In vista dell’iniziativa dell’associazione Terra e Libertà che si terrà a Villa San Giovanni (RC) l’11 dicembre 2023, abbiamo incontrato Peppe Marra, sindacalista dell’USB Calabria, da molti anni impegnato in questa e in altre lotte a difesa dei lavoratori e del territorio e gli abbiamo chiesto di spiegarci la storia dell’associazione e il significato della passata che viene ormai chiamata la “Passata della Libertà”.
Come nasce l’iniziativa della passata “Terra e libertà”?
La passata “Terra e Libertà” è un prodotto dal grandissimo valore simbolico. Nasce da una storia lunga, quella dei cosiddetti insediamenti informali che nelle nostre campagne vedono centinaia e centinaia di braccianti stranieri vivere in condizioni disumane. Il 26 maggio scorso, in occasione della giornata di sciopero generale promosso da USB con al centro delle rivendicazioni i salari troppo spesso da fame, a Foggia i braccianti di Torretta Antonacci hanno rotto gli indugi e hanno occupato alcuni terreni abbandonati.
È stata un’iniziativa che ricorda i fasti delle grandi lotte contadine che hanno attraversato le nostre campagne nel Novecento, per lo più purtroppo dimenticate, ma che fanno parte della storia del nostro Paese. Oggi un terzo dei terreni coltivabili è abbandonato e questo dato rappresenta uno schiaffo alla miseria. Pensare a quello spreco a pochi metri dalle baracche di Torretta Antonacci, agli stenti a al disagio di quella realtà, era diventato ormai intollerabile. Il 26 maggio quindi i terreni sono stati occupati, poi arati e preparati alla semina dei pomodori: la passata “Terra e Libertà” è il frutto di quest’esperienza.
Quali sono le associazioni che la portano avanti?
Il motore di questo progetto è l’associazione “Terra e Libertà”, da cui prende il nome la passata, creata a costituita qualche anno fa dagli stessi abitanti di Torretta Antonacci per rivendicare la possibilità di auto-organizzarsi. E una prima vittoria l’hanno ottenuta con l’assegnazione da parte della Regione Puglia della gestione del campo: un’inversione di tendenza drastica rispetto a un modello che ha sempre visto gestioni calate dall’alto e spesso senza alcuna condivisione e/o confronto con gli abitanti dei campi. L’occupazione delle terre abbandonate si inserisce in questo percorso di emancipazione, supportato attivamente da USB in questi anni.
La distribuzione della passata ha poi attirato le simpatie di parecchi GAS (gruppi di acquisto solidale) e di esperienze dell’economia solidale che ci hanno aiutato a far arrivare le bottiglie di salsa in tutta Italia.
Quali sono l’idea e il progetto che ne stanno alla base?
È un progetto non facile, ma questa passata vuole rappresentare l’inizio di un percorso alternativo all’emarginazione, alla ghettizzazione e allo sfruttamento. Anche la scelta di rivolgersi a determinati circuiti per la distribuzione delle bottiglie nasce dalla volontà di rifiutare logiche assistenziali o pietistiche e tantomeno commerciali, ma dalla voglia di costruire veri percorsi di emancipazione. E le iniziative come quella in programma al Nuvola Rossa di Villa San Giovanni lunedì 11 dicembre servono a condividere ragionamenti, confrontarsi, ma soprattutto a creare alleanze non solo bianchi-neri, ma campagne-città e braccianti-contadini-consumatori, perché nessuno si può sentire escluso dallo sfruttamento che sta dietro ai prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Allo stesso tempo serve il contributo di tutte e tutti per cambiare questa dannata situazione.
Questo progetto si lega anche ad altre forme di auto-organizzazione?
A un problema complesso serve una risposta complessa. Non è un caso, ad esempio, che la campagna di distribuzione della passata “Terra e Libertà” nel reggino è sostenuta, oltre che da USB, da altre realtà come SoS Rosarno, che già dopo i tristi fatti del 2010 e la famosa rivolta degli africani hanno avviato un’esperienza mista rosarnesi-africani con al centro il lavoro; Equosud, che è una delle esperienze pioneristiche di economia solidale in Calabria; il Nuvola Rossa, che è un’importante realtà sociale nell’area dello Stretto e Dambe So, l’esperienza di ostello autogestito nata a San Ferdinando due anni fa e che rappresenta un’alternativa concreta al fallimentare e costosissimo modello degli insediamenti, formali o informali che siano. Case, lavoro, sanità, diritti sono esigenze comuni di chi vive nei ghetti rurali e nelle nostre periferie, di chi è nato a Reggio Calabria o a Bamako e oggi vive qui. Per dare risposte bisogna creare più sinergie possibili.