Sabato mattina 18 Novembre, dalle 10 alle 12, sotto un tiepido sole, in un angolo di verde ai margini di quel casermone che è San Vittore, mezzo sopraffatti dal traffico automobilistico, un piccolo presidio di una trentina di persone si raccoglie intorno ad un megafono.

Sbarre di Zucchero, il Gabbiano, Ristretti Orizzonti… nomi di associazioni estranee ai più, ma arcinote per chi “bazzica” questi ambienti. Operatori, familiari, ex-detenuti, compagni e compagne attenti ad ascoltare la voce di chi racconta, che snocciola dati precisi su un mondo sommerso, il cui grido si sente arrivare da una finestra lontana: “Siamo tornati a 60 mila in Italia, col Covid eravamo scesi a 52 mila, tutto come prima…”.

E poi le nuove norme del governo, varate il giorno prima, con la detenzione “per tutti e tutte”. Una discarica di umanità. Chi è lì conosce bene quel mondo, l’ha vissuto, l’ha conosciuto, direttamente o indirettamente, sa perfettamente cosa vuol dire sovraffollamento. Lo ha vissuto, lo ha visto, lo immagina: materassi per terra, poche attività, restrizioni, tempi che si allungano per tutto. E via con le “domandine”, si chiamano così, sono tutte le richieste che si fanno in carcere, si chiamano proprio domandine, come si fosse dei cretini a farle…..

Ascolto le voci di chi interviene, decido immediatamente di intervistare qualcuno: uno è Francesco Bellosi, ma appena prende il megafono in mano tutti gridano “Cecco, Ceccoooo”. Poi i commoventi saluti da dentro e da fuori, gridati, da lontano, per far coraggio, animo, a resistere, a tener duro. Alla fine arrivano due donne dal Veneto, hanno da raccontare le loro storie. Il più delle volte legate a suicidi in carcere. A sofferenze esplose.

Sembrerà poco, ma il calore che questi uomini e queste donne si procurano a vicenda in questo presidio rompe il grigio e il gelo di questa città. Si tengono in vita, riescono ad andare avanti, senza gettare la spugna di fronte ad un mondo capace, come una macchina, nel silenzio assordante, nell’indifferenza diffusa, di stritolare esseri umani.

Trovate il tempo per ascoltare queste due testimonianze. E poi seguitele in rete… Come il filo di seta di un ragno, sono fili importanti.

 

Foto di Andrea De Lotto