di Massimo Nardi – 13 Aprile 2015
Nato a Bologna nel 2010 come campagna di comunicazione per la libera trasformazione dei cibi contadini, si trasforma ben presto in movimento per l’autodeterminazione alimentare, generando interesse reale e mediatico. Intervista a Filippo Taglieri e al fotografo Michele Lapini, co-autore insieme a Sara Casna, Michela Potito e Roberta Borghesi, del libro “GENUINO CLANDESTINO. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”, inchiesta itinerante sulle realtà che in tutta Italia fanno parte del movimento.
Nel manifesto così è scritto: “Genuino Clandestino nasce a Bologna nel 2010 come campagna di comunicazione per denunciare un insieme di norme ingiuste che, equiparando i cibi contadini trasformati a quelli delle grandi industrie alimentari, li ha resi fuorilegge”. Nel giro di 5 anni il movimento cresce e si trasforma “in una rete dalle maglie mobili di singoli e di comunità in divenire che, oltre alle sue iniziali rivendicazioni, propone alternative concrete al sistema capitalista vigente”. Si allarga così su tutta la penisola, generando interesse reale e mediatico, e dando vita al documentario omonimo di Nicola Angrisano del 2011 (vedi sotto) e al libro di Michela Potito e Roberta Borghesi con le fotografie di Sara Casna e Michele Lapini, “GENUINO CLANDESTINO. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”. Ed è proprio il fotografo, insieme a Filippo Taglieri, del connettivo terraTERRA, che abbiamo raggiunto per un’intervista al nostro giornale.
Partiamo dal nome del movimento. Sembra quasi un ossimoro, da una parte il termine “genuino” ad indicare una cosa non alterata né sofisticata, quindi vera; dall’altro “clandestino”, a significare qualcosa di nascosto e comunemente utilizzato in maniera negativa.
«Genuino Clandestino è un tentativo di mettere in rete le realtà contadine che in Italia stanno lottando per non scomparire e lo fa creando delle opportunità di relazione tra campagna e città. All’inizio era solo una campagna di informazione rivolta ai piccoli contadini, cercando di dare loro degli strumenti di resistenza e di relazione con i tessuti cittadini. Ma poi, col passare del tempo, questo non bastava più e si è trasformato quindi in movimento, in una rete di comunità in lotta per l’autodeterminazione alimentare e contro lo sfruttamento umano e animale».
Quali sono le norme ingiuste contro cui lotta il movimento? Qualche esempio?
«Molti sono i limiti imposti ai piccoli produttori. Tre esempi su tutti, che riguardano i vincoli di accessibilità al mercato per i piccoli produttori; la legalità delle trasformazioni processate del cibo, in maniera genuina e casareccia, come da tradizione italiana; e la Certificazione Biologica, un momento importante di verifica e di tutela del consumatore e del produttore che invece è gestita secondo le norme del mercato, falsando spesso i percorsi di verifica».
Proponete molte alternative al sistema capitalista vigente. Quali sono le più importanti e necessarie nell’immediato?
«Il centro della nostra reazione a questo modello è la riscoperta dei legami e delle relazioni e l’impossibilità di sostituirli con legami di consumo. In questo c’è molta economia informale, solidarietà e mutuo aiuto. Sosteniamo la pratica del mercato con norme condivise tra cittadini e contadini, l’autorganizzazione delle piazze, i percorsi di Garanzia Partecipata dei prodotti presenti nei mercati».
Che è quello che racconta una delle protagoniste nel video: «Noi diciamo che il consumatore deve conoscere il produttore, andando a verificare di persona quello che compra e quello che mangia».
«Esatto. I piccoli contadini devono tornare a far parte della società italiana. E per farlo, devono creare relazioni con i consumatori. Ed ecco il percorso della Garanzia Partecipata: il consumatore incontra il produttore, ne conosce il lavoro e la sua etica, creando un connubio cittadini-contadini, auto-organizzandosi territorio per territorio e garantendone la sussistenza».
Nel manifesto si legge che il movimento si basa su un’identità volutamente indefinita, che raccoglie singoli e comunità, purchè si riconoscano nei principi del manifesto. Quante adesioni avete avuto e riconosciuto finora?
«Genuino Clandestino non ha un database di iscritti, non ha tessere, è un modo di vivere e di reagire a politiche terribili che ci vogliono tutti consumatori di qualcosa o qualcuno. La questione del manifesto è molto delicata, il nostro sforzo inclusivo in realtà ha un limite in sé, in quanto chi volesse usare a fini commerciali “genuino clandestino” senza un lavoro reale sul territorio per combattere le battaglie di cui sopra, viene giocoforza e nel tempo restituito alle sue incoerenze. Quindi lentamente ma inesorabilmente si va avanti con spunti di riflessione, ma sempre senza presidenti e portavoce».
