Sono quasi 140.000 le tonnellate di eccedenze alimentari donate in un anno da grandi e medie imprese dell’industria italiana della trasformazione. Le grandi imprese, in percentuale sul loro numero, donano 3 volte in più rispetto alle piccole e 1,5 volte rispetto alle medie, mentre guardando ai comparti food sono le aziende che producono prodotti da forno a donare 2,5 volte in più rispetto a tutte le altre.
E’ quanto emerge dall’indagine promossa da Fondazione Banco Alimentare e realizzata dal Food Sustainability Lab della School of Management del Politecnico di Milano, con un’integrazione a cura di Fondazione per la Sussidiarietà. Una ricerca che ha coinvolto 1.812 imprese, pari a poco più del 22% delle 8.197 imprese dell’industria con più di 9 addetti, suddivise in tre classi dimensionali: 72,6% piccole (da 10 a 49 dipendenti), 19,8% medie (da 50 a 249 dipendenti) e 4% grandi (da 250 dipendenti).
Un importante ruolo sul fronte dello spreco alimentare è giocato dalla Fondazione Banco Alimentare, che nel 2022 – grazie a una fitta rete di rapporti con gli attori della filiera agroalimentare e le istituzioni – ha intercettato ben 110 mila tonnellate di alimenti, che ha poi donato a 7.600 organizzazioni territoriali, offrendo assistenza alimentare a 1,75 milioni di persone in difficoltà.
Qui per approfondimenti: https://www.sussidiarieta.net/cn4057/spreco-alimentare-in-italia-il-ruolo-delle-imprese.html.
Mentre però si fanno passi in avanti sul fronte delle grandi e medie imprese, resta tuttora scarsa l’attenzione agli sprechi alimentari da parte dei cittadini, in particolare da parte dei più giovani. E’ il Rapporto 2021-2022 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability a far emergere un dato assolutamente inedito e allarmante: sono i giovani, spesso considerati sensibili e portabandiera delle tematiche ambientali, a rivelarsi i meno preoccupati e più dispendiosi, buttando via molto più cibo degli anziani. Si evidenzia, insomma, una popolazione giovane meno provvedente e meno organizzata, rispetto ai senior, che butta via molto cibo in relazione a una data di scadenza vicina o passata.
Eppure, lo studio mette in risalto che i giovani sono consapevoli di poter migliorare e chiedono maggiori informazioni sui passi da fare per ridurre gli sprechi. Lo spreco alimentare è un tema che interessa molto gli italiani: il 97% dichiara infatti di prestare attenzione agli sprechi alimentari e il 62% molta attenzione. Ma i giovani sprecano di più e più spesso: tra i 18/24 anni si butta fino a 4 volte di più rispetto ai 65enni e oltre. Per esempio, il 47% tra i 18-24 anni butta la frutta almeno una volta al mese, contro il 22% per i 65enni e oltre. Il 75% dei 18-24 anni butta almeno 1 prodotto ogni mese contro il 41% dei 65enni e oltre; allo stesso modo, tra i 65enni sono il 14% a buttare almeno 5 prodotti ogni mese contro il 38% per i più giovani.
Sono i maschi a sprecare di più: il 38% di loro butta più frequentemente il pane rispetto al 24% delle donne. 1 italiano su 10 dichiara di non buttare mai i prodotti (9%). I senior sono il doppio ad affermare la stessa cosa (17%). Il 46% butta un prodotto perché ha un cattivo odore o aspetto, il 33% per la data di scadenza ed il 31% perché il prodotto è rovinato e non ispira fiducia. Tra i cibi più sprecati troviamo frutta e verdura: il 59% butta almeno un tipo di prodotto ogni mese, principalmente la frutta (37%), la verdura (37%) e piatti avanzati (32%).
Qui per scaricare il Rapporto: https://smartway.ai/it/blog/2023/09/18/mentre-gli-italiani-dichiarano-di-prestare-attenzione-i-18-24-enni-sono-i-campioni/.
Spreco alimentare che s’intreccia con le tante povertà che avanzano drammaticamente nel nostro Paese. Secondo le stime di Coldiretti, citate all’interno del report Poveri, il lato nascosto dell’Italia, 31 milioni di persone povere hanno chiesto aiuto per mangiare facendo ricorso alle mense per i poveri o ai pacchi alimentari, per un totale di 92.000 tonnellate di cibo distribuite negli ultimi dodici mesi. Una grave emergenza che non può affidarsi ovviamente alla sola lotta allo spreco, ma che richiederebbe ben altra attenzione e politiche di contrasto alla povertà alimentare, che superino il carattere emergenziale e i sussidi una tantum a favore di interventi strutturali per garantire a tutti non solo il diritto a non morire di fame, ma il più ampio diritto ad alimentarsi con dignità e adeguatezza.
Intanto, che fine ha fatto il cosiddetto “reddito alimentare”?
La legge di bilancio 2023 ha previsto un Fondo per la sperimentazione del reddito alimentare, che attiverà 1,5 milioni di € per il 2023 e 2 milioni dal 2024 con l’obiettivo di distribuire a circa tre milioni di persone in povertà assoluta in Italia gli alimenti invenduti della grande distribuzione, in maniera completamente gratuita, oltre a “sviluppare una applicazione informatica che consenta un migliore accesso e fruibilità da parte dell’utenza, ivi incluso il tracciamento dei prodotti donati.” Una misura confermata nella Manovra 2024. Con decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (in Gazzetta ufficiale l’8 agosto e entrato in vigore ufficialmente il 23 agosto) è stato stabilito che per reddito alimentare si intende “la distribuzione gratuita, anche tramite gli enti del terzo settore presenti sui territori, di pacchi alimentari realizzati con l’invenduto della distribuzione alimentare, donati dagli esercizi commerciali che aderiscono volontariamente alla sperimentazione”.
Stiamo parlando di una misura che -al pari della carta risparmio spesa 2023 per le famiglie meno abbienti per l’acquisto di beni di prima necessità– è stata accompagnata da diffuse perplessità. Si era ipotizzata una partenza del reddito alimentare tra settembre e ottobre 2023, ma a oggi ne sappiamo ancora poco. E’ forte il timore comunque che tale misura non serva né sul fronte della lotta allo spreco di cibo, né tantomeno a ridurre la povertà alimentare.