Probabilmente è una delle mobilitazioni nate dopo l’invasione russa dell’Ucraina più longeve e stabili.
Da maggio 2022 al centro di Senigallia tutte le settimane, più o meno, di solito il sabato, le Rete per la pace locale organizza i sit-in, che dopo un anno e mezzo sono arrivati a 56. L’ultimo appuntamento in realtà è stato un dibattito pubblico con Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana Pace e Disarmo.
Una esperienza non irrilevante che ci siamo fatti raccontare da uno degli organizzatori, Roberto Mancini, insegnante da poco in pensione, molto conosciuto a Senigallia per l’impegno politico e sociale nato negli anni Settanta e mai venuto meno, con una passata esperienza anche in consiglio comunale come indipendente nella lista di Rifondazione Comunista.
“Dopo tre mesi dall’inizio del conflitto- spiega Roberto – abbiamo sentito l’esigenza di mobilitarci e come Rete, formata da soggetti politici della sinistra, da associazioni del mondo cattolico di base, e da singoli cittadini, abbiamo organizzato questo appuntamento settimanale, a volte quindicinale, interrotto solo nel periodo dell’alluvione del settembre 2022 e a volte a causa delle allerte meteo, spesso eccessive”.
Una esperienza che ha visto alcune decine di cittadini parteciparvi con costanza, anche se come capita spesso la componente giovanile è stata ridotta, però con qualche eccezione da rilevare: “Ci sono stati momenti in cui dei giovanissimi, anche attratti dalla nostra enorme bandiera della pace, lunga 12 metri e larga 4, si sono avvicinati e come altre persone più mature hanno chiesto, si sono interessati. Inoltre c’è stata la presenza organizzata di alcune classi delle elementari guidate dai loro insegnanti. Alla base del nostro impegno c’è la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica e nello stesso tempo esprimere una forma di contestazione, di critica profonda nei confronti delle politiche nazionali riguardo la guerra”.
Nel corso dei mesi il presidio ha potuto contare anche sulla presenza di figure nazionali autorevoli del mondo dell’informazione e dell’associazionismo, da Marco Tarquinio, già direttore dell’Avvenire, al già citato Francesco Vignarca, a rappresentanti di Emergency, fino ad esponenti di Stop the war now” che ha organizzato cinque carovane, nonviolente e pacifiste, per portare degli aiuti di vario genere alla popolazione ucraina che, pur non capendo la posizione di rifiuto della violenza, hanno apprezzato la vicinanza.
A proposito di ucraini Mancini sottolinea la relazione non semplicissima con la comunità locale:”Alcuni di noi sono stati negli alberghi dove erano ospitati, per aiutare i volontari che svolgevano attività di sostegno.
Rispetto al presidio la comunità ucraina locale ha espresso due atteggiamenti: uno di assoluta chiusura, mentre una parte, seppur minoritaria, ha apprezzato molto l’iniziativa, sono venuti ai presidi a parlare condividendo i nostri quattro punti: il cessate fuoco immediato, avvio di trattative, contrarietà all’invio di armi e all’aumento delle spese militari, accoglienza dei profughi, al di là delle cause della decisione di partire, senza distinzioni rispetto al paese di provenienza e colore della pelle”.
Più in generare Roberto Mancini rimarca come “dopo un anno e mezzo la situazione attuale ci stia dando ragione, l’invio di armi non ha contribuito a nessun passo avanti e ha incancrenito il contesto, al di là della criminale invasione decisa da Putin. In questo conflitto si sono concentrati tutti i problemi internazionali scaturiti dalla seconda guerra mondiale e successivamente dal nuovo assetto mondiale dopo l’89, assetto dietro il quale come noto ci sono interessi enormi. Un mondo ridisegnato in parte negli ultimi venti anni che però è andato nella direzione opposta rispetto a quella auspicata all’inizio degli anni Novanta, per esempio da Gorbaciov.
E per il futuro? Non ci sono dubbi: “Sabato saremo alla manifestazione di Roma, e poi continueremo con i presidi anche perché ci sembra sia un obbligo morale impegnarsi per fermare questo massacro”.