che di centro sinistra. Essa favorisce la corruzione e al contempo avvantaggia alcuni potenti gruppi mafiosi3. Nel 1996 viene eletto un governo di alleanza tra conservatori e islamisti. Nel giro di un anno, la pressione dell’esercito li costringe a dimettersi. Si tratta di una specie di colpo di stato civile: per la quarta volta in quarant’anni l’esercito, guardiano del dogma kemalista, impone la propria volontà sul potere civile.

La popolazione è stanca della corruzione dei grandi partiti tradizionali. Nel 2002 viene eletto per la seconda volta un governo islamista. Il nuovo partito islamista, l’AKP, e il suo leader, Recep Tayip Erdogan, arrivano al potere. L’AKP gioca la carta della democratizzazione per avvicinarsi all’Unione Europea e al contempo indebolire il potere delle élite filo-occidentali che fanno affidamento sull’esercito. In una prima fase, la democrazia compie dei passi in avanti: per esempio, viene abolita la pena di morte e viene autorizzato l’insegnamento della lingua curda.

In questo inizio di millennio, la congiuntura economica mondiale sembra favorevole. In particolare, lo sviluppo economico della Cina fa da locomotiva alla crescita mondiale. L’economia turca vive un periodo di forte sviluppo e il livello di vita dei cittadini migliora in modo significativo. La popolarità del regime se ne avvantaggia. Tuttavia, gli strappi alla laicità si moltiplicano e questo suscita un’inquietudine crescente tra i democratici, tanto che quando Erdogan rilancia la candidatura del suo Paese all’Unione Europea, questa frena, soprattutto per la situazione a Cipro, conflitto non risolto con la Repubblica di Cipro e con la Grecia4. L’AKP, forte dei suoi successi economici, vince nuovamente le elezioni legislative nel 2007 (con il 46,7% dei suffragi) e successivamente nel 2011 (con il 49,9%).

In seguito alla crisi economica mondiale del 2007, l’economia turca subisce un forte rallentamento. La disoccupazione aumenta e con essa anche il malcontento. Il 2013 è un anno spartiacque. Un progetto di distruzione del Parco di Gezi, nel centro di Istanbul, riunisce rapidamente tutte le opposizioni al regime AKP con il movimento di piazza Taksim. Le manifestazioni, solitamente pacifiche e nonviolente, si moltiplicano a macchia d’olio in tutto il Paese. L’irrigidimento del regime si percepisce nel giorno in cui l’ondata delle manifestazioni viene repressa con violenza. Nell’agosto 2014, con il 51% dei consensi, Erdogan si fa eleggere Presidente della Repubblica con suffragio universale. È il primo capo di Stato eletto in questo modo dalla fondazione della Repubblica nel 1923. L’AKP non ottiene la maggioranza assoluta durante le elezioni del luglio 2015. Erdogan rilancia allora il conflitto armato contro il PKK per apparire come il salvatore della nazione turca. Grazie alla sua alleanza con l’estrema destra nazionale, nel novembre dello stesso anno vince le elezioni.

Un tentativo di colpo di stato fallisce il 15 luglio 2016 davanti alla resistenza del governo e alla mobilitazione di una parte della popolazione. La popolarità di Erdogan rimane alta. Viene intensificata la repressione nei confronti di tutte le opposizioni organizzate. I primi a essere colpiti sono militari, giudici e poliziotti. Anche i partiti di opposizione, i giornalisti, gli universitari, i difensori dei diritti umani vengono presi di mira. Nell’agosto dello stesso anno, l’esercito turco interviene nel nord della Siria per combattere i miliziani curdi, accusati di sostenere il PKK. Nell’aprile 2017, attraverso un referendum, i turchi approvano (con il 51,4% dei voti) una riforma costituzionale che rafforza i poteri del Presidente, ma l’opposizione contesta il risultato. Erdogan viene tuttavia rieletto presidente nel 2018. Grazie alla sua alleanza con l’estrema destra nazionalista riesce a conservare la maggioranza. L’esercito turco interviene nuovamente nel nord della Siria l’anno successivo prima di un accordo di spartizione delle zone d’influenza nel nord del Paese con la Russia. Nel 2020 la Turchia interviene militarmente nella guerra civile libica.

Il Paese conta attualmente 80 milioni di abitanti, di cui il 20% vive a Istanbul4, una gigantesca metropoli che pone importanti sfide ai progettisti. Dal punto di vista internazionale, oggi il Paese è riconosciuto come una potenza media, sia sul piano economico che su quello militare o diplomatico. Il suo PIL per abitante, infatti, si è quadruplicato in 30 anni, segnale di un miglioramento reale del livello di vita materiale della popolazione. L’esercito turco è il secondo più importante in seno alla NATO dopo quello statunitense. La sua diplomazia è molto attiva, tanto che, per esempio, la Turchia è stato l’unico Stato in grado di mediare tra Russia e Ucraina nel conflitto in corso. I sostenitori di Recep Tayyip Erdogan attribuiscono questo successo al loro Presidente.

