La giornata è iniziata in modo triste: ho incontrato un’amica palestinese, senza più lacrime. Mi ha fatto racconti terribili, sconvolgenti; lasciandomi mi ha abbracciato forte e mi ha detto “Per favore, fermate la guerra.”
Sono arrivata al presidio organizzato dal Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali) con i sindacati Usb e SiCobas per bloccare il trasporto di armi verso Israele e protestare contro i bombardamenti a Gaza con il cuore gonfio di dolore e di impotenza, ma per fortuna il piazzale era pieno di portuali e anche di altre lavoratrici e lavoratori, vecchi e nuovi militanti di gruppi e associazioni. Si sentivano le cadenze di altre regioni – Piemonte, Lombardia, Toscana, Lazio – e c’erano tante donne e ragazze, almeno due collettivi femministi, i cui interventi sono stati molto apprezzati dai presenti.
Nel frattempo i tir che arrivavano erano costretti a tornare indietro, ma non c’era trionfalismo. Piuttosto, la consapevolezza della forte portata simbolica della manifestazione, tanto più che iniziative simili si sono svolte in altri porti come Barcellona, Oakland e Sydney.
Una parte ha organizzato un piccolo corteo che si è recato presso la sede della compagnia israeliana Zim, le cui navi container trasportano la armi destinate a Israele, poi chi è andato a lavorare è stato sostituito da altre persone e il presidio è rimasto attivo fino alle 13. Si è tenuta una piccola assemblea in cerchio e si è deciso di partecipare alla manifestazione organizzata dalle associazioni palestinesi e di aggiornarsi in un’assemblea la prossima settimana per promuovere altre azioni di disturbo.