Venerdì 27 febbraio c’è stata la prima presentazione nazionale del libro “GENUINO CLANDESTINO. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”. Di cosa parla? E com’è nato?
«Il libro è nato da una comunione di intenti. Michele Lapini e Sara Casna avevano fatto fotografie in alcune realtà di Campi Aperti (nodo bolognese di GC) ed avevano chiesto di farle anche in altri territori. Michela e Roberta (le scrittrici) avevano in mente da tempo di scrivere sul movimento, e così è nato il libro. Dopo alcuni mesi di progettazioni, si è partiti con la campagna di crowdfunding su Produzioni dal Basso, per riuscire a coprire le spese del viaggio (più di 6.000 km in 9 regioni, dal Piemonte alla Sicilia). E così, grazie ai tanti co-produttori, sono riusciti a portare a termine il viaggio fra 10 realtà di GC. La scelta si è basata sia sull’aspetto produttivo (chi coltiva ortaggi, chi raccoglie, chi trasforma, chi alleva) sia sul tipo di insediamento rurale (chi ha comprato, chi è in affitto, chi ha occupato, chi si è trasformato in una Comune e chi lo sta per fare), per cercare di rappresentare la grande eterogeneità del movimento a livello nazionale. Ovviamente un libro non potrà mai contenere né definire un movimento vasto e multiforme come quello di Genuino Clandestino, ma quello a cui Michele, Roberta, Sara e Michela tenevano è che fosse uno strumento di diffusione delle pratiche (comuni) che il movimento porta avanti quotidianamente nei vari territori».
Tre anni fa ci fu anche il documentario video di Nicola Angrisano. Uno dei protagonisti afferma: “Non ho mai fatto scelte agricole pensando alla realizzazione del denaro, ma ho sempre pensato a cosa mi piacesse fare”. Una frase che racchiude anche un certo romanticismo agreste, legato al profumo della terra e ai sapori veri.
«Certo, è una scelta di vita che significa rispetto per la terra e per l’uomo, significa uno stile di vita alternativo ed autodeterminato, significa preferire le relazioni ai guadagni, significa preferire pratiche che veramente provano a nutrire il pianeta in maniera etica e genuina al green washing dei modelli Coldiretti, Eataly ed Expo».
In questo contesto nasce anche la campagna “Terra Bene Comune”. Di cosa si tratta?
«La Campagna Terra Bene Comune nasce da un’opposizione al tentativo reiterato di svendere i terreni pubblici a destinazione agricola. Ma diventa tanto altro, diventa connessione fra le lotte e le vertenze territoriali, diventa accesso alla terra dentro o fuori le forme che impongono le istituzioni. Significa costruire nuove comunità che si basino su consumi genuini senza sfruttamento e su relazioni sane e di mutuo aiuto e scambio di conoscenze e pratiche. Non si fa tutto per opporsi sterilmente allo stato delle cose, ma si prova in ogni incontro nazionale a proporre alternative percorribili ed a mettersi in gioco per raggiungere l’obiettivo di avere cicli economici realmente genuini ed alternativi.
Infine, l’Expo è alle porte. La vostra posizione è ovviamente contraria e comprende anche un “no” al TTIP.
Secondo Genuino Clandestino, il modello Expo concretizza con fermezza quell’attacco alle nostre società sferzato dalle imprese transnazionali. Esso trova la sua legittimità politica e normativa nei programmi di regolamentazione in corso, come il Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti (TTIP), che mirano a eliminare barriere normative che limitino i profitti potenzialmente realizzabili dalle imprese multinazionali, aggirando normative di protezione ambientale, di tutela dei diritti dei lavoratori, di protezione della sicurezza alimentare (incluse le restrizioni per gli OGM) e di regolamentazione sull’uso di sostanze chimiche tossiche. Di fronte a tutto questo e alle insidie che esso nasconde rivendichiamo con le nostre pratiche la ferma opposizione ai progetti/eventi/iniziative lanciate da EXPO 2015 e, in coerenza con questo, al tentativo rappresentato dal TTIP di consegnare ai promotori di questo modello il nostro futuro ed i nostri territori. La posizione di Genuino Clandestino sull’TTIP è chiara, questo trattato va fermato, ma come per l’EXPO va fermato nelle pratiche quotidiane e nella coerenza dell’agire. Genuino Clandestino non sarà all’EXPO dei Popoli e proporrà alla gente nelle strade soluzioni concrete per nutrire il pianeta».