Il 2023 inizia con un evento drammatico. Il 6 febbraio un fortissimo terremoto colpisce il sud del Paese facendo più di 50.000 morti, senza contare i dispersi. L’AKP vince le elezioni di luglio con una debole maggioranza (il 52%). Nonostante la sua responsabilità nelle conseguenze umane catastrofiche del terremoto agli occhi di molti turchi Erdogan sembra ancora incarnare la stabilità. È legittimo, tuttavia, chiedersi fino a quando. La recessione economica che si protrae da un decennio, segnata da una forte inflazione, rimette in parte in questione l’adesione al potere da parte dei simpatizzanti dell’AKP. Gli attentati ai diritti umani, in particolare gli attacchi contro la stampa di opposizione, la ripresa del conflitto con il PKK, i tentativi di reislamizzazione della società confermano il ruolo di opposizione di coloro che da 15 anni denunciano la deriva autoritaria di Erdogan.

Andando indietro di cento anni l’evoluzione è sorprendente. Nel 1923 la Turchia era un Paese povero, distrutto dalla guerra, essenzialmente rurale, che si interrogava sul proprio futuro. Nel 2023 agli occhi dell’osservatore si presenta come un Paese otto volte più popolato, largamente urbanizzato, industrializzato, con una società più secolarizzata, più democratica e aperta alla diversità a dispetto delle evoluzioni di 20 anni di potere islamico-conservatore. La società turca, infatti, è attraversata dalle stesse grandi correnti che investono le società contemporanee: consumismo e materialismo, individualismo, nazionalismo, conservatorismo religioso ma anche femminismo, pacifismo e aspirazione alla diversità culturale s’incrociano senza mai comprendersi. L’evoluzione politica segnata sempre di più dall’autoritarismo è tuttavia preoccupante. Visto dall’esterno, si tratta di uno Stato che difende i propri interessi geopolitici in modo pragmatico e fa la propria parte tra Occidente, Russia, Paesi islamici, nuove potenze asiatiche e future potenze africane. In ogni caso, la Turchia è un Paese con il quale bisogna ritornare a fare i conti.

Note:

1-Trattato di Sèvres: Questo trattato, sottoscritto nel 1920 e imposto dai vincitori della guerra 1914-18 prevede la cancellazione dell’Impero Ottomano. Le province arabe del suddetto impero passano sotto il controllo britannico (Iraq, Giordania, Palestina) o francese (Siria, Libano). Il sud dell’Anatolia deve diventare uno Stato curdo, mentre il nord-est deve tornare all’Armenia. La parte europea e le coste occidentali dell’Anatolia sono destinate alla Grecia. Si tratta di uno smantellamento programmato del Paese. Rifiutato dai nazionalisti guidati da Mustafa Kemal, il trattato viene meno dopo la vittoria di questi ultimi nella guerra greco-turca del 1919-1922. Il trattato di Losanna del 1923 conferma la Turchia con gli attuali confini.

2-PKK: Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan è di ideologia marxista e rivendica la creazione di uno Stato curdo indipendente e socialista. Nato nel 1978, passa alla lotta armata nel 1984 e diventa la «bestia nera» delle autorità. La guerra tra questa organizzazione e lo Stato è costata decine di migliaia di morti, comportando la cancellazione di centinaia di villaggi nella parte sud-est dell’Anatolia. Marxista fino al 1994, il PKK si evolve successivamente sotto l’influenza delle idee del pensatore libertario Murray Bookchin. Dall’arresto del suo capo, Abdullah Öcalan, avvenuta nel 1999, ci sono state diverse tregue tra le due parti, anche se nessuna definitiva. Erdogan e l’estrema destra annoverano tutte le organizzazioni o le persone che invocano il dialogo con PKK tra i sostenitori del terrorismo.

3-Mafia turca: Approfitta della posizione geografica della Turchia, posta tra Asia ed Europa, per controllare gran parte del traffico di eroina destinato all’Europa. I suoi legami con la classe politica e con i servizi di sicurezza sono dimostrati e le conferiscono un’influenza indiscutibile. Grazie ai collegamenti efficaci di cui dispone nei Paesi in cui è presente un’emigrazione turca, essa collabora con la mafia albanese e italiana. È suddivisa in clan rivali, alcuni molto vicini all’estrema destra.

4-Cipro: dal 1974, la Turchia occupa il nord dell’isola di Cipro, dove nel 1983 è stata proclamata una «repubblica turca di Cipro del nord» non riconosciuta dalle Nazioni Unite. Dal 2004, la parte sud dell’isola, la Repubblica di Cipro (con capitale Nicosia), di lingua e cultura greca, fa parte dell’UE.

5-Istanbul: L’ex capitale dell’Impero Ottomano è diventata una megalopoli dalle dimensioni gigantesche – si estende per 100 km da est a ovest e per 50 km da nord a sud. Le sfide in termini di gestione urbana, ambientale, economica e sociale sono considerevoli, anche perché la megalopoli è collocata su un’importante zona sismica. Contava 1 milione di abitanti nel 1950 e ha visto la propria popolazione esplodere nella seconda metà del XX secolo. Ufficialmente conta 16 milioni di abitanti, ma sono senz’altro di più. Il 65% di essi vive sulla costa europea, mentre il 35% su quella asiatica.

Traduzione dal francese di Ada De Micheli. Revisione di Anna Polo