Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’UNICEF Innocenti – Global Office of Research and Foresight, alcuni dei Paesi più ricchi del mondo hanno registrato forti aumenti della povertà minorile tra il 2014 e il 2021. La “Report Card 18: Bambini poveri che vivono nei paesi ricchi“ (Child poverty in the midst of wealth) – l’ultima della serie che monitora il benessere dei bambini nei paesi dell’OCSE e dell’UE – rileva che, alla fine del 2021 c’erano ancora oltre 69 milioni di bambini che vivevano in famiglie che guadagnavano meno del 60% del reddito medio nazionale.
La base della Report Card 18 è una classifica dei paesi basata sui loro tassi più recenti relativi alla povertà di reddito infantile e sulla variazione proporzionale di tale tasso in un periodo di sette anni (2012-2014 e 2019-2021). La classifica colloca in cima Slovenia, Polonia e Lettonia e nelle ultime posizioni Regno Unito, Turchia e Colombia. Complessivamente, la percentuale di bambini che vivono in povertà nei 40 paesi dell’UE e dell’OCSE è diminuita di circa l’8% in un periodo di quasi sette anni, il che si traduce in 6 milioni di bambini in meno in condizioni di povertà. Tuttavia, i tassi di povertà infantile variano. Ad esempio: in Danimarca, Finlandia e Slovenia, circa 1 bambino su 10 vive in povertà. In Bulgaria, Colombia, Italia, Messico, Romania, Spagna, Turchia e Stati Uniti d’America, più di un bambino su 4 vive in povertà. Alcune nazioni hanno sfruttato il periodo di prosperità generale per affrontare il problema della povertà infantile, mentre altri non si sono potuti avvantaggiare di tale condizione. Ad esempio: la Polonia ha ridotto la povertà infantile del 38%. Slovenia, Lettonia e Lituania hanno ridotto la povertà infantile di oltre il 30%. Francia, Islanda, Norvegia e Svizzera hanno registrato un aumento della povertà infantile di almeno il 10%. Nel Regno Unito, la povertà infantile è aumentata del 20%.
Le condizioni di vita dei bambini possono essere migliorate indipendentemente dalla ricchezza di un Paese. La Spagna (ES) e la Slovenia (SI) hanno livelli simili di reddito nazionale pro capite, ma la Slovenia mostra un tasso di povertà infantile molto inferiore (10%) rispetto alla Spagna (28%). Analogamente, gli Stati Uniti d’America (USA) hanno un reddito pro capite molto simile a quello della Danimarca (DK), ma tra il 2019 e il 2021 il tasso medio di povertà infantile è più che doppio rispetto a quello della Danimarca (anche se nel 2021 è stato registrato un sostanziale miglioramento). La Svizzera (CH) ha un reddito nazionale pro capite quattro volte superiore a quello della Repubblica Ceca (CZ), ma un tasso di povertà infantile superiore di 6 punti percentuali. Ne deriva che un reddito nazionale elevato non garantisce il successo nella lotta alla povertà infantile, e i paesi più ricchi qui esaminati avrebbero molto da imparare da quelli più poveri.
Le conseguenze della povertà possono durare tutta la vita. I bambini che vivono in condizioni di povertà hanno minori possibilità di completare la scuola e da adulti percepiscono salari più bassi. In alcuni Paesi, secondo il Rapporto, una persona nata in un’area svantaggiata rischia di vivere da otto a nove anni in meno rispetto a una persona nata in un’area ricca. Il Rapporto evidenzia anche enormi disuguaglianze nel rischio di povertà. In 38 Paesi con dati disponibili, i bambini che vivono in una famiglia monoparentale hanno una probabilità oltre tre volte maggiore di vivere in povertà rispetto agli altri bambini. Anche i bambini con disabilità e quelli provenienti da minoranze etniche/razziali hanno un rischio superiore alla media.
L’Italia è al 34° posto su 39 Paesi nella classifica della povertà monetaria dei bambini nei Paesi ricchi, al 33° posto per quanto riguarda la povertà minorile in termini di reddito più recente e al 25° posto per quanto riguarda la variazione della povertà minorile tra il 2012-14 e il 2019-21. Più di 1 bambino su 4 (25,5%) vive in condizioni di povertà relativa legata al reddito (media tra il 2019 e il 2021). L’Italia – si legge nel Report – ha compiuto pochi progressi verso l’eliminazione della povertà minorile – la diminuzione è stata inferiore all’1% (più precisamente, 0,8%). Una povertà che è spesso di natura persistente. Nel 2021, è stato stimato che il 17,5% di tutti i bambini ha vissuto in condizioni di povertà anche nei 2 anni precedenti. Questo dato è preoccupante perché periodi più lunghi di povertà hanno un impatto ancora più negativo sui bambini. I bambini che vivono in famiglie monoparentali hanno un rischio di essere poveri (33,5%) doppio rispetto a quelli che vivono in famiglie con due genitori (15,8%). Nel 2021, se non ci fossero stati trasferimenti monetari, la povertà minorile in Italia avrebbe raggiunto il 35,9%. Ciò dimostra quanto siano importanti le prestazioni in denaro per i bambini: hanno portato al di sopra della soglia di povertà quasi il 30% dei bambini che sarebbero stati sotto la soglia di povertà senza i trasferimenti. A destare ancora particolare apprensione sono le cattive condizioni abitative che rimangono un problema in Italia e riguardano il 18,1% dei bambini. Muffa, umidità e marciume nelle abitazioni rappresentano un rischio significativo per la salute dei bambini.
Per sradicare la povertà minorile, la Report Card invita i Governi e le parti interessate a: espandere la protezione sociale per i bambini, anche con assegni familiari e per i figli a carico per integrare il reddito familiare; garantire a tutti i bambini l’accesso a servizi di base di qualità, come l’assistenza all’infanzia e l’istruzione gratuita, che sono essenziali per il loro benessere; creare opportunità di lavoro con retribuzioni adeguate e politiche favorevoli alla famiglia, come il congedo parentale retribuito, per sostenere i genitori e le persone che si prendono cura dei bambini nel conciliare lavoro e responsabilità di cura; garantire misure adatte alle esigenze specifiche dei gruppi minoritari e delle famiglie con un solo capofamiglia, per facilitare l’accesso alla protezione sociale, ai servizi fondamentali e al lavoro dignitoso, e ridurre le disuguaglianze.
Il Rapporto si chiude con un invito ad adottare un approccio maggiormente incentrato sul bambino negli interventi volti a misurare e a ridurre la povertà. “Sappiamo ancora troppo poco – si legge nel Report– su cosa intendono i bambini per povertà. Quando lo si è chiesto loro, sono spesso emerse opinioni e idee diverse da quelle degli adulti. L’Articolo 12 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sancisce il diritto per i bambini e gli adolescenti a essere coinvolti nelle politiche che riguardano la loro vita. Il potenziale che permette loro di far ciò e di diventare attori politici competenti si inizia a riconoscere nei dibattiti ambientali. È giunto il momento che anche i bambini abbiano la possibilità di prendere parte più attiva nei dibattiti sulla povertà infantile. Le loro opinioni e idee devono rivestire un ruolo centrale nella lotta a questo problema sociale dilagante e persistente.”
Qui la sintesi in italiano del Rapporto “Bambini poveri che vivono nei paesi ricchi